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Diritto del Lavoro

Indennità di esclusività: no automatismo per medici
Un dirigente medico ha richiesto il riconoscimento di un incarico superiore e l'aumento dell'indennità di esclusività dopo aver maturato 5 anni di servizio. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che non esiste alcun automatismo nell'attribuzione degli incarichi, i quali dipendono dalla disponibilità di posti e fondi. Inoltre, l'incremento dell'indennità è stato considerato una normale progressione di carriera, soggetta al blocco stipendiale previsto per il pubblico impiego e non un evento straordinario.
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Licenziamento collettivo: illegittimo senza confronto
La Corte di Cassazione ha confermato l'illegittimità di un licenziamento collettivo in cui un'azienda aveva limitato la platea dei lavoratori da licenziare a una sola sede geografica, senza confrontare le loro professionalità con quelle dei colleghi di altre sedi. Secondo la Corte, in assenza di comprovate esigenze tecnico-produttive che giustifichino tale limitazione, la comparazione deve avvenire a livello aziendale complessivo per garantire una corretta applicazione dei criteri di scelta. Il ricorso dell'azienda è stato quindi respinto.
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Licenziamento per giusta causa: furto in azienda
Un cuoco è stato licenziato per aver sottratto ripetutamente generi alimentari dal suo luogo di lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, stabilendo che il furto reiterato, anche di beni di modesto valore, costituisce una grave violazione del vincolo fiduciario che lede irreparabilmente il rapporto di lavoro. La Corte ha inoltre precisato che un certificato medico generico non è sufficiente a giustificare il rinvio di un'audizione disciplinare.
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Indennità di esclusività: no aumento con blocco stipendi
Un dirigente medico ha richiesto un incarico superiore e l'aumento dell'indennità di esclusività dopo cinque anni di servizio. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che l'assegnazione di incarichi non è automatica ma dipende da fondi e posti disponibili. Inoltre, ha confermato che l'incremento dell'indennità rientra nel blocco stipendiale del pubblico impiego, non essendo un "evento straordinario" della dinamica retributiva.
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Comando dipendente pubblico: chi è responsabile?
Un dipendente di un'agenzia pubblica, in comando dipendente pubblico presso una società privata, ha citato l'agenzia per demansionamento. La Cassazione ha ribaltato le decisioni precedenti, affermando che l'amministrazione di appartenenza mantiene la legittimazione passiva e la responsabilità sulla gestione del rapporto di lavoro, inclusi gli oneri economici derivanti da un eventuale demansionamento.
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Incarico dirigenziale: la retribuzione si adegua
Una dirigente medico ha ottenuto il riconoscimento di una retribuzione superiore per aver di fatto diretto una 'struttura semplice' all'interno di un'azienda sanitaria. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni di merito, dichiarando inammissibile il ricorso dell'azienda. La Corte ha stabilito che la qualificazione di un incarico dirigenziale si basa sulle concrete responsabilità e autonomie gestionali, una valutazione di fatto che non può essere riesaminata in sede di legittimità.
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Licenziamento collettivo: obbligo di scelta nazionale
La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo un licenziamento collettivo in cui l'azienda aveva limitato la selezione del personale da licenziare ai soli dipendenti di una specifica sede produttiva. La Corte ha ribadito che la platea di comparazione deve estendersi a tutti i lavoratori con professionalità simili nell'intera organizzazione aziendale, indipendentemente dalla loro collocazione geografica, confermando il diritto del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro.
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Licenziamento collettivo: la scelta dei lavoratori
La Corte di Cassazione ha confermato l'illegittimità di un licenziamento collettivo in cui una società aveva limitato la selezione del personale da licenziare ai soli dipendenti di una specifica sede, ignorando altre figure professionali comparabili presenti in altre filiali. Secondo la Corte, in assenza di comprovate e specifiche ragioni tecnico-produttive, la platea dei lavoratori da considerare deve estendersi all'intero complesso aziendale per garantire una scelta corretta e trasparente.
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Licenziamento collettivo: obbligo di confronto aziendale
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una società tecnologica, confermando l'illegittimità di un licenziamento collettivo. La sentenza ribadisce un principio fondamentale: in caso di chiusura di una sede, la platea dei lavoratori da includere nei criteri di scelta non può essere limitata ai soli dipendenti di quella sede, ma deve estendersi a tutta l'azienda, a meno che non sussistano comprovate e specifiche ragioni tecnico-produttive. La distanza geografica tra le sedi non è, di per sé, una giustificazione sufficiente.
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Eccezione di prescrizione: l’onere della prova in giudizio
Un lavoratore agricolo ha citato in giudizio gli eredi del suo datore di lavoro per ottenere il pagamento di differenze retributive maturate in un rapporto di lavoro quarantennale. Gli eredi hanno sollevato un'eccezione di prescrizione, sostenendo che il diritto del lavoratore si era estinto. La Corte di Cassazione, confermando le decisioni dei gradi precedenti, ha rigettato il ricorso del lavoratore. La Corte ha chiarito che, sebbene spetti a chi solleva l'eccezione di prescrizione allegare i fatti su cui essa si fonda (come la data di cessazione del rapporto), il lavoratore non è esonerato dal provare la continuità del rapporto di lavoro nel periodo rilevante ai fini della prescrizione. Non avendo fornito tale prova, la sua domanda è stata considerata prescritta.
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Carenza di interesse: ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1353/2024, ha chiarito che una rinuncia al ricorso, sebbene presentata in modo irrituale (senza le firme richieste), non causa l'estinzione del giudizio ma ne determina l'inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Di conseguenza, la parte che ha rinunciato, in questo caso un ente comunale, è stata condannata al pagamento delle spese legali, poiché il suo atto, pur non formalmente perfetto, ha manifestato in modo inequivocabile la volontà di non proseguire il contenzioso.
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Danno da demansionamento: onere della prova e risarcimento
Un medico subisce una riduzione dell'attività chirurgica dal suo superiore. La Cassazione conferma la condanna dell'Azienda Sanitaria per danno da demansionamento, chiarendo l'onere della prova a carico del lavoratore e la possibilità di liquidazione equitativa del danno patrimoniale alla professionalità.
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Deposito telematico: errore fatale e rimessione termini
Un'ordinanza della Corte di Cassazione ha stabilito che un 'errore fatale' nel deposito telematico non implica automaticamente la colpa dell'avvocato. La Corte ha annullato una decisione che negava la rimessione in termini a un legale, ritenendo che il tempo impiegato per reagire all'errore (undici giorni) fosse ragionevole. Viene così riaffermato il principio per cui la valutazione della colpa deve essere concreta e non presunta dal solo messaggio di errore del sistema.
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Mansioni superiori pubblico impiego: no alla promozione
Un dipendente di un'agenzia regionale, pur svolgendo mansioni superiori come autista di mezzi antincendio, non ha ottenuto la promozione automatica. La Corte di Cassazione ha stabilito che nel pubblico impiego, anche se si applica un CCNL privato, prevale la normativa pubblicistica (D.Lgs. 165/2001). Pertanto, il lavoratore ha diritto solo alla maggiore retribuzione per il periodo in cui ha svolto le mansioni superiori, ma non all'inquadramento definitivo nel livello superiore, che nel settore pubblico avviene solo tramite concorso.
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Mansioni superiori pubblico impiego: no promozione
Un dipendente di un'agenzia pubblica, adibito a mansioni superiori rispetto al suo inquadramento, ha chiesto la promozione automatica. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione dei giudici di merito, ha stabilito che nel pubblico impiego lo svolgimento di mansioni superiori dà diritto unicamente alle differenze retributive per il periodo in cui sono state effettivamente svolte, ma non a un inquadramento superiore definitivo. La Corte ha chiarito che le norme pubblicistiche (D.Lgs. 165/2001) prevalgono sulle disposizioni di un contratto collettivo di natura privatistica eventualmente applicato al rapporto.
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Licenziamento per giusta causa: la Cassazione decide
Un istituto di credito ha impugnato in Cassazione la sentenza che dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente, accusato di scarsa collaborazione e basso rendimento. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. L'ordinanza sottolinea che le contestazioni disciplinari devono essere specifiche e non generiche, e che l'onere di provare i fatti addebitati grava interamente sul datore di lavoro. Il licenziamento per giusta causa è stato quindi annullato per carenza di prove concrete.
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Rapporto di lavoro subordinato: quando è inesistente?
La Corte di Cassazione conferma la decisione di merito che nega l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a un soggetto che, pur rivendicando tale status, agiva in realtà come amministratore di fatto e gestore esclusivo della società. La Corte ha ritenuto che la mancanza di subordinazione, elemento essenziale del rapporto di lavoro, rendesse infondate tutte le successive pretese, inclusa l'impugnazione di un licenziamento seguito a una cessione d'azienda.
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Licenziamento orale: la prova spetta al lavoratore
Un'ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce l'onere della prova nel caso di licenziamento orale. Un pizzaiolo, licenziato verbalmente, si è visto riconoscere le sue ragioni. La Corte ha stabilito che, sebbene spetti al lavoratore dimostrare il licenziamento, la prova può essere fornita anche tramite indizi e testimonianze, non essendo sufficiente la mera interruzione del rapporto di lavoro. La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d'Appello, che aveva accertato la natura subordinata del rapporto e l'illegittimità del licenziamento orale, rigettando il ricorso del datore di lavoro.
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Incentivo alta sorveglianza: quale norma si applica?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 1329/2024, ha stabilito un principio chiave per l'attribuzione di un incentivo per alta sorveglianza. In un caso riguardante dipendenti di una società pubblica, la Corte ha chiarito che la normativa applicabile è quella vigente al momento del conferimento formale dell'incarico specifico, e non quella in vigore all'inizio del progetto generale. La decisione si fonda sul principio del 'tempus regit actum', confermando che l'atto di assegnazione delle responsabilità determina la disciplina retributiva da seguire, respingendo le tesi della società che invocava un regolamento precedente meno favorevole ai lavoratori.
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Incentivo all’esodo: accordo verbale non provato
Una ex dipendente ha richiesto il ricalcolo del suo incentivo all'esodo, sostenendo l'esistenza di un accordo verbale per adeguarlo a una sopravvenuta modifica dell'età pensionabile. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando il principio della 'doppia conforme' e la mancata prova da parte della lavoratrice dell'esistenza e della non contestazione di tale accordo verbale nel giudizio di primo grado.
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