Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 4886 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 4886  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24759/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato  in INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  NOME COGNOME  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato  COGNOME NOME
-ricorrente- contro
COGNOME  NOME,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME  che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 1638/2022 depositata il 21/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
la Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 1638 del 2022, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato NOME COGNOME a consegnare a ll’appellante -attrice NOME COGNOME le chiavi di un cancello della recinzione apposta ad un’area comune in relazione alla quale le parti avevano pattuito, con contratto 9 aprile 2009, che il COGNOME avrebbe avuto ‘l’uso esclusivo, perpetuo e gratuito’ con facoltà di provvedere alla relativa recinzione, salvo il diritto della COGNOME di accedere all’area stessa allo scopo di eseguire il controllo e la manutenzione degli impianti condominiali comuni ivi collocati. La causa era insorta perché la COGNOME aveva lamentato che il COGNOME aveva sostituito la serratura del cancello, non aveva consegnato le chiavi della nuova serratura e le aveva così impedito di continuare ad accedere all’area come in precedenza. Inizialmente la COGNOME aveva anche chiesto che il COGNOME fosse condannato a tenere altrove un cane la cui presenza ostacolava l’accesso all’area. La Corte di Appello ha respinto la domanda della COGNOME di risarcimento del danno asseritamente subito per la mancata consegna delle chiavi ed ha compensato per intero le spese di entrambi i gradi di giudizio;
avverso questa sentenza il COGNOME (originario convenuto, risultato soccombente in appello) ricorre con cinque motivi contrastati con controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE;
le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con  il  primo  motivo  si  lamenta  in  relazione  all’art.  360,  primo comma,  n.3,  c.p.c.,  ‘violazione  e  falsa  applicazione  di  norme  di diritto in riferimento al diritto di accesso in materia condominiale e consegna  delle  chiavi  in  ragione  della  diversa  regolamentazione convenuta  fra  le  parti  su  materia  ex  art.  1322  c.c.  che  non  ha stabilito l’obbligazione delle chiavi, conseguente creazione di obbligazione  non  convenuta’.  Si  sostiene  che  la  Corte  di  Appello
avrebbe imposto al ricorrente il rispetto dell’obbligazione di consegna  delle  chiavi  malgrado  che  tale  obbligazione  non  fosse stata  pattuita.  Il  ricorrente  rimarca  che  le  pattuizioni  erano  nel senso che egli poteva ‘recintare l’area’;
con il terzo motivo (da esporre in successione rispetto al primo per evidenti ragioni di priorità logica) si lamenta in relazione all’art.360, primo comma, n.3, c.p.c., violazione degli artt.1362, 1365, 1337, 1375 c.c. Il motivo ripropone la doglianza veicolata con il primo motivo rimarcandosi ancora che, secondo le pattuizioni intervenute tra le parti, il ricorrente aveva diritto esclusivo sull’area e poteva chiuderla mentre non vi era alcuna pattuizione sull’obbligo di consegnare le chiavi del cancello. Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe finito per avallare una pretesa della COGNOME contraria al principio di buona fede contrattuale. Si deduce che la RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto ma non aveva provato di avere potuto fino al 2018, fino cioè alla apposizione della nuova serratura, accedere all’area;
con il quarto motivo si lamenta, ‘violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., di una norma contrattuale e di diritto/obbligazione determinato o non determinato, nel caso di specie fra le parti con la regolamentazione del caso atipico inerente l’accesso, nell’ambito del contrasto creato dal giudizio e condanna ad una obbligazione inesistente, consistente nella consegna delle chiavi non convenuta tra le stesse parti quindi in dissonanza dalle pattuizioni contrattuali che regolano il diritto inteso tra le stesse parti in forza di contratto, introducendo pertanto una norma/obbligazione contro il loro precedente regolamento o ampliando illegittimamente ciò che esse non avevano stabilito pertanto assumendo una determinazione e condanna oltre il potere di disposizioni ed in eccedenza’;
con il  quinto  motivo  di  ricorso  si  lamenta  ‘mancata  ed  omessa  o contraddittorio  esame  ex  art.  360,  primo  comma,  n.5,  c.p.c.,  in
merito alla mancata valutazione ex art.115 c.p.c. di un punto centrale del giudizio seppure rappresentato documentalmente (documento 3 di primo grado prodotto dal COGNOME e proveniente da controparte) ed ammesso da controparte. Conseguente stravolgimento del giudizio ed errore in giudicando per omessa valutazione di fatti centrali del giudizio e documenti di causa che attestano e provano il contrario’. Sotto questa rubrica si deduce che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’allegazione fatta dalla COGNOME nell’atto introduttivo della causa, per cui la stessa COGNOME aveva effettuato accessi all’area fino a che il COGNOME non aveva sostituito la serratura del cancello, era smentita dalla affermazione che l’avvocato della COGNOME aveva fatto in una lettera prodotta come documento 3 dal COGNOME, secondo cui la COGNOME non aveva mai effettuato intromissioni nel cortile concesso in uso al COGNOME;
il  primo  motivo  di  ricorso  e  il  terzo,  per  la  parte  non  coincidente con il quinto, possono essere esaminati assieme in quanto strettamente connessi.
Essi sono infondati.
La Corte di Appello era chiamata a comporre il contrasto insorto tra le parti in merito al se la COGNOME, per poter esercitare la facoltà, che le derivava dal contratto, di accedere all’area de qua, avesse diritto ad avere le chiavi del cancello oppure se non avesse diritto ad avere le chiavi e dovesse quindi, per accedere all’area, chiedere ogni volta al COGNOME di aprire il cancello della recinzione che questi aveva realizzato in forza di altra clausola del contratto (secondo cui il COGNOME aveva l’uso esclusivo dell’area ed era facoltizzato a recintarla). La Corte di Appello ha composto il contrasto interpretando le clausole contrattuali nel primo senso.
In  tema  di  interpretazione  dei  contratti  vale  il  principio  più  volte affermato  da  questa  Corte  di  legittimità  secondo  cui  ‘posto  che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di
un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata’ (Cass.n.9461 del 09/04/2021).
L’interpretazione sistematica (art. 1363 c.c.) delle clausole del contratto data dalla Corte di Appello si sottrae a critiche di illogicità. La Corte di Appello ha dato una interpretazione delle clausole, che, ispirata al principio di buona fede (art. 1366 c.c.), contempera la facoltà di chiudere il fondo, riconosciuta dal contratto al COGNOME, con la facoltà della COGNOME di accedervi, stabilita dallo stesso contratto. La Corte di Appello non ha, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, creato dal nulla una obbligazione di consegna delle chiavi ma si è mantenuta nell’ambito del potere riservato al giudice del merito di stabilire il modo in cui, in concreto, risultava possibile contemperare l’esercizio dei due diritti, di chiusura del fondo e di accesso al fondo, che le parti si erano reciprocamente riconosciute;
il quarto motivo  di ricorso è inammissibile perché prospetta una violazione o  falsa  applicazione  di ‘ norme  di  diritto ‘ senza neppure indicare quali siano le norme in ipotesi violate. Il motivo manca di specificità. Si applica il principio, più volte affermato da questa  Corte,  secondo  cui,  in  materia  di  procedimento  civile,  nel ricorso per cassazione il vizio
della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma n. 4, cod. proc. civ. deve essere, a pena d’inammissibilità’, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione’ (così, per tutte,
Cass. n.14832 del 27/06/2007);
il terzo motivo, per la parte relativa alla mancata prova – di cui la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto – della affermazione della COGNOME di avere, fino alla sostituzione della serratura del cancello da parte del COGNOME, effettuato liberamente l’accesso all’area, e il quinto motivo che ripropone la stessa questione in rapporto al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., per non avere la Corte di Appello tenuto conto di una missiva del difensore della COGNOME da cui emergeva che questa non aveva, prima della sostituzione della chiave, fatto accesso all’area, sono inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.) posto che la Corte di Appello non ha fatto riferimento a tali pregressi accessi e non aveva ragione di farvi riferimento, trattandosi di decidere, alla luce delle ricordate previsioni contrattuali, se alla RAGIONE_SOCIALE spettassero le chiavi della nuova serratura. Con specifico riguardo al quinto motivo di ricorso va poi osservato che, in ragione di quanto precede, non sussiste il requisito, espressamente previsto dalla norma, della decisività del fatto. Del tutto fuori luogo è poi il richiamo all’art. 115 c.p.c. Merita ricordare che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o
implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa  fuori  dei  poteri  officiosi  riconosciutigli,  salvo  il  dovere  di considerare  i  fatti  non  contestati  e  la  possibilità  di  ricorrere  al notorio (Cass. Sez. U. n.20867 del 30/09/2020). Nel caso di specie per la Corte di Appello non si poneva alcuna questione di prova di fatti controversi;
infine, sempre secondo un ordine logico delle questioni, va trattato il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la Corte di Appello compensato per intero le spese del processo laddove invece, in ragione del rigetto della domanda di risarcimento del danno e del rigetto dell’iniziale domanda della COGNOME di confinare un cane che, secondo lei, ostacolava l’accesso ai contatori e agli impianti, in un’area diversa da quella in questione, avrebbe dovuto porre le spese in maggiore misura a carico della RAGIONE_SOCIALE;
questo motivo è inammissibile.
Nel caso di specie nessuna parte è risultata totalmente vittoriosa. La Corte di Appello ha compensato le spese tra parti reciprocamente soccombenti. La decisione si sottrae al sindacato di questa Corte. E’ stato infatti affermato che: in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (tra le varie, Cass., n.15317 del 19/06/2013; Cass. n.8421/2017). È stato altresì affermato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi
tra  le  parti,  ai  sensi  dell’art.  92,  comma  2,  c.p.c.,  rientrano  nel potere  discrezionale  del  giudice  di merito,  che  resta  sottratto  al sindacato  di  legittimità,  non  essendo  egli  tenuto  a  rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30952 del 20/12/2017);
in  conclusione,  il  ricorso  deve  essere  rigettato,  con  inevitabile i addebito di spese per la parte soccombente; sussistono presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato;
PQM
la  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  a  rifondere  alla controricorrente le spese del giudizio  di legittimità, liquidate in € . 4.000,00,  per compensi  professionali,  €  200,00  per  esborsi  oltre rimborso  forfettario  delle  spese  generali  nella  misura  del  15%  e altri accessori di legge se dovuti.
Ai  sensi  dell’art.  13,  co.  1  quater  del  d.p.r.  115/2002,  si  dà  atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  ad  opera  del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a  quello  dovuto  per  il  ricorso,  a  norma  del  comma  1-bis  dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 15 gennaio 2025.