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Diritto di critica del dipendente: i limiti da non superare

La Corte di Cassazione conferma la legittimità di una sanzione disciplinare a carico di una dipendente con ruolo di quadro. Le email inviate, contenenti critiche verso superiori e management, sono state giudicate eccedenti il legittimo diritto di critica del dipendente per i toni offensivi e la carenza di verità oggettiva, configurando un inadempimento contrattuale. La Corte ha rigettato il ricorso, sottolineando che la valutazione dei fatti spetta ai giudici di merito.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto di critica del dipendente: la Cassazione traccia i confini

Il diritto di critica del dipendente nei confronti del datore di lavoro è un’espressione fondamentale della libertà di pensiero, ma non è illimitato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 2057/2025, offre un chiaro esempio di come l’esercizio di tale diritto possa trasformarsi in un illecito disciplinare quando supera i confini della correttezza e del rispetto reciproco. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

Il caso: critiche via email e la sanzione disciplinare

Una dipendente con la qualifica di quadro, responsabile della funzione bilancio in un’importante società, riceveva una sanzione disciplinare di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni. La contestazione riguardava una serie di email in cui la lavoratrice aveva espresso giudizi fortemente critici, ritenuti diffamatori e insubordinati, nei confronti del suo superiore e del management aziendale.

La lavoratrice si era opposta alla sanzione, ma sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione all’azienda. I giudici di merito avevano stabilito che il contenuto delle comunicazioni travalicava ampiamente i limiti del legittimo esercizio del diritto di critica del dipendente, utilizzando toni offensivi, sarcastici e denigratori, spesso in assenza di una solida base fattuale. La questione è così approdata dinanzi alla Corte di Cassazione.

I limiti al diritto di critica del dipendente

Il cuore della controversia risiede nella distinzione tra una critica legittima e una condotta illecita. La giurisprudenza costante, confermata in questa occasione, stabilisce che il diritto di critica può essere esercitato a condizione che rispetti tre limiti fondamentali:

1. Verità oggettiva: La critica deve basarsi su fatti veri o, quantomeno, su una rappresentazione verosimile della realtà.
2. Pertinenza: L’argomento della critica deve essere di interesse per l’ambiente lavorativo e non deve degenerare in attacchi personali slegati dal contesto professionale.
3. Continenza: Le espressioni utilizzate devono essere misurate e non devono tradursi in offese gratuite, insulti o toni derisori. È proprio su quest’ultimo punto che la condotta della lavoratrice è stata giudicata manchevole.

I giudici hanno rilevato che nelle email della dipendente la critica costruttiva lasciava il posto a “toni di irrisione”, con una “lesione gratuita del decoro” dei superiori, rendendo il suo comportamento un inadempimento degli obblighi di lealtà e correttezza previsti dal contratto di lavoro.

La valutazione dei giudici di merito e il ruolo della Cassazione

La lavoratrice ha tentato di portare la discussione in Cassazione, lamentando una errata valutazione delle sue comunicazioni. Tuttavia, la Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti del caso, ma di verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici dei gradi precedenti.

Poiché la Corte d’Appello aveva ampiamente e logicamente motivato le ragioni per cui le email erano state considerate offensive e non semplici critiche, la Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso inammissibile. La valutazione del contenuto delle comunicazioni e del contesto aziendale è un accertamento di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della lavoratrice basandosi su una serie di motivazioni sia procedurali che di merito. In primo luogo, molti dei motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili perché non si confrontavano specificamente con le argomentazioni della sentenza d’appello o perché erano preclusi dalla cosiddetta “doppia conforme”, ovvero la concordanza delle decisioni di primo e secondo grado sulla ricostruzione dei fatti.

Nel merito, la Corte ha confermato l’impianto logico-giuridico della Corte d’Appello. È stato ribadito che il comportamento della dipendente, caratterizzato da uno “schema narrativo in cui la critica alle condotte datoriali assume toni di irrisione e sovrasta l’esposizione del fatto”, costituisce una violazione dei doveri di correttezza e buona fede che devono improntare il rapporto di lavoro. Il diritto di critica del dipendente, pertanto, non può essere utilizzato come scudo per giustificare condotte offensive e lesive della dignità professionale altrui.

Conclusioni

Questa ordinanza serve come importante monito sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Per i dipendenti, sottolinea la necessità di esprimere eventuali dissensi e critiche in modo costruttivo e rispettoso, senza trascendere in attacchi personali o nell’uso di un linguaggio offensivo. Per i datori di lavoro, conferma la possibilità di sanzionare condotte che, pur mascherate da critica, minano il clima di fiducia e collaborazione indispensabile in ogni ambiente di lavoro. L’equilibrio tra libertà di espressione e doveri contrattuali rimane un pilastro fondamentale del diritto del lavoro.

Quando la critica di un dipendente verso l’azienda diventa un illecito disciplinare?
La critica diventa un illecito disciplinare quando supera i limiti della verità oggettiva, della pertinenza rispetto al contesto lavorativo e, soprattutto, della continenza, ovvero quando utilizza un linguaggio offensivo, sarcastico o denigratorio invece di espressioni formali e misurate.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione dei fatti già compiuta dai giudici di primo e secondo grado?
Generalmente no. La Corte di Cassazione giudica sulla corretta applicazione della legge (errori di diritto) e non può riesaminare i fatti. Se le sentenze di primo grado e d’appello sono concordanti nella ricostruzione dei fatti (c.d. ‘doppia conforme’), il ricorso su questo punto è inammissibile, salvo casi eccezionali.

L’aver criticato via email un magistrato cambia la competenza territoriale del giudice del lavoro?
No. La sentenza chiarisce che se l’oggetto della causa è una sanzione disciplinare per un presunto inadempimento del contratto di lavoro, la competenza resta quella ordinaria del giudice del lavoro. Le norme sulla competenza per le cause in cui è parte un magistrato si applicano solo a specifiche azioni (es. risarcimento del danno da reato), non a una controversia di natura lavoristica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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