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Diritto del Lavoro

Incarico aggiuntivo: onere della prova e compenso
Un dirigente pubblico ha richiesto un cospicuo compenso per un incarico aggiuntivo di direttore di una rivista, svolto per oltre un decennio. La Corte di Cassazione ha confermato il rigetto della domanda, dichiarando il ricorso inammissibile. La ragione fondamentale risiede nella genericità delle allegazioni del ricorrente, che non ha fornito prove sufficienti sulla qualità e quantità del lavoro svolto, rendendo impossibile per i giudici quantificare un eventuale compenso. La sentenza sottolinea il principio fondamentale dell'onere della prova a carico di chi avanza una pretesa economica.
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Contributi socio srl: quando gli utili sono esclusi
La Corte di Cassazione ha stabilito che i profitti derivanti dalla mera partecipazione in una società a responsabilità limitata non sono soggetti a contribuzione previdenziale se il socio non svolge un'attività lavorativa abituale e prevalente all'interno della stessa. L'ordinanza analizza il caso di un agente di commercio, chiarendo che i suoi utili da socio srl costituiscono reddito di capitale e non d'impresa, escludendoli dalla base imponibile per i contributi INPS. Questa decisione rafforza il principio secondo cui la qualifica di socio non implica automaticamente l'obbligo di versare i contributi socio srl sui dividendi.
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Compenso medici penitenziari: no adeguamento automatico
Un gruppo di medici penitenziari, dopo il trasferimento dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale, ha richiesto l'adeguamento biennale del compenso previsto dalla normativa precedente. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il nuovo inquadramento giuridico è regolato dalla contrattazione collettiva, che non prevede tale automatismo. Anche la domanda per ingiustificato arricchimento è stata giudicata inammissibile.
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Retribuzione mansioni superiori: la decisione della Corte
Una dipendente comunale svolgeva mansioni dirigenziali pur non avendo la qualifica. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in assenza di una posizione dirigenziale formalmente istituita nell'organico dell'ente locale, non spetta l'intera retribuzione mansioni superiori, ma solo la specifica indennità di posizione prevista dalla contrattazione collettiva. La Corte ha cassato la precedente sentenza d'appello, che aveva erroneamente applicato la regola generale invece della disciplina speciale per gli enti locali minori.
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Obbligo contributivo: la giurisdizione è del giudice
Un dipendente pubblico ha citato in giudizio il suo datore di lavoro, un ente regionale, per il mancato versamento di contributi previdenziali relativi a un periodo di aspettativa. I tribunali di merito avevano negato la propria giurisdizione, indicando la competenza della Corte dei Conti. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che la giurisdizione spetta al giudice ordinario del lavoro, poiché la controversia riguarda primariamente l'obbligo contributivo del datore di lavoro, che nasce direttamente dal rapporto di impiego, e non il diritto alla pensione in sé.
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Retribuzione superiore: no se la promozione è revocata
La Corte di Cassazione ha stabilito che un dipendente pubblico non ha diritto a mantenere la retribuzione superiore percepita in base a una promozione poi revocata. Se il contratto collettivo prevede progressioni puramente economiche all'interno della stessa area, senza un cambio di mansioni, l'ente può legittimamente recuperare le somme erogate in eccesso. La decisione chiarisce che un livello economico superiore non implica automaticamente lo svolgimento di mansioni superiori, ribaltando le decisioni dei gradi di merito.
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Opposizione avviso di addebito: termini perentori
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20127/2024, ha stabilito che l'opposizione a un avviso di addebito per contributi previdenziali deve essere proposta entro il termine perentorio di 40 giorni dalla notifica. Questo obbligo sussiste anche se è già pendente un giudizio di accertamento negativo sullo stesso credito. La mancata opposizione nei termini rende la pretesa contributiva definitiva e incontestabile, consolidando il titolo esecutivo in capo all'ente previdenziale.
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Lavoro subordinato: onere della prova del lavoratore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che chiedeva il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato per un periodo coperto da contratti di collaborazione autonoma. La Corte ha stabilito che non è sufficiente contestare la veridicità del contratto formale; il lavoratore ha l'onere di provare concretamente gli elementi tipici della subordinazione, come l'assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro. La valutazione dei fatti spetta al giudice di merito e non è, di norma, sindacabile in Cassazione.
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Risarcimento abuso precariato: la Cassazione chiarisce
Un'infermiera, dopo anni di contratti a termine con un'azienda sanitaria pubblica, veniva assunta a tempo indeterminato tramite concorso. L'azienda sosteneva che ciò annullasse il diritto a un indennizzo. La Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, chiarendo che vincere un concorso non costituisce un rimedio diretto per il passato illecito. La Corte ha quindi confermato il diritto al risarcimento per l'abuso di precariato, poiché l'assunzione non aveva l'effetto sanzionatorio richiesto dalla normativa europea per la precedente condotta illegittima.
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Assoluzione penale e licenziamento: i limiti del P.A.
Un dipendente pubblico è stato licenziato da un Comune per presunta falsa attestazione della presenza in servizio. A seguito di un'assoluzione penale definitiva con la formula "perché il fatto non sussiste", la Corte d'Appello ha annullato il licenziamento. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Comune, confermando che l'assoluzione penale e licenziamento sono strettamente connessi. La Corte ha chiarito che la sentenza penale di assoluzione perché il fatto non è avvenuto ha efficacia vincolante nel giudizio disciplinare, a condizione che i fatti contestati siano identici e non residuino altri elementi di rilevanza disciplinare.
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Responsabilità solidale appalto: la Cassazione decide
La Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità solidale appalto a carico di due società committenti per i crediti retributivi di un autista dipendente della società appaltatrice. La Corte ha qualificato il rapporto come appalto di servizi, e non mero trasporto, data la complessità delle mansioni svolte dal lavoratore (carico, scarico, magazzinaggio). La decisione sottolinea come la presenza di più committenti non escluda l'applicazione della tutela prevista per i lavoratori.
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Trasferimento ramo d’azienda: quando è illegittimo?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 20083/2024, ha dichiarato illegittimo un trasferimento di ramo d'azienda poiché l'entità trasferita non possedeva i requisiti di preesistenza e autonomia funzionale. Il caso riguardava un gruppo di lavoratori trasferiti da una società editoriale a una di servizi, ma la Corte ha rilevato che si trattava di una mera esternalizzazione di personale, in quanto il 'ramo' era un aggregato eterogeneo di dipendenti senza un'organizzazione unificante, un know-how comune o beni significativi. La decisione ribadisce che un ramo d'azienda non può essere creato 'ad hoc' al solo scopo del trasferimento.
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Licenziamento lavoratrice madre: quando è nullo?
Una società licenzia una dipendente entro il primo anno di vita del figlio, adducendo come motivazione la chiusura del reparto in cui operava. La Corte d'Appello conferma la nullità del licenziamento lavoratrice madre, chiarendo che le eccezioni al divieto di recesso sono tassative e non includono la chiusura di una singola unità produttiva, ma solo la cessazione dell'intera attività aziendale o la scadenza di un contratto a termine, ipotesi non verificatesi nel caso di specie.
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Giurisdizione giudice ordinario: licenziamento PA
Un dirigente pubblico, il cui rapporto di lavoro a tempo determinato è stato interrotto a seguito di una delibera regionale, ha citato in giudizio l'amministrazione. La Regione ha sollevato questione di giurisdizione, sostenendo la competenza del giudice amministrativo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando la giurisdizione del giudice ordinario. La decisione si fonda sul principio del 'petitum sostanziale', secondo cui la controversia, riguardando un diritto soggettivo nascente da un rapporto di lavoro privatizzato, rientra nella competenza del giudice del lavoro, che può disapplicare l'atto amministrativo presupposto.
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Blocco stipendi PA: si applica a contratti privati?
Un lavoratore, dipendente di un Comune ma con contratto del settore privato edile, ha richiesto gli aumenti retributivi negati a causa del blocco stipendi PA. La Corte d'Appello ha respinto la sua richiesta, privilegiando la natura pubblica del datore di lavoro. La Corte di Cassazione, ritenendo la questione inedita e di particolare importanza, ha rinviato la decisione a una pubblica udienza per definire l'applicabilità del blocco a questi rapporti di lavoro ibridi.
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Retribuzione di risultato: fondi medici e veterinari
Un dirigente veterinario ha contestato l'unificazione del fondo per la retribuzione di risultato con quello dei dirigenti medici, sostenendo un pregiudizio economico. La Corte di Cassazione ha accolto la sua tesi, stabilendo che la contrattazione collettiva del periodo prevedeva fondi distinti. La Corte ha invece rigettato la richiesta di indennità di polizia giudiziaria, poiché per il periodo in questione era necessaria una nomina formale non dimostrata.
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Indennità di coordinamento: serve la prova effettiva
Una lavoratrice del settore sanitario ha richiesto il riconoscimento della cosiddetta indennità di coordinamento e la conseguente riclassificazione in una categoria superiore. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la sola qualifica formale di 'coordinatore' non è sufficiente. È indispensabile fornire una prova concreta e formale dell'effettivo svolgimento delle mansioni di coordinamento alla data specifica richiesta dal contratto collettivo nazionale, supportata da un atto formale del datore di lavoro.
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Ripristino rapporto di lavoro e cessione d’azienda
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19354/2024, ha stabilito un principio cruciale a tutela dei lavoratori: il fallimento del datore di lavoro non impedisce il ripristino del rapporto di lavoro. Se l'azienda viene ceduta, il rapporto, una volta accertata la sua illegittima interruzione, si trasferisce automaticamente al nuovo acquirente. La Corte ha chiarito che la continuità aziendale garantita dalla cessione prevale, assicurando il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro con il nuovo soggetto giuridico, invalidando le clausole contrattuali che escludevano tale trasferimento se non supportate da specifici accordi sindacali.
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Diritto di precedenza: quando esercitarlo? La Cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19348/2024, ha stabilito che il diritto di precedenza per l'assunzione a tempo indeterminato, maturato da un lavoratore con contratti a termine, può essere esercitato non solo dopo la cessazione del rapporto, ma anche durante la vigenza di un successivo contratto a termine. La Corte ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto tardiva la manifestazione di volontà della lavoratrice, chiarendo che la legge fissa un termine finale (ad quem) per l'esercizio del diritto, ma non un termine iniziale (a quo). Pertanto, una volta maturato il requisito dei sei mesi di lavoro, il lavoratore può far valere la precedenza.
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Cancellazione crediti previdenziali: la Cassazione
Un ente previdenziale ha contestato l'annullamento automatico per legge dei suoi crediti contributivi, gestiti dall'agenzia di riscossione. La Corte di Cassazione, di fronte a tale questione sulla cancellazione crediti previdenziali, ha emesso un'ordinanza interlocutoria, sospendendo la decisione in attesa della risoluzione di un caso analogo già in discussione, al fine di garantire uniformità di giudizio.
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