LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Diritto di critica: limiti e diffamazione negli esposti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23641/2024, ha confermato la condanna per diffamazione a carico di un cittadino che aveva presentato una serie di esposti contro un avvocato. La Corte ha stabilito che l’esercizio del diritto di critica non giustifica l’uso di espressioni offensive e non supportate da fatti. Viene inoltre chiarito che, in caso di accoglimento parziale della domanda, il giudice può condannare la parte prevalentemente soccombente al pagamento integrale delle spese. Infine, è stata confermata la sanzione per lite temeraria a carico di chi propone un appello con motivi palesemente infondati.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Esposti all’Ordine Professionale: i limiti del diritto di critica

Presentare un esposto a un ordine professionale è un diritto del cittadino, ma dove si ferma la legittima segnalazione e dove inizia la diffamazione? L’ordinanza n. 23641/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui confini del diritto di critica, confermando che l’utilizzo di espressioni offensive e non necessarie può integrare un illecito civile e comportare il risarcimento dei danni. La pronuncia esamina anche le regole sulla ripartizione delle spese legali in caso di accoglimento solo parziale della domanda e le conseguenze della lite temeraria.

I Fatti di Causa

Un avvocato citava in giudizio un cittadino per ottenere il risarcimento dei danni all’onore e alla reputazione, causati da una serie di esposti presentati da quest’ultimo al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Gli esposti riguardavano l’attività professionale svolta dal legale in una controversia condominiale. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, condannando il convenuto al pagamento di 6.000 euro per diffamazione, ma rigettava la domanda ulteriore per danni da stalking.

La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado e, in aggiunta, condannava l’appellante (il cittadino) al pagamento di un’ulteriore somma ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., per aver promosso un appello temerario. Contro tale decisione, il cittadino proponeva ricorso in Cassazione, basato su quattro motivi.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, esaminando e respingendo tutti i motivi sollevati.

Il Diritto di Critica e il Limite della Continenza

Il ricorrente sosteneva che i suoi esposti rientrassero nel legittimo esercizio del diritto di critica, senza contenere espressioni offensive. La Cassazione ha ribadito il proprio orientamento consolidato: il diritto di critica non è una scriminante assoluta. Per essere legittimo, deve rispettare il limite della continenza, ovvero le espressioni utilizzate non devono essere gratuitamente offensive, smodate o non funzionali all’oggetto della controversia. La valutazione del carattere offensivo delle espressioni è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, che in questo caso aveva adeguatamente motivato la propria decisione, rendendola insindacabile in sede di legittimità.

La Liquidazione del Danno

Il secondo motivo di ricorso contestava il metodo di liquidazione del danno, poiché i giudici di merito avevano fatto riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano per la diffamazione a mezzo stampa, pur non trattandosi di tale fattispecie. La Corte ha ritenuto il motivo infondato, precisando che i giudici avevano correttamente utilizzato tali parametri solo come base di partenza per una liquidazione equitativa, adattandoli al caso concreto e tenendo conto della diversa diffusività del mezzo utilizzato. L’esercizio del potere discrezionale di liquidazione del danno era stato supportato da una motivazione logica e coerente.

La Gestione delle Spese Legali in Caso di Soccombenza Parziale

Il ricorrente lamentava la condanna integrale alle spese di primo grado, nonostante la sua domanda relativa allo stalking fosse stata rigettata. La Cassazione, richiamando una recente pronuncia delle Sezioni Unite, ha chiarito che l’accoglimento parziale di una domanda con più capi non comporta automaticamente la compensazione delle spese. Il giudice può condannare la parte prevalentemente soccombente al pagamento integrale delle spese, specialmente quando il capo di domanda rigettato ha un carattere accessorio e marginale rispetto a quello accolto. In questo caso, la domanda principale era quella per diffamazione, che era stata accolta, rendendo la decisione sulla condanna alle spese conforme a diritto.

La Sanzione per Lite Temeraria in Appello

Infine, la Corte ha confermato la condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. inflitta dalla Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano ritenuto l’appello manifestamente infondato, in particolare per le “inusitate affermazioni” contenute nel primo motivo, qualificando l’impugnazione come un vero e proprio abuso dello strumento processuale. La Cassazione ha condiviso questa valutazione, ribadendo che la condanna per lite temeraria sanziona l’abuso della “potestas agendi” e non richiede la prova di un danno specifico, ma solo l’accertamento della malafede o colpa grave della parte soccombente.

le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su principi giuridici consolidati. In primis, la distinzione tra l’accertamento dei fatti, riservato ai giudici di merito, e il controllo di legittimità, proprio della Cassazione. La Corte ha ritenuto che le valutazioni della Corte d’Appello sul carattere diffamatorio degli scritti, sulla quantificazione del danno e sulla soccombenza prevalente fossero basate su motivazioni adeguate, logiche e non contraddittorie, e quindi non censurabili in questa sede. Inoltre, la decisione si allinea ai più recenti e autorevoli orientamenti, come quelli delle Sezioni Unite in materia di spese di lite e di sanzione per abuso del processo, rafforzando la funzione nomofilattica della Suprema Corte.

le conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: il diritto di critica, pur essendo costituzionalmente garantito, non può tradursi in un attacco personale e denigratorio. Chi presenta esposti a organi di vigilanza professionale deve attenersi a un linguaggio corretto e funzionale alla segnalazione, senza eccedere in commenti offensivi. La decisione offre anche importanti spunti procedurali: la vittoria parziale in un giudizio non garantisce la compensazione delle spese, e l’insistenza in un appello palesemente infondato può costare cara, configurando un abuso del processo sanzionabile economicamente.

Quando un esposto a un ordine professionale supera i limiti del diritto di critica e diventa diffamazione?
Un esposto supera i limiti del diritto di critica quando le espressioni usate non rispettano il requisito della continenza, ovvero sono smodatamente offensive, non sono supportate da fatti oggettivamente riscontrabili e non sono strettamente funzionali all’oggetto della controversia. In tal caso, si configura la diffamazione.

Se in una causa viene accolta solo una parte delle richieste, chi paga le spese legali?
Anche se vengono accolte solo alcune delle domande, il giudice può condannare la parte che ha perso sulla domanda principale (prevalentemente soccombente) a pagare l’intero importo delle spese legali, soprattutto se le domande respinte erano di valore minore o di carattere accessorio. La compensazione delle spese è una possibilità, non un obbligo.

Cosa rischia chi insiste in appello con argomentazioni manifestamente infondate?
Chi propone un appello basato su motivi manifestamente infondati, tesi giuridiche già reputate tali in primo grado o censure palesemente inconsistenti, rischia una condanna per lite temeraria ai sensi dell’art. 96, comma 3, del codice di procedura civile. Questa condanna comporta il pagamento di una somma di denaro stabilita equitativamente dal giudice, a sanzione dell’abuso dello strumento processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati