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Diritto di critica e diffamazione: il caso del prof

Un professore universitario, autore di un libro, viene citato in giudizio per diffamazione da due colleghi a causa di frasi contenute nella prefazione, ritenute lesive della loro reputazione. Le frasi denunciavano presunti conflitti di interesse legati ai familiari dei due docenti e a una casa editrice. Mentre la Corte d’Appello aveva condannato l’autore, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, affermando la prevalenza del diritto di critica. Secondo la Suprema Corte, le affermazioni, sebbene aspre, rientravano in un più ampio e legittimo dibattito sullo stato del sistema universitario, basandosi su un nucleo di fatti veritieri.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di Critica vs. Diffamazione: La Cassazione si Esprime sul Dibattito Accademico

Il confine tra libera manifestazione del pensiero e lesione della reputazione altrui è spesso sottile, specialmente in contesti, come quello accademico, dove il dibattito e la critica sono essenziali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su come bilanciare il diritto di critica con la tutela dell’onore, in un caso che ha visto contrapposti tre professori universitari.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine dalla pubblicazione di un libro da parte di un docente universitario. Nella prefazione del volume, l’autore aveva inserito alcune riflessioni critiche sul sistema accademico italiano, facendo riferimento a due suoi colleghi. In particolare, denunciava situazioni di potenziale conflitto di interessi, sostenendo che i familiari dei due professori (specificamente, il figlio di uno e la figlia dell’altro) ricoprissero ruoli all’interno di una nota casa editrice universitaria, con la quale gli stessi docenti collaboravano.

Queste affermazioni venivano formulate in un contesto polemico: lo stesso autore era stato in precedenza sottoposto a un procedimento disciplinare per un’analoga situazione di conflitto di interessi, avendo richiesto fondi universitari per una pubblicazione edita dalla casa editrice di proprietà di sua moglie. Ritenendosi ingiustamente sanzionato rispetto a una prassi diffusa, aveva usato la prefazione per denunciare quelle che considerava ipocrisie del sistema.

I due professori menzionati, sentendosi diffamati, hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno alla loro reputazione.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il caso ha avuto esiti opposti nei primi due gradi di giudizio. Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda di risarcimento, ritenendo che le espressioni dell’autore rientrassero nell’esercizio legittimo del diritto di critica.

Di parere contrario, invece, la Corte d’Appello. I giudici di secondo grado hanno riformato la sentenza, condannando l’autore a un risarcimento di cinquemila euro per ciascuno dei due colleghi. La Corte ha ritenuto le affermazioni false e offensive, superando i limiti della continenza e della veridicità dei fatti.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Cassazione sul Diritto di Critica

L’autore ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi. I suoi motivi di ricorso si sono concentrati sui tre pilastri che sorreggono il diritto di critica: la verità (putativa) del fatto, l’interesse pubblico (pertinenza) e la correttezza formale dell’esposizione (continenza).

L’autore sosteneva che:
1. I fatti narrati, pur con qualche inesattezza, erano sostanzialmente veri, poiché i legami tra i familiari dei colleghi e la casa editrice erano documentati.
2. Le espressioni utilizzate, sebbene aspre, erano proporzionate al contesto di una critica generale al degrado del sistema universitario.
3. Sussisteva un interesse pubblico alla conoscenza di tali dinamiche, anche se circoscritto al mondo accademico.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna. I giudici hanno ritenuto fondate le censure dell’autore, offrendo una lettura approfondita dei limiti del diritto di critica.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che la valutazione della Corte d’Appello era stata eccessivamente formalistica. Anche se alcuni dettagli erano imprecisi (ad esempio, l’esatto ruolo o la tempistica degli incarichi dei familiari), il nucleo centrale della narrazione – ovvero l’esistenza di un potenziale conflitto di interessi – era veritiero e documentato. La Corte ha ricordato che per l’esercizio del diritto di critica è sufficiente la verità putativa, purché frutto di un serio lavoro di ricerca.

In secondo luogo, la Cassazione ha ricontestualizzato le espressioni ritenute offensive. Termini come “faccendieri” o “prestanome”, secondo la Corte, non potevano essere decontestualizzati. Essi erano inseriti in un discorso più ampio e generale di critica al funzionamento del mondo universitario post-riforma, una critica soggettiva ma non per questo illegittima. La Corte territoriale aveva errato nel non considerare le pagine successive della prefazione, dove l’autore argomentava la sua critica al sistema nel suo complesso.

Infine, la Corte ha riconosciuto la sussistenza della pertinenza, ossia dell’interesse pubblico. Sebbene la vicenda riguardasse una cerchia ristretta di accademici, le tematiche del conflitto di interessi e del funzionamento dell’università sono di indubbio interesse collettivo.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: il diritto di critica, garantito costituzionalmente, permette l’uso di un linguaggio anche aspro e polemico, a condizione che sia ancorato a un nucleo fattuale sostanzialmente vero e che si inserisca in un dibattito di interesse pubblico. La critica, anche se soggettiva e sferzante, non diventa automaticamente diffamazione. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questi importanti principi.

È possibile criticare dei colleghi in una pubblicazione senza commettere diffamazione?
Sì, è possibile a condizione che la critica rientri nell’esercizio del legittimo diritto di critica. Questo richiede che i fatti narrati siano sostanzialmente veri, che vi sia un interesse pubblico all’argomento trattato (pertinenza) e che il linguaggio usato, pur potendo essere aspro, non sia gratuitamente offensivo (continenza).

L’uso di un termine forte come “prestanome” è automaticamente diffamatorio?
No. Secondo la Corte, il carattere diffamatorio di un’espressione dipende sempre dal contesto in cui è inserita. In questo caso, essendo parte di una più ampia critica al sistema universitario e a prassi consolidate, non è stato ritenuto di per sé diffamatorio.

Cosa significa che la Corte di Cassazione “cassa con rinvio” una sentenza?
Significa che la Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello perché ha riscontrato un errore di diritto. La causa non è conclusa, ma viene rimandata alla stessa Corte d’Appello (in diversa composizione) che dovrà emettere una nuova sentenza, rispettando i principi giuridici indicati dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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