Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12936 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12936 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente
OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI (ART. 617 C.P.C.)
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliere relatore
dott. NOME COGNOME
Consigliere
Ad. 08/04/2025 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 4216/2024
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 4216 del ruolo generale dell’anno 2024, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: VDN MLC 41T59 D700S) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE
rappresentate e difese dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: PNN PLA 64R27 H501R) e NOME COGNOME (C.F: CODICE_FISCALE
-ricorrenti-
nei confronti di
COGNOME Salvatore (C.F.: CODICE_FISCALE
avvocato costituito in giudizio personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c.
-controricorrente-
nonché
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata- per la cassazione della sentenza del Tribunale di Udine n. 1174/2023, pubblicata in data 13 dicembre 2023; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio
dell’8 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
Nel corso di un procedimento esecutivo per espropriazione immobiliare, nel quale risultano avere spiegato intervento i creditori NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, le debitrici esecutate NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso un provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione ha disposto la correzione dell’ordinanza di vendita della piena proprietà di uno degli immobili pignorati, nel senso per cui di tale immobile avrebbe dovuto essere posta in vendita esclusivamente la nuda proprietà, gravata dal diritto di abitazione, ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., in favore di NOME COGNOME
L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Udine.
Ricorrono la COGNOME e la COGNOME sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso il Sagliocca.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altra intimata. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c., per la data del 19 dicembre 2024, poi rinviata alla presente data.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Si premette che il presente giudizio ha ad oggetto una opposizione agli atti esecutivi avanzata nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare promosso su una pluralità di immobili, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
L’opposizione riguarda, peraltro, uno solo degli immobili pignorati (il lotto 3), che risulta di proprietà comune delle due debitrici, segnatamente per la quota del 75% in capo alla COGNOME e per la quota del 25% in capo alla COGNOME, con diritto di
Ric. n. 4216/2024 – Sez. 3 – Ad. 8 aprile 2025 – Ordinanza – Pagina 2 di 16
abitazione in favore della COGNOME, ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c..
È opportuno precisare, in proposito, che (come viene, del resto, espressamente chiarito nella decisione impugnata) l’immobile di cui si discute risulta essere stato originariamente acquistato in comunione ordinaria al 50% tra la COGNOME e il coniuge di questa, NOME COGNOME, e adibito ad abitazione familiare; deceduto quest’ultimo, la COGNOME ha ereditato il 50% dell’asse, insieme alla figlia della coppia, NOME COGNOME.
In altri termini, la COGNOME ha, di fatto, acquistato, in via ereditaria, la metà della quota del 50% della proprietà dell’immobile spettante al coniuge, pari al 25% del totale, oltre al diritto di abitazione ex art. 540, comma 2, c.c..
2. Il ricorso è inammissibile.
Esso, in primo luogo, non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c..
Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 -01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 -01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 -01; Sez. 6 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato
(Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 -01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 -01; Cass., Sez. U, Sentenza n. 30754 del 28/11/2004).
Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.
Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.
2.1 In esso non è adeguatamente chiarito e puntualmente precisato: a) chi abbia dato corso all’espropriazione e sulla base di quale titolo esecutivo; b) quali fossero esattamente tutti gli immobili pignorati; c) se si trattava di tutti gli immobili caduti nella successione del COGNOME e, quindi, se siano state o meno pignorate le intere quote ereditarie di tutti gli immobili oggetto di successione in favore delle debitrici; d) chi siano i creditori intervenuti, la data dei relativi interventi, nei confronti di quale delle debitrici siano stati effettuati ed eventualmente sulla base di quali titoli esecutivi; e) in danno di chi sia avvenuto il pignoramento di ciascun immobile, ovvero se sia stata pignorata genericamente la totalità degli immobili caduti in successione ereditaria; f) se vi siano diritti di prelazione ed eventualmente in favore di quali creditori e su quali diritti immobiliari; g) l’esatto oggetto del ricorso per cassazione proposto dal COGNOME avverso la sentenza di secondo grado emessa nel giudizio di divisione endo-esecutiva.
La precisazione di tutti gli indicati elementi, relativi ai fatti processuali e, in particolare, a quelli essenziali che contraddistinguono il processo di esecuzione nell’ambito del quale è stata proposta l’opposizione agli atti esecutivi che costituisce oggetto della presente controversia (nonché il giudizio di divisione endo-esecutivo disposto nel corso di tale processo), sarebbe stata certamente necessaria, ai fini della decisione del presente ricorso, per valutare i presupposti processuali, la regolare instaurazione del contraddittorio e la stessa fondatezza nel merito delle censure svolte dalle ricorrenti.
2.2 Si deve, infatti, considerare, in primo luogo, che tutte le censure alla base del ricorso sono incentrate sull’assunto (quanto meno implicito) per cui la decisione del giudizio di divisione cd. endo-esecutiva relativo al bene immobile di cui si discute nella presente sede (che le stesse parti indicano come tuttora pendente in sede di legittimità, davanti alla Sez. 2 di questa Corte, iscritto nel R.G. con il n. 24128 dell’anno 2022) avrebbe carattere pregiudiziale, essendo in quella sede ancora in discus sione non solo l’estensione del diritto di abitazione spettante alla COGNOME ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., su tale immobile, ma anche la sua opponibilità ai creditori nella procedura esecutiva pendente e, quindi, la possibilità per il giudice dell’ esecuzione di disporre la vendita della piena proprietà di tale immobile ovvero esclusivamente della nuda proprietà, gravata dal suddetto diritto di abitazione.
Peraltro, le parti del giudizio in questione (come emerge già dall’epigrafe della sentenza che lo ha definito in secondo grado) non risultano le medesime del presente giudizio: per quanto è possibile ricavare dagli atti, oltre alle debitrici esecutate, risulta parte di quel giudizio il creditore intervenuto COGNOME (che è anche parte del presente giudizio), ma non l’altra parte del presente giudizio, RAGIONE_SOCIALE, che pure
risulterebbe tra i creditori intervenuti nel processo esecutivo; di quel giudizio, invece, risultano essere parti tali NOME COGNOME (quale creditore procedente nel processo esecutivo ed attore nel giudizio di divisione) ed NOME COGNOME (quale creditrice intervenuta nel processo esecutivo; almeno, così parrebbe doversi intendere), che non sono parti del presente giudizio (emerge dagli atti di causa anche il nominativo di tale NOME COGNOME soggetto che non compare nell’epigrafe della de cisione impugnata e che non viene chiarito che posizione processuale abbia assunto nella vicenda).
Può aggiungersi che, nella decisione che ha definito, allo stato, il giudizio di divisione endo-esecutivo, viene dato atto dell’esistenza di ulteriori creditori intervenuti nel processo esecutivo, non evocati in quella sede (si tratta della Soc. RAGIONE_SOCIALE, della Soc. Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di NOME COGNOME, dei quali viene espressamente esclusa la qualità di litisconsorti necessari, almeno in quel giudizio, senza che sia chiarita la loro posizione attuale e le ragioni per cui tali creditori intervenuti non sono stati evocati nel presente giudizio).
Neanche sono chiarite, nel ricorso, le vicende per cui eventualmente possa ritenersi fisiologica tale diversità di parti processuali, né le ragioni per cui le decisioni dei due diversi giudizi potrebbero eventualmente fare stato anche nei confronti delle parti che non hanno partecipato ad entrambi e, soprattutto, le ragioni per cui tali decisioni potrebbero fare comunque stato nei confronti di tutte le parti del processo esecutivo in corso (dovendo esse, in caso contrario, ritenersi prive di ogni utile efficacia in quel processo), parti che neanche sono specificamente indicate.
2.3 Da quanto sin qui rilevato discende che, sulla base dell’esposizione dei fatti di cui al ricorso, non è possibile verificare la regolare instaurazione del contraddittorio nel
presente giudizio, né quella relativa al giudizio che si assume essere ad esso pregiudiziale e, in realtà, neanche l’esistenza del preteso rapporto di effettiva pregiudizialità tra i due giudizi, quanto meno in funzione dell’opponibilità delle relative pronunzie a tutte le parti del processo esecutivo.
Ciò impedisce l’esame del merito delle censure con esso formulate, per la violazione del requisito di ammissibilità di cui all’art . 366, comma 1, n. 6, c.p.c..
Ad analogo esito, di inammissibilità del ricorso, si giunge, del resto, anche prendendo in esame analiticamente i singoli motivi di esso.
Di seguito le ragioni, che si espongono anche per completezza argomentativa.
3.1 Con il primo motivo del ricorso si denunzia « violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 295, 296 c.p.c. e 129 bis disp. att. c.p.c. , con riferimento all’ art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. in relazione all’istanza di sospensione del processo, in pendenza del giudizio in cassazione (R.G. n. 24128/2022) avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste n. 79/2022 ».
Le ricorrenti deducono che « il Giudice a quo ha sommariamente argomentato, in merito all’istanza di sospensione del giudizio di merito, formulata dalle odierne ricorrenti, senza peraltro provvedere nulla nel dispositivo in violazione dell’art. 112 c.p.c. » e, in particolare, affermano che « il Giudice di primo grado, nonostante fosse evidente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 295, 296 c.p.c e 129 bis disp. att. c.p.c., la necessità di sospendere il giudizio di merito, riteneva erroneamente di rigettare l’istanza, sulla base di presupposti del tutto infondati come verrà meglio argomentato nei successivi motivi ».
Il motivo è inammissibile.
Le ragioni per cui il tribunale ha rigettato l’istanza di sospensione del presente giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione di quello relativo al giudizio di divisione endo-esecutiva, sono ampiamente, puntualmente e dettagliatamente dallo stesso argomentate, con il richiamo, tra l’altro dei principi di diritto enunciati da questa Corte, in fattispecie del tutto analoga alla presente, secondo i quali « il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario nell ‘ ipotesi in cui la residenza familiare del ‘ de cuius ‘ sia ubicata in un immobile in comproprietà -e, per l ‘ indivisibilità dell ‘ immobile, non possa attuarsi il materiale distacco della porzione spettante al coniuge qualora l ‘ immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente -è applicabile anche all ‘ ipotesi in cui, a seguito della vendita all ‘ incanto dell ‘ immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite, risultando concretamente impossibile la separazione della porzione dell ‘ immobile spettante a quest ‘ ultimo » (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14594 del 30/07/2004).
In particolare, il tribunale ha ritenuto che l’esito del giudizio di divisione endo-esecutivo, una volta definitivamente statuito lo scioglimento della comunione sul bene pignorato mediante la sua integrale vendita, da effettuarsi in sede esecutiva, non potrebbe in alcun modo pregiudicare il diritto/dovere del giudice dell’esecuzione di disporre la vendita della piena proprietà di tale immobile per l’intero, in quanto la suddetta statuizione determina la conversione del diritto di abitazione spettante alla Vidoni ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., nel suo controvalore monetario, di modo che, per un verso, le questioni riguardanti l’estensione di tale diritto hanno rilievo esclusivamente nei rapporti interni fra quest’ultima e la coerede
COGNOME e possono farsi valere esclusivamente in sede di distribuzione e, per altro verso, l’oggetto del giudizio di divisione tuttora pendente non può ritenersi in alcun modo avere ad oggetto l’opponibilità del diritto di abitazione in questione ai creditori procedenti e/o intervenuti nel processo esecutivo (e di conseguenza all’aggiudicatario).
Di fronte ad un siffatto articolato e puntuale percorso argomentativo (peraltro ampiamente condivisibile, sia nelle sue premesse teoriche che nelle sue implicazioni concrete), le ricorrenti non oppongono alcuna specifica e chiara censura, in fatto o in diritto, che effettivamente con esso si confronti adeguatamente, limitandosi: a) a sostenere che il rigetto della loro istanza di sospensione sarebbe ‘ sommariamente argomentata ‘, il che costituisce censura di per sé manifestamente infondata, come appena visto; b) ad affermare, del tutto apoditticamente, che avrebbe dovuto ritenersi addirittura ‘ evidente ‘ la necessità di sospendere il presente giudizio, rinviando al contenuto dei successivi motivi per il più chiaro riscontro delle ragioni di tale apodittica affermazione.
Posto che, come sarà esposto nel prosieguo, in realtà anche i successivi motivi del ricorso risultano inammissibili, di quello in esame non può che rilevarsi, dunque, a sua volta, l’inammissibilità, per la manifesta infondatezza e l’assoluto difetto di specificità delle censure con esso formulate.
3.2 Con il secondo motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 115, 116 e 324 c.p.c., con riferimento all’ art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c., per violazione del giudicato interno ».
Le ricorrenti sostengono che sarebbe erronea ed illogica l’affermazione del tribunale secondo cui la statuizione di scioglimento della comunione sul bene pignorato, mediante vendita di esso in sede esecutiva, avrebbe determinato la
necessaria conversione del diritto di abitazione sullo stesso spettante alla COGNOME ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c. e, quindi, la possibilità di vendere l’immobile stesso per l’intera piena proprietà nel processo esecutivo.
Affermano, inoltre, che « l’enunciazione di questo principio cozza frontalmente con quanto disposto dalla stessa Corte di Appello di Trieste ».
C ontestano, infine, l’affermazione contenuta nella decisione impugnata, secondo cui nel giudizio di divisione si sarebbe formato il giudicato interno sulla statuizione di scioglimento della comunione sul bene pignorato, mediante vendita di esso in sede esecutiva.
Il motivo è inammissibile.
Le ricorrenti ribadiscono i loro assunti in ordine all’estensione del diritto di abitazione spettante alla COGNOME sul bene pignorato ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., questione che assumono essere ancora in discussione nel giudizio di divisione, pendente in sede di legittimità, ma non colgono adeguatamente l’effettivo senso logico e giuridico della decisione impugnata, sul punto in contestazione, e l’effettiva ratio decidendi alla sua base.
3.2.1 In primo luogo, risulta indiscutibile il rilievo operato dal tribunale per cui nel giudizio di divisione si è, ormai, formato il giudicato interno sulla statuizione di scioglimento della comunione sul bene pignorato, mediante vendita di esso in sede esecutiva: basti considerare che tale statuizione era stata gravata di appello dalle sole debitrici esecutate, che il loro appello è stato rigettato, sul punto, e che la decisione di secondo grado è stata impugnata con ricorso per cassazione dal solo creditore COGNOME
3.2.2 In ogni caso, le censure, relativamente a tale questione, risultano del tutto generiche e prive del necessario richiamo al contenuto degli atti su cui si fondano, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 6, c.p.c..
Che alla statuizione di scioglimento della comunione sul bene pignorato, mediante vendita di esso in sede esecutiva, consegua la conversione del diritto di abitazione spettante alla COGNOME nel suo controvalore monetario, risulta argomentato dallo stesso tribunale sulla base dei principi di diritto affermati da questa stessa Corte (si tratta dei principi più sopra già richiamati, sanciti da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14594 del 30/07/2004).
Che, di conseguenza, nel giudizio di divisione si controverta ormai dell’estensione del diritto di abitazione spettante alla COGNOME esclusivamente in relazione ai suoi rapporti interni con la COGNOME, che ciò determini l’irrilevanza del suo esito ai fini d ella presente opposizione, in quanto tale esito in nessun caso può impedire o escludere la possibilità della vendita della intera piena proprietà dell’immobile in sede esecutiva (potendo avere rilievo solo in sede di distribuzione del relativo ricavato) e che nel giudizio di divisione non è, in realtà, neanche in discussione l’opponibilità del diritto di abitazione ai creditori procedenti e intervenuti nel processo esecutivo (e, quindi, all’aggiudicatario), sono, infine, le conclusioni delle indicate premesse, coerenti e rigorosamente necessarie, sul piano logico e giuridico.
3.2.3 Tanto chiarito, risulta evidente che le ricorrenti non formulano alcuna specifica censura in relazione alle indicate premesse logiche, peraltro ampiamente e puntualmente argomentate dal tribunale, che implicano necessariamente le conclusioni da questo tratte con riguardo alla loro opposizione e, prima ancora, con riguardo alla loro istanza di sospensione del presente giudizio ai sensi dell’art. 29 5 c.p.c., limitandosi ad affermare, in modo del tutto apodittico, che le stesse sarebbero erronee e in contrasto con la sentenza che ha definito (allo stato, in secondo grado) il giudizio di divisione.
Non vi è, nello svolgimento del motivo di ricorso in esame, alcun confronto diretto e motivato rispetto alle argomentazioni in fatto e in diritto poste dal tribunale a base della sua decisione, tanto meno attraverso l’esposizione di argomenti a sostegno di principi di diritto contrari a quelli affermati dal tribunale (del resto conformi alla giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità), ovvero attraverso il richiamo del contenuto di atti e documenti di causa idonei a porre in discussione le affermazioni in fatto operate nella decisione impugnata.
Il motivo di ricorso di ricorso in esame risulta, pertanto, inammissibile, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4 e n. 6, c.p.c..
Tale complessiva situazione di sostanziale imperscrutabilità degli elementi indispensabili -senza neanche considerare la necessità di limitare l’applicazione dell’istituto della riunione in sede di legittimità ai casi dell’art. 335 c.p.c. e a situazioni di sostanziale impugnazione della medesima sentenza -conferma, al tempo stesso e per quanto possa occorrere, la necessaria reiezione, di cui al decreto del 29 luglio 2024, dell’istanza di riunione del presente ricorso con quello recante il n. di R.G. 24128/2022, pendente davanti alla Seconda Sezione Civile di questa stessa Corte.
3.3 Con il terzo motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione degli artt. 540, 2° comma, 649, 2643 e 2644 c.c., con riferimento all’ art. 360 n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. per asserita estinzione del diritto di abitazione del coniuge superstite, con conseguente alienazione della piena proprietà anziché della sola nuda proprietà dell’immobile ».
Le ricorrenti sostengono che il diritto di abitazione del coniuge superstite , previsto dall’ art. 540, comma 2, c.c., essendo sorto anteriormente alla trascrizione del pignoramento, sarebbe opponibile a tutti creditori intervenuti nel processo esecutivo. Richiamano, a sostegno del loro assunto, i principi espressi in
un recente precedente di questa stessa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4092 del 09/02/2023, così massimata: « il diritto di abitazione spettante al coniuge ex art. 540 c.c. è opponibile al creditore che abbia pignorato, in danno di un coerede, una quota indivisa della proprietà dell ‘ immobile, anche se non sia stato trascritto, o lo sia stato successivamente all ‘ iscrizione ipotecaria e alla trascrizione del pignoramento, trattandosi di diritti diversi e concettualmente compatibili e non verificandosi, quindi, la situazione di conflitto tra acquirenti dal medesimo autore di diritti tra loro incompatibili, presupposto per l ‘ applicazione dell ‘ art. 2644 c.c., con la conseguenza che, in tal caso, oggetto della procedura esecutiva deve ritenersi il diritto di nuda proprietà o, quanto meno, il diritto di proprietà limitato dal suddetto diritto reale di godimento »).
Anche il motivo in esame è inammissibile, per difetto di specificità.
È sufficiente osservare, in proposito, in primo luogo, che il precedente richiamato dalle ricorrenti riguarda una fattispecie del tutto diversa da quella di cui al presente giudizio e, precisamente, riguarda l’ipotesi in cui il coniuge superstite, non esecutato, faccia valere (ai sensi dell’art. 619 c.p.c.) l’opponibilità del proprio diritto di abitazione, acquisito ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., nei confronti dei creditori che abbiano pignorato l’immobile stesso in danno di un altro coerede.
Nella presente fattispecie, al contrario, il coniuge superstite è proprio il debitore esecutato ed è titolare della piena proprietà, relativamente ad una quota del 75% dell’immobile pignorato, oltre che del diritto di abitazione sul medesimo che, peraltro, risulta pignorato per l’intero anche nei confronti dell’unico altro soggetto che vanta il diritto di (nuda) proprietà sul residuo 25%.
Si tratta, quindi, di fattispecie del tutto differenti e i principi esposti nel precedente richiamato dalle ricorrenti di certo non possono essere estesi ed applicati nella presente fattispecie, in cui vi è stato il pignoramento dell’intero immobile, in da nno di tutti i soggetti titolari di diritti reali sul medesimo, specie dopo la statuizione che ha disposto lo scioglimento della comunione mediante la vendita di esso, da attuarsi in sede esecutiva, come correttamente osservato dal tribunale nella decisione impugnata.
D’altra parte, non risultano adeguatamente argomentati, se non con il richiamo al precedente appena indicato -che è però, come appena chiarito, del tutto inconferente rispetto alla presente fattispecie concreta -i contrari assunti delle ricorrenti, secondo cui in tal caso la debitrice esecutata, titolare del diritto di piena proprietà sul 75% dell’immobile pigno rato, oltre che del diritto di abitazione sullo stesso, ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c., potrebbe in ogni caso opporre tale diritto di abita zione ai suoi creditori, sull’intero immobile : al punto che, paradossalmente, si dovrebbe liquidare la sola nuda proprietà di esso, nonostante sia caduta in successione solo una quota del 50% del medesimo, e secondo cui neanche la statuizione che ha disposto lo scioglimento della comunione mediante la vendita dell’intero bene, da attuarsi in sede esecutiva, potrebbe superare tale conflitto.
3.4 Con il quarto motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 345 e 346 c.p.c., con riferimento all’ art. 360 n. 4 c.p.c., per mancato riconoscimento della domanda nuova svolta nel giudizio di merito rispetto a quella originaria domanda formulata nell’atto di opposizione agli atti esecutivi ».
Anche l’ultimo m otivo del ricorso risulta inammissibile.
Le ricorrenti sostengono che il COGNOME avrebbe avanzato una domanda nuova, in via subordinata, nell’instaurare il giudizio di merito dell’opposizione.
Precisamente, in via subordinata rispetto alla domanda principale, con la quale aveva chiesto « che l’immobile venisse posto in vendita per l’intera proprietà, libero dal diritto di abitazione, che però si riconosceva esistere come gravante sul ¼ della proprietà », avrebbe avanzato una domanda subordinata, con cui « chiede soltanto che l’immobile vada posto in vendita per l’intera proprietà libero dal diritto di abitazione, senza specificare se lo stesso si estenda su ¼ o su tutto l’immobile ».
A prescindere dalla (invero quanto meno dubbia) possibilità di ravvisare carattere di novità a tale domanda subordinata (che pare, al contrario, addirittura una limitazione di quella originaria), è agevole osservare che la censura è inammissibile per difetto di interesse, non essendo stata neanche presa in considerazione dal giudice del merito la pretesa nuova domanda, avanzata comunque in via subordinata.
Il tribunale ha, infatti, accolto l’opposizione affermando che la vendita del bene pignorato doveva avvenire per l’intera piena proprietà, ritenendo irrilevanti, nell’ambito della presente opposizione tutte le questioni attinenti all’estensione del diritto di abitazione spettante alla COGNOME, le quali potrebbero avere rilievo solo in fase di distribuzione.
4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Nulla è a dirsi in ordine alle spese del presente procedimento, in considerazione della irregolare costituzione e della conseguente inammissibilità dell’attività difensiva svolta dall’intimato COGNOME che ha depositato il suo controricorso solo in data 19 marzo 2024 e, quindi, oltre il termine perentorio di quaranta giorni dalla notificazione del ricorso (avvenuta in data 7 febbraio 2024) stabilito dall’art. 370 c.p.c., tenuto conto
che, essendo l’anno 2024 bisestile, detto termine era scaduto in data lunedì 18 marzo 2024.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-dichiara inammissibile il ricorso;
-dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione