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Diritto di critica: legittimo esposto contro il giudice

Un giudice ha citato in giudizio un avvocato e il legale rappresentante di una società per diffamazione, a seguito di un loro esposto che evidenziava anomalie in una sua sentenza, assimilabili a un ‘copia-incolla’ dagli atti di una delle parti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del magistrato, confermando che l’esposto rientrava nel legittimo esercizio del diritto di critica, poiché basato su fatti veri e formulato con un linguaggio appropriato.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di critica: legittimo esposto contro il giudice per sentenza ‘copia-incolla’

L’esercizio del diritto di critica nei confronti dell’operato di un magistrato è un tema delicato, che bilancia la libertà di espressione con la tutela dell’onore e della reputazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su quando un esposto che denuncia anomalie in una sentenza possa essere considerato legittimo e non diffamatorio. Il caso esaminato riguardava un giudice che, dopo aver visto archiviato un procedimento penale a suo carico per prescrizione, aveva citato per danni coloro che lo avevano denunciato.

I Fatti: La Sentenza ‘Copia-Incolla’ e l’Esposto

La vicenda ha origine da una causa civile in cui un giudice del Tribunale aveva emesso una sentenza. Il legale rappresentante e l’avvocato della società soccombente notarono una singolare coincidenza: ampie parti della motivazione della sentenza erano una riproduzione testuale, inclusi gli errori di battitura, della comparsa conclusionale depositata dalla controparte. Sospettando un’irregolarità, presentarono un esposto al Presidente della Corte d’Appello e al Presidente della Sezione del Tribunale dove operava il giudice.

Nell’esposto, evidenziavano che tali coincidenze potevano «indurre alla inquietante conclusione che il Giudice, nella stesura della decisione, abbia usato il medesimo file utilizzato dall’attore». Questa segnalazione portò all’apertura di un procedimento penale per abuso d’ufficio contro il magistrato, conclusosi però con una declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

Successivamente, il giudice citò in giudizio gli autori dell’esposto, chiedendo un risarcimento per calunnia e diffamazione, sostenendo di essere stato ingiustamente accusato e danneggiato nella sua reputazione.

La Decisione nei Gradi di Merito

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Brescia rigettarono la domanda del giudice. Secondo i giudici di merito, non sussisteva il reato di calunnia in quanto gli autori dell’esposto si erano basati su circostanze di fatto oggettive e veritiere (la riproduzione testuale di parti degli atti). Tali circostanze, per una persona di normale cultura ed esperienza, potevano ragionevolmente far sorgere il dubbio che il magistrato avesse utilizzato il file della parte attrice.

Anche l’accusa di diffamazione fu respinta. La Corte territoriale riconobbe che l’esposto rientrava pienamente nell’esercizio del diritto di critica. I presupposti per questa scriminante erano tutti presenti:

1. Verità del fatto: La coincidenza testuale tra sentenza e comparsa era un dato di fatto confermato.
2. Continenza espositiva: Il linguaggio usato nell’esposto era stato ritenuto appropriato e non gratuitamente offensivo.
3. Interesse pubblico: Esisteva un interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia.

Inoltre, il giudice stesso aveva ammesso di aver utilizzato uno scanner per copiare parti della comparsa, confermando di fatto la base materiale dell’esposto.

L’Analisi della Cassazione e il legittimo esercizio del diritto di critica

Il magistrato ha impugnato la decisione in Cassazione, sollevando quattro motivi di ricorso, tutti respinti dalla Suprema Corte.

Motivazione Adeguata e non Apparente

Il ricorrente lamentava una motivazione carente o illogica da parte della Corte d’Appello. La Cassazione ha smentito questa tesi, affermando che la sentenza impugnata aveva fornito una spiegazione chiara, argomentata e coerente delle ragioni della decisione, superando ampiamente la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto per una motivazione valida.

Esclusione dell’Illecito Civile

Il secondo motivo si basava sulla presunta errata applicazione dell’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito). Il giudice sosteneva che la Corte si fosse concentrata sui reati, senza valutare l’illecito civile. La Cassazione ha chiarito che, una volta accertata la scriminante del diritto di critica – che esclude l’antigiuridicità del fatto – questa vale sia in ambito penale che civile. Avendo escluso la portata offensiva delle dichiarazioni, la Corte d’Appello aveva correttamente escluso anche la sussistenza di un illecito civile risarcibile.

Inammissibilità della Censura sul Fatto

Il terzo motivo, relativo all’omesso esame di un fatto decisivo, è stato dichiarato inammissibile per via del principio della ‘doppia conforme’. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano basato la loro decisione sulle stesse ragioni di fatto, non era possibile sollevare tale censura in sede di legittimità.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano sul principio che l’esercizio del diritto di critica è una scriminante che opera quando la critica si basa su un nucleo di verità fattuale e viene espressa in modo continente. Nel caso specifico, gli autori dell’esposto non avevano inventato nulla; avevano semplicemente segnalato un’anomalia oggettiva e verificabile – la quasi identità tra la sentenza e un atto di parte – che poteva legittimamente far sorgere dubbi sull’imparzialità del processo decisionale del giudice. La Corte ha ritenuto che la conclusione a cui erano giunti gli esponenti, seppur ‘inquietante’, fosse una possibile interpretazione dei fatti, e la sua segnalazione alle autorità competenti un atto legittimo.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, ha riaffermato un principio fondamentale: segnalare alle autorità competenti presunte irregolarità nell’amministrazione della giustizia, quando la segnalazione è fondata su fatti veri ed espressa con toni appropriati, non costituisce un atto diffamatorio ma un legittimo esercizio del diritto di critica. Questa decisione tutela i cittadini e gli avvocati che, in buona fede, denunciano situazioni anomale, contribuendo al controllo diffuso sulla correttezza dell’operato giudiziario. Il giudice che si sente leso da tali critiche non può ottenere un risarcimento se non è in grado di dimostrare la falsità dei fatti posti a fondamento dell’esposto o la malafede dei suoi autori.

Presentare un esposto contro un giudice per presunte irregolarità in una sentenza costituisce diffamazione?
No, secondo la Corte non costituisce diffamazione se l’esposto si basa su circostanze di fatto veritiere e la critica è espressa in modo continente (non offensivo), rientrando così nell’esercizio del legittimo diritto di critica.

Cosa si intende per ‘minimo costituzionale’ della motivazione di una sentenza?
Si intende una motivazione che non sia totalmente mancante, meramente apparente, o fondata su un contrasto irriducibile tra affermazioni. Deve essere chiara, coerente e argomentata, permettendo di comprendere le ragioni della decisione.

È possibile contestare in Cassazione l’omesso esame di un fatto se la sentenza d’appello conferma integralmente quella di primo grado?
No, in base al principio della ‘doppia conforme’, è preclusa la possibilità di ricorrere in Cassazione per omesso esame di un fatto decisivo se la decisione d’appello si fonda sulle stesse ragioni di fatto di quella di primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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