Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2789 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2789 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26516/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME ), in virtù di procura in calce al
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ( ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME , quale erede di NOME COGNOME; rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME AVV_NOTAIO ) e NOME COGNOME ( ), in virtù di procura in calce al controricorso;
-controricorrente – nonché di
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ( ), in virtù di procura su foglio separato allegato al controricorso;
C.C. 13.11.2023 N. R.G. 26516/2021 Pres. COGNOME Est. COGNOME
-controricorrente-
e di
NOME COGNOME , NOME COGNOME e NOME COGNOME , quali eredi di NOME COGNOME;
-intimati- per la cassazione della sentenza n. 324/2021 del la CORTE d’APPELLO di BRESCIA, pubblicata il 17 marzo 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13
novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. NOME COGNOME, nell’esercizio delle funzioni di giudice civile del Tribunale di Milano, trattò una controversia vertente tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, società di cui era legale rappresentante l’ AVV_NOTAIO e che era difesa dall’AVV_NOTAIO;
la controversia, avente ad oggetto una domanda risarcitoria proposta da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, si concluse con l’accoglimento della predetta domanda;
AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO presentarono un esposto al Presidente della Corte d ‘ appello di Milano e al Presidente della Sezione del Tribunale in cui operava il giudice COGNOME, attribuendo a quest’ultimo « errori evidentemente ininfluenti sulla decisione, ma che potrebbero indurre alla inquietante conclusione che il Giudice, nella stesura della decisione, abbia usato il medesimo file utilizzato dall’attore per la stesura della comparsa conclusionale »;
osservarono che veniva in considerazione la trascrizione integrale di identiche espressioni contenute nella predetta comparsa;
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evidenziarono, inoltre, la sussistenza di coincidenze negli errori di battitura;
NOME COGNOME venne sottoposto a procedimento penale per il reato di abuso d’ ufficio, che si concluse con declaratoria di non doversi procedere per prescrizione;
in seguito a ciò, egli citò in giudizio risarcitorio, dinanzi al Tribunale di Brescia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, autori dell ‘esposto , deducendo di essere stato da loro calunniato e diffamato;
la domanda è stata rigettata sia dal Tribunale che dalla Corte di appello di Brescia;
la Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
Iquanto al reato di calunnia, non era «possibile ravvisare né la consapevole e maliziosa parzialità del racconto, avendo di contro gli esponenti riferito dell’intera vicenda, né ritenersi ricorrere il dolo della calunnia, essendosi gli esponenti basati su circostanze di fatto -riproduzione integrale di intere parti della comparsa conclusionale -non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa era tale da indurre una persona di normale cultura, esperienza e capacità di discernimento a ritenere possibile che il magistrato le avesse tratte ‘dal medesimo file utilizzato dall’attore per la stesura della comparsa conclusionale ‘ »;
IIquanto alla diffamazione, « il passo dell’esposto nel quale l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO al AVV_NOTAIO la commissione ‘di errori evidentemente ininfluenti sulla decisione, ma che potrebbero indurre alla inquietante conclusione che il Giudice, nella stesura della decisione, abbia usato il medesimo file utilizzato dall’attore per la stesura d ella comparsa conclusionale’, si a segnalare né più né meno delle anomalie nella condotta del AVV_NOTAIO COGNOME che il
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destinatario (Presidente della Corte d’Appello di Milano) avrebbe dovuto valutare ai fini della comunicazione a chi (Procuratore Generale presso quella Corte d’Appello) avrebbe potuto eventualmente esercitare un’azione disciplinare »; era inoltre ravvisabile sia la continenza espositiva che la verità dei fatti, i quali, tra l’altro, avevano ricevuto conferma nelle stesse difese del AVV_NOTAIO. COGNOME, avendo egli ammesso di essersi servito di uno scanner per copiare interi passaggi della comparsa conclusionale attorea; in conclusione, si era in presenza di una fattispecie di lecito esercizio del diritto di critica;
propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di quattro motivi; rispondono, con distinti controricorsi, NOME COGNOME e NOME COGNOME, uno degli eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more; non svolgono difese, in sede di legittimità, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (gli altri eredi di NOME COGNOME), che restano intimati;
la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ.;
il pubblico ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte;
le parti costituite hanno depositato memorie.
Considerato che:
con il primo motivo viene denunciata la « Nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione. Violazione dell’art.132, 2°comma, n. 4, c.p.c. (art.360, n.4, cod. proc. civ.) »;
il ricorrente sostiene che nell’iter motivazionale della sentenza impugnata si ravvisino « sicuramente » i requisiti dell’omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, avuto riguardo al « contenuto meramente
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assertivo e apodittico della menzionata statuizione in merito all’interpretazione del comportamento dei resistenti in merito all’assenza dei requisiti della calunnia e della diffamazione »; reputa che « dalla lapidaria affermazione », contenuta nella sentenza, « appare difficile comprendere le ragioni per le quali la Corte d’appello ha ritenuto che non siano da sanzionare il comportamento dei resistenti », e che non può ritenersi « sufficientemente motivato il ragionamento sulla sussistenza o meno del dolo nel reato di calunnia e di un diritto di critica nel presentare un esposto nei confronti dell’operato di un giudice »; soggiunge che la sentenza sarebbe viziata « per motivazione illogica e contraddittoria in relazione all’insussistenza del comportamento diffamatorio e sul presupposto della continenza espressiva dell’esposto presentato dagli odierni resistenti, nonché della veridicità storica di alcuni dei fatti den unciati nell’esposto e interpretati al solo fine di denigrare la figura del magistrato »;
1.1. il motivo è infondato;
in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del decreto -legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità attiene all’esistenza in sé della motivazione e alla sua coerenza, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dal l’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n.4 cod. proc. civ., la cui violazione deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. -sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra
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affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090);
nel caso di specie, non solo non sussistono le surricordate gravi lacune, idonee a proiettare la motivazione della sentenza impugnata al disotto del «minimo costituzionale», ma deve piuttosto riconoscersi che la Corte d’appello ha dato conto in modo chiaro , argomentato e coerente delle ragioni della decisione, al cui fondamento, come si è più sopra evidenziato, sono posti, oltre al rilievo della esclusione della portata calunniosa e diffamatoria dell’esposto presentato da NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche quelli circa la continenza espressiva e la sostanziale verità dei fatti esposti;
il primo motivo, pertanto, deve essere rigettato;
c on il secondo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art.360 n.3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione art.2043 cod. civ.;
il ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe indebitamente valutato la sussistenza o meno dei reati di calunnia e diffamazione, mentre avrebbe dovuto valutare la sussistenza dell’ illecito civile; sostiene che a tale riguardo sarebbe stato del tutto irrilevante accertare se il fatto fosse stato commesso con dolo o colpa;
2.1. il motivo è manifestamente infondato;
la Corte d’appello ha escluso, oltre al dolo della calunnia , l’oggettiva portata offensiva delle dichiarazioni contenute nell’esposto, ritenendo integrata la scriminante (che vale anche per l’ illecito civile) del diritto di critica; quindi ha debitamente valutato -escludendola -la
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sussistenza o meno degli elementi costitut ivi dell’ illecito aquiliano ex art. 2043 cod. civ.;
con il terzo motivo viene denunciato, ex art.360 n.5 cod. proc. civ., l’ omesso esame di fatto decisivo e controverso;
il ricorrente deduce che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto della circostanza che, solo dopo averlo inviato al Presidente della Corte d ‘appello , gli autori dell’esposto lo avevano inviato anche al Presidente di Sezione del Tribunale; osserva che, dall’espo sizione contenuta a p.9 della sentenza impugnata, sembrerebbe essere stata accertata la circostanza contraria che fosse stata fatta prima la trasmissione al Presidente di Sezione e poi quella al Presidente della Corte d’appello; evidenzia che, mentre in consimile ipotesi la condotta degli esponenti sarebbe stata corretta (in quanto diretta a dare la comunicazione al Presidente di S ezione in vista dell’informativa all’autorità superiore), invece, nell’opposta ipotesi in concreto verificatasi -ma, indebitamente, non considerata dalla Corte territoriale -gli esponenti già avevano investito della questione disciplinare l’ autorità superiore, sicché l’inutile consegna dell’esposto anche al Presidente di Sezione del Tribunale era stata preordinata al fine di gettarlo in una situazione di discredito e difficoltà all’interno del proprio ambiente lavorativo;
3.1. il motivo è inammissibile;
a i sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis (disposizione che ha trovato continuità normativa nel nuovo testo dell’art.360, quarto comma, cod. proc. civ.), deve escludersi la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 del citato art.360, nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo
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chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell ‘art. 360 cod. proc. civ. ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex multis , Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994).
3.1.1. Al di là dell’illustrata assorbente ragione di inammissibilità, deve anche osservarsi, ad abundantiam , che, in ogni caso, la doglianza sarebbe stata infondata poiché, nel passaggio motivazionale della sentenza impugnata citato dal ricorrente (p. 9 della sentenza medesima), si evidenzia che il documento non era stato portato a conoscenza del solo Presidente di Sezione, ma che era stato portato ‘ direttamente ‘ a conoscenza del Presidente della Corte d’appello , sicché la circostanza storica che tale ultima comunicazione avesse preceduto la (o comunque fosse stata fatta indipendentemente dalla) prima -a prescindere da ogni rilievo sulla sua pretesa ‘decisività’ non può reputarsi pretermessa;
4. con il quarto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art.360 n.3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.;
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il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in relazione alla decisione di non disporre la compensazione delle spese, pur essendo stata evidenziata , con l’atto d’appello (che aveva censurato la statuizione di condanna nelle spese contenuta nella sentenza di primo grado), la sussistenza di giusti motivi in tal senso; argomenta, in proposito, anche dalla sentenza n.77/2018 della Corte costituzionale di parziale declaratoria di incostituzionalità dell’art.92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non consente la compensazione anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni diverse da quelle tipizzate dal legislatore;
4.1. il motivo, prima ancora che infondato, è manifestamente inammissibile, anche in ragione della sua perplessità, poiché nella rubrica viene formalmente dedotto il vizio di violazione di norme di diritto, mentre nella successiva illustrazione viene evocato, da un lato, quello di omessa motivazione e, dall’altro, quello di omessa pronuncia su un motivo di appello;
in ogni caso, a prescindere dal rilievo che nel presente giudizio (iniziato in primo grado nel 2013) non trova applicazione la formulazione dell’art.92, secondo comma, cod. proc. civ., introdotta dal d.l. n. 132/2014, oggetto di parziale declaratoria di illegittimità costituzionale, è sufficiente rilevare, al riguardo, che il giudice d’appello ha fatto seguire la condanna nelle spese processuali al rigetto dell’impugnazione, in piana e corretta applicazione del criterio della soccombenza, sicché la doglianza formulata dal ricorrente (sia che la si qualifichi in termini di violazione di legge, sia che la si qualifichi come omessa pronuncia o come vizio motivazionale costituzionalmente rilevante) appare persino pretestuosa;
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in definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato;
le spese del giudizio di legittimità relative ai rapporti processuali vertenti tra il ricorrente e i controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo; sulle spese del giudizio di legittimità concernenti i rapporti processuali vertenti tra il ricorrente e gli intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, invece, non vi è luogo a provvedere, stante l’ indefensio di questi ultimi;
avuto riguardo al tenore della pronuncia, va infine dato atto -ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Per Questi Motivi
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno dei due controricorrenti, in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione