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Diritto di critica: limiti e verità dei fatti

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un’emittente televisiva e di un suo conduttore per diffamazione ai danni di una giornalista. La Corte ha stabilito che il diritto di critica, sebbene più ampio del diritto di cronaca, richiede che il ‘nucleo essenziale dei fatti’ su cui si basa sia veritiero. Presentare ipotesi investigative come certezze di colpevolezza viola questo principio, integrando la diffamazione e l’uso illecito dell’immagine, anche quando si esercita il diritto di critica.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di Critica: La Cassazione Fissa i Paletti sulla Verità dei Fatti

Il diritto di critica rappresenta una delle massime espressioni della libertà di pensiero, ma non è un’autorizzazione a diffamare. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche la critica più aspra deve poggiare su un ‘nucleo essenziale di fatti’ veritiero. Presentare un’ipotesi investigativa come una certezza di colpevolezza travalica questo limite, trasformando l’esercizio di un diritto in un illecito civile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una nota giornalista citava in giudizio un’emittente televisiva e un suo noto conduttore, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito di un servizio televisivo. Il programma aveva trattato un procedimento penale a suo carico, dal quale era poi stata definitivamente assolta. Secondo la giornalista, il servizio l’aveva dipinta come colpevole, ledendo il suo onore, la sua reputazione e utilizzando la sua immagine in modo illegittimo.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Milano aveva dato ragione alla giornalista, riformando parzialmente la sentenza di primo grado e condannando l’emittente e il conduttore al risarcimento. I giudici di secondo grado avevano confermato il carattere diffamatorio del servizio, sottolineando come mancasse il requisito della verità, anche solo putativa, dei fatti infamanti attribuiti alla donna. Il programma, infatti, presentava come certe condotte illecite che all’epoca erano solo mere ipotesi investigative, non ancora verificate in un processo.

Il Ricorso in Cassazione e i Limiti del Diritto di Critica

L’emittente televisiva e il conduttore hanno proposto ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi. Il punto centrale della loro difesa era che la Corte d’Appello avesse erroneamente applicato i rigidi criteri del diritto di cronaca (che esige la verità del fatto narrato) anziché quelli, più ampi, del diritto di critica.

Secondo i ricorrenti, la critica, essendo un’opinione soggettiva e congetturale, non può essere vincolata a una verità oggettiva e asettica. Poiché il nucleo dei fatti da cui il servizio prendeva le mosse era vero (l’esistenza di un’indagine penale), il limite della verità non poteva considerarsi violato.

La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato questa impostazione, fornendo chiarimenti cruciali sulla distinzione e sui limiti del diritto di critica.

Le Motivazioni

La Cassazione ha spiegato che, sebbene il diritto di critica si esprima in un giudizio necessariamente soggettivo, esso non può prescindere da una base fattuale veritiera. Per riconoscere l’efficacia esimente di tale diritto, è indispensabile che i fatti presupposti e indicati come oggetto della critica corrispondano a verità, sia pure una verità ‘ragionevolmente putativa’ basata sulle fonti disponibili.

Nel caso specifico, il servizio televisivo non si era limitato a criticare una figura pubblica sulla base di un’indagine in corso, ma si era spinto oltre, presentando la giornalista come ‘effettiva realizzatrice di un’attività illecita’. Il programma aveva attribuito con certezza alla donna la commissione dei reati per cui era indagata, senza specificare che si trattava di ipotesi accusatorie non ancora confermate dal vaglio processuale. Questo modo di presentare i fatti ha violato il ‘criterio della verità’ essenziale anche per l’esercizio del diritto di critica.

La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi di ricorso, tra cui quello relativo all’uso dell’immagine. I giudici hanno confermato che, ai sensi dell’art. 97 della legge sul diritto d’autore, l’immagine di una persona non può essere esposta se ciò reca pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione. L’accertato uso diffamatorio dell’immagine rendeva quindi irrilevante qualsiasi giustificazione legata a scopi informativi.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha confermato la sua giurisprudenza consolidata, tracciando una linea netta tra legittima critica e diffamazione. La decisione ribadisce che la libertà di espressione non è assoluta. Un servizio giornalistico, anche se impostato in chiave critica, deve rispettare la dignità delle persone, astenendosi dal presentare come fatti accertati quelle che sono solo accuse da provare. La verità del ‘nucleo essenziale dei fatti’ rimane un presupposto imprescindibile, la cui violazione comporta la responsabilità per i danni causati. Questa pronuncia serve da monito per tutti gli operatori dell’informazione sull’importanza del rigore e del rispetto della presunzione di innocenza.

Qual è il requisito fondamentale per l’esercizio legittimo del diritto di critica?
Anche il diritto di critica, pur essendo espressione di un giudizio soggettivo, deve fondarsi su un nucleo essenziale di fatti che corrisponda a verità, quantomeno in forma putativa, cioè ragionevolmente ritenuta vera sulla base delle fonti.

Presentare un’ipotesi accusatoria come un fatto certo è lecito nel contesto del diritto di critica?
No. Secondo la Corte, attribuire con certezza a una persona la commissione di fatti illeciti, quando questi sono ancora oggetto di un procedimento penale non concluso, viola il requisito della verità e trasforma la critica in diffamazione.

L’uso dell’immagine di una persona senza consenso è sempre giustificato se collegato a un fatto di interesse pubblico?
No. L’art. 97 della legge sul diritto d’autore stabilisce che la riproduzione dell’immagine non è consentita quando l’esposizione rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona ritratta. Pertanto, un uso diffamatorio dell’immagine è sempre illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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