Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5569 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 5569  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14816/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati  in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME,
-ricorrenti- contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO
-controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 160/2020 depositata il 29.1.2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 17.10.2007, COGNOME NOME e la figlia COGNOME NOME convenivano innanzi al Tribunale di Foggia, sezione distaccata di Trinitapoli, NOME, fratello del primo. Gli attori deducevano di essere proprietari di un fabbricato a uso abitativo sito in Trinitapoli, composto da un piano terreno e un primo piano, oltre un secondo piano adibito a vani tecnici, realizzato da COGNOME NOME su un terreno ricevuto in donazione dal padre COGNOME NOME nel 1955. Il donante era, a sua volta, proprietario del fondo confinante, sul quale aveva costruito un fabbricato al piano terreno.
L’atto di liberalità prevedeva che COGNOME NOME dovesse costruire, su una porzione del terreno trasferitogli, una scala che consentisse l’accesso  ai  lastrici  solari  edificati  e  da  edificare,  e  che  la  stessa sarebbe stata in comproprietà tra il donante ed il donatario.
Con successiva donazione del 1972, COGNOME NOME trasferiva la proprietà del suo fabbricato al piano terra ed i lastrici solari relativi al  NOME  NOME,  il  quale  sopraelevava  il  fabbricato  ricevuto  in donazione con un ulteriore piano e realizzava una seconda rampa di scale.
NOME NOME provvedeva, a sua volta, a demolire il fabbricato al piano terreno edificato nel 1955 e ad edificare un nuovo fabbricato in economia su quattro piani, (il primo destinato ad abitazione di NOME ed il secondo a volume tecnico), che ancora nel 1980 era allo stato rustico, ed i germani si accordavano per murare temporaneamente l’accesso al ballatoio che consentiva dalla proprietà di NOME di accedere alla seconda rampa, ballatoio accessibile dall’appartamento di NOME, per evitare intrusioni nella proprietà del convenuto, fintantoché non fossero ultimati i lavori di edificazione dell’attore. Tuttavia, terminati i
lavori,  COGNOME,  dopo  avere  incaricato  un  tecnico  (il  prof.  COGNOME) per stimare il valore delle opere di realizzazione della scala di accesso ai piani superiori e le spese da lui allo scopo sostenute, rifiutava l’apertura del varco.
Gli attori domandavano quindi l’accertamento della comproprietà della scala sulla base di quanto disposto dal donante COGNOME NOME, la condanna di COGNOME NOME a subire l’apertura del varco di accesso al ballatoio che permetteva di accedere alla seconda rampa ed ai volumi tecnici, oltre al risarcimento dei danni patiti per non aver potuto godere della cosa comune, ed in seguito anche per le infiltrazioni di acqua subite dall’appartamento di COGNOME NOME, che non aveva potuto accedere, tramite la seconda rampa, ai sovrastanti volumi tecnici per eliminare le cause delle infiltrazioni del suo appartamento.
Si costituiva in giudizio COGNOME, che sosteneva di avere realizzato personalmente la scala nel 1975, consentendo al fratello l’uso della prima rampa per mera tolleranza, mentre la seconda rampa, del tutto svincolata dalla prima, partiva dalla sua abitazione, e chiedeva il rigetto delle domande attoree, la dichiarazione di intervenuta usucapione dell’intera scalinata o, quanto meno, della seconda rampa, e la condanna della controparte, che aveva reso comune per l’edificazione del suo fabbricato il muro perimetrale realizzato dal fratello, a mettere in regola il fabbricato con la normativa urbanistica ed antisismica, ed in subordine, in ipotesi di accoglimento delle domande degli attori sulla titolarità della scala, la loro condanna al pagamento della metà delle spese che aveva sostenuto per la realizzazione della scala.
Con la sentenza n. 2369/2015 il Tribunale di Foggia, previo espletamento  di  CTU,  riguardante  anche  l’ubicazione  della  prima rampa  di  scale,  rigettava  le  domande  attoree,  ritenendo  che  la prima rampa di scale costruita da COGNOME NOME, come impostogli
dalla donazione paterna, sulla sua proprietà, era stata demolita e ricostruita dal fratello COGNOME NOME, mentre la seconda rampa era stata costruita da COGNOME NOME, in quanto il fratello non aveva provveduto a realizzare la scala di accesso al secondo piano come previsto dalla donazione di COGNOME NOME e non ne era quindi divenuto comproprietario secondo la previsione della donazione paterna, che il ballatoio era stato realizzato in tufo (materiale usato per la costruzione di COGNOME, mentre quella di NOME era in cemento armato) e che la seconda rampa di scale, del tutto autonoma, a servizio esclusivo dell’appartamento di COGNOME, era stata dal medesimo usucapita per possesso uti dominus ultraventennale. Veniva altresì rigettata la domanda risarcitoria degli attori, in quanto le infiltrazioni erano state determinate dallo stesso intervento edificatorio di COGNOME NOME non a regola d’arte sul lastrico solare, e per la loro eliminazione non era indispensabile passare sulla proprietà del fratello COGNOME. Veniva anche respinta la riconvenzionale di COGNOME NOME relativa alla violazione urbanistica ed antisismica, in quanto si accertava che il fabbricato di COGNOME NOME era stato costruito in appoggio, e non con inglobamento del muro perimetrale di COGNOME NOME.
Avverso tale sentenza proponevano appello principale COGNOME NOME e COGNOME NOME, reiterando le richieste di primo grado e, in particolare, insistendo per l’accertamento della comproprietà dell’area di sedime della scala, e sostenendo che la seconda rampa era stata realizzata in corrispondenza della prima rampa, ed appello incidentale COGNOME NOME, che reiterava le domande relative alla violazione della normativa urbanistica ed antisismica ed all’inglobamento del suo muro perimetrale e la sua domanda subordinata.
Con sentenza n. 160/2020 dell’8/29.1.2020, la Corte di Appello di Bari rigettava entrambi  gli  appelli,  compensando  le  spese
processuali. Anzitutto, la Corte d’Appello osservava che la domanda di riconoscimento della proprietà del suolo sottostante la prima rampa costituiva una domanda nuova inammissibile, formulata per la prima volta nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. del giudizio di primo grado, destinata solo alla precisazione della domanda, posto che nell’atto di citazione era stato chiesto l’accertamento della comproprietà della rampa di scale in capo a COGNOME NOME sulla base delle previsioni degli atti di donazione di COGNOME NOME a favore dei figli NOME e NOME, e non in ragione della sua ubicazione su area di proprietà di COGNOME NOME. Esaminando quindi gli atti di donazione del 1955 e del 1972, la Corte d’Appello rilevava, che la prima donazione aveva stabilito che il donatario NOME nel costruire sul suolo ricevuto il suo fabbricato avrebbe dovuto realizzare una scala per raggiungere i piani superiori, che una volta costruita sarebbe stata in comproprietà col donante COGNOME NOME, ma tale scala non era mai stata realizzata da COGNOME NOME, che quindi non aveva acquisito alcuna comproprietà della scala. Con la seconda donazione, invece, secondo il giudice di secondo grado, COGNOME NOME aveva disposto in favore del NOME il trasferimento del fabbricato da lui già costruito con la prima rampa di scale da lui realizzata, che NOME aveva poi demolito e ricostruito, provvedendo a realizzare la seconda rampa all’interno della sua abitazione per raggiungere il proprio lastrico solare, il tutto in assenza di un corridoio comune di collegamento della prima rampa, che permetteva di raggiungere gli ingressi degli immobili di entrambi i contendenti, alla seconda rampa, che era ubicata all’interno dell’abitazione di COGNOME. Sulla base di questa ricostruzione, la Corte d’Appello rigettava la domanda degli originari attori di accertamento della comproprietà della scala e la conseguente domanda di risarcimento danni, non senza evidenziare la tardività della domanda risarcitoria relativa alle infiltrazioni ed all’insalubrità
dell’appartamento di COGNOME NOME, avanzata per la prima volta nella memoria  ex  art.  183  c.p.c.,  ritenendo  quindi superfluo l’esame  della  riconvenzionale  subordinata  riproposta  da  COGNOME NOME con l’appello incidentale.
Il  Giudice  di  secondo  grado  confermava,  poi,  la  pronuncia  di usucapione  della  seconda  rampa  di  scale  a  favore  di  COGNOME NOME,  rilevando  che  la  stessa  era  ubicata  all’interno  della proprietà del predetto e che era stata utilizzata in modo esclusivo per oltre venti anni a favore di tale proprietà.
Relativamente alla riproposta domanda di COGNOME inerente alla violazione della normativa urbanistica ed antisismica, la Corte d’Appello ne riteneva l’eccessiva genericità e conseguente inammissibilità, che precludeva la possibilità stessa di un approfondimento tecnico, in quanto si era lamentata solo la costruzione in appoggio tra due fabbricati costruiti in materiali diversi (in cemento armato quella di COGNOME NOME ed in tufo quella di COGNOME NOME) e ciò non permetteva di individuare, anche per assenza di una relazione tecnica di parte, la problematica lamentata, e quindi di coglierne il riferimento normativo specifico invocato.
Avverso  tale  sentenza,  COGNOME  NOME  e  COGNOME  NOME  hanno proposto ricorso a questa Corte, articolato su sette motivi e COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza  dell’adunanza  camerale  entrambe  le  parti  hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Col primo  motivo  i ricorrenti lamentano  la  violazione e falsa applicazione  degli  artt.  155  ( rectius 115)  e  116  c.p.c.,  l’omesso esame  di  un  fatto  decisivo  per  il  giudizio  che  è  stato  oggetto  di discussione tra le parti, nonché l’omessa valutazione delle prove. La Corte di Appello avrebbe travisato le risultanze probatorie documentali  in  atti,  affermando  apoditticamente  che  era  stato  il
donante, e non COGNOME NOME, a ricostruire previa demolizione di quella preesistente la prima rampa della scalinata; in particolare, il Giudice a quo avrebbe operato uno stravolgimento in favore di COGNOME NOME, del tenore letterale della donazione del 1972, la quale riportava espressa menzione, nella descrizione dei cespiti donati, anche della ‘ comunione con COGNOME NOME della scalinata ‘. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe omesso di esaminare le relazioni del consulente di parte incaricato dallo stesso NOME COGNOME, prof. COGNOME, che riconoscevano la comproprietà della scala tra i germani.
2 Col secondo motivo i ricorrenti ripropongono le medesime censure del primo motivo, ma in relazione alla seconda rampa di scale; in particolare, i predetti sostengono che, qualora la Corte di Appello avesse esaminato con attenzione tutte le prove documentali, avrebbe dovuto concludere che, essendo la prima rampa in comproprietà tra le parti, anche la seconda doveva forzatamente esserlo, se non altro in quanto perfettamente sovrapposta alla prima e dunque da considerarsi edificata sulla stessa porzione di suolo, che non era di proprietà di COGNOME NOME, ma di COGNOME NOME.
3 Col terzo motivo i ricorrenti censurano la pronuncia della Corte territoriale per violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1117 cod. civ. in materia di uso e gestione delle parti comuni negli edifici. Il Giudice a quo , omettendo l’esame dei documenti prodotti e misconoscendo determinate circostanze di fatto, avrebbe fatto cattiva applicazione dei principi in materia di presunzione di condominialità dei pianerottoli e delle scale. Nel caso di specie, le consulenze tecniche in atti attestavano secondo i ricorrenti il collegamento funzionale delle scalinate all’utilizzo di entrambi i fabbricati, con conseguente attrazione nella disciplina della comunione. Anche la circostanza che la seconda rampa fosse stata realizzata dal solo COGNOME non valeva a sottrarre il manufatto alla
presunzione di comproprietà, mancando uno specifico titolo contrario.
4 Col quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 183, comma 6° e 112 c.p.c.. La Corte di Appello avrebbe erroneamente considerato la domanda di accertamento dell’ubicazione della scala su suolo di proprietà dei ricorrenti, introdotta in primo grado con la memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. e reiterata in appello, come frutto di una non consentita mutatio libelli , omettendo di rilevare una connessione tra la stessa e la vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’originario atto di citazione, nel quale l’accertamento già invocato della comproprietà era stato agganciato al contenuto delle donazioni di COGNOME NOME, in contrasto con l’orientamento espresso dalla sentenza n. 12310 del 15.6.2015 in tema di modificazione consentita della domanda in sede di memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., e di conseguenza, pronunciandosi soltanto su parte del petitum .
5 Col quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 cod. civ. per avere pronunciato l’usucapione in favore di COGNOME sulla seconda rampa di scale, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte di Appello, nel dichiarare l’intervenuta usucapione in favore di COGNOME, avrebbe omesso di verificare la sussistenza dei requisiti dell’istituto, ossia, nel caso di specie, l’interversione del possesso ed il mutamento dell’ animus , oltre al decorso del termine di legge, non maturato, stante anche il pregresso accordo tra i germani circa la temporanea chiusura, per i ricorrenti, del varco di accesso alla seconda rampa di scale.
6 Col sesto motivo i ricorrenti lamentano  la violazione e falsa applicazione  degli  artt.  183,  comma  6°  e  112  c.p.c..  Secondo  i ricorrenti il  Giudice a  quo avrebbe  errato  nel  ritenere  che  la
domanda risarcitoria formulata in sede di memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., per il mancato godimento dell’appartamento di COGNOME NOME dovuto ad insalubrità conseguente ad infiltrazioni provenienti dal lastrico solare, che non era stato possibile eliminare per l’ostacolo frapposto da COGNOME NOME all’accesso alla seconda rampa di scale, non costituisse un’ammissibile precisazione della domanda di risarcimento dei danni patiti per non aver potuto godere della cosa comune, formulata più genericamente in citazione, stante il principio, qui disapplicato, per cui la precisazione in corso di causa delle voci di danno, non integrava una mutatio libelli .
7 Col  settimo  motivo  si  lamenta  l’illegittimo  e  ingiusto  rigetto  della domanda  di  risarcimento  del  danno  in  conseguenza  del  mancato riconoscimento dei diritti vantati dai ricorrenti sulla seconda rampa di scale, mentre  in realtà, essendo  infondata la  domanda  di usucapione  della  seconda  rampa  di  scale  accolta  dall’impugnata sentenza  per  i  motivi  in  precedenza  illustrati,  la  Corte  d’Appello avrebbe dovuto accogliere la domanda risarcitoria degli attori.
8 . Ritiene la Corte che debba essere esaminato, con priorità logica, il quarto motivo di ricorso, in quanto attinente a questione processuale di carattere preliminare incidente sull’esito dei primi tre motivi fatti valere.
Il motivo è fondato.
Alla pagina 9 l’impugnata sentenza ha ritenuto, che costituisca mutatio libelli non consentita, la modificazione della domanda di accertamento della comproprietà della scala effettuata da COGNOME NOME e COGNOME NOME nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. del giudizio di primo grado, e riproposta in appello, sulla base della proprietà del suolo sottostante, domanda che invece nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado era stata basata esclusivamente sul contenuto degli atti di donazione compiuti da COGNOME NOME nel 1955 a favore di COGNOME NOME e nel 1972 a favore di COGNOME NOME. Sulla base di tale ritenuta
inammissibilità, che i ricorrenti censurano per violazione dell’art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. richiamando i principi enunciati in materia di modificazione della domanda dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 12310 del 15.6.2015, e per violazione dell’art. 112 c.p.c., la Corte d’Appello ha esaminato il tema dell’invocata comproprietà della scala unicamente in relazione al contenuto dei summenzionati atti di donazione, e dal diniego di tale comproprietà ha fatto discendere anche il rigetto della domanda degli originari attori di risarcimento dei danni conseguenti alla lesione di quella comproprietà.
L’invocata sentenza delle sezioni unite ha stabilito il principio che ‘ la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali’, e tale principio é stato poi confermato ed ulteriormente approfondito dalle sezioni unite con le sentenze n. 13091/2017, n. 22404/2018, n.22540/2018, n. 4322/2019 e n. 26727/2024, consentendo le modifiche della domanda nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. quando la domanda modificata, pur attenendo alla medesima vicenda sostanziale, sia in rapporto di alternatività, o d’incompatibilità con quella originaria.
Già sotto questo profilo la decisione di inammissibilità adottata dalla Corte d’Appello non risulta conforme all’interpretazione dell’art. 183 comma  6°  n.  1)  c.p.c.  data  dalle  sezioni  unite  di  questa  Corte, sussistendo l’inerenza alla medesima vicenda sostanziale tra domanda originaria e modificata,  ed  il  rapporto  di  alternatività  tra l’accertamento della comproprietà delle scale basato sulla proprietà del suolo sottostante, invocato nella memoria ex art. 183 comma 6°
n. 1) c.p.c. del giudizio di primo grado da COGNOME NOME e COGNOME NOME, e quindi sul principio di accessione, e l’accertamento del medesimo  diritto,  basato invece sul contenuto  delle donazioni effettuate nel 1955 e nel 1972 da COGNOME NOME a favore dei figli NOME e NOME, che era stato invocato nell’atto di citazione, e che nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. del giudizio di primo  grado  era  stato  posto  come  meramente  alternativo  all’altro accertamento.
Ma la fondatezza del motivo in esame, sotto il profilo della lamentata violazione dell’art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., emerge, con ancora maggiore evidenza, dalla considerazione che il diritto di comproprietà  della  scala,  del  quale  gli  originari  attori  avevano chiesto l’accertamento in citazione, era un diritto autodeterminato.
La distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati, elaborata proprio allo scopo di fissare i limiti entro cui la domanda può essere modificata senza incorrere nel divieto della mutatio libelli , scioglie una risalente antitesi fra titolazione e sostanziazione della causa petendi . La deduzione dei diritti autodeterminati dipende, infatti, da un puro meccanismo di designazione legale (titolazione, appunto), che consente di collegare la pretesa alla norma invocata senza la mediazione dei fatti storici su cui si fonda l’acquisto del diritto; fatti, al contrario, da cui i diritti eterodeterminati traggono senso e contenuto (sostanziazione, appunto) perchè solo attraverso essi prende corpo il rapporto giuridico che ne è all’origine.
Nelle azioni relative ai diritti autodeterminati, quali la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, la causa petendi si identifica, dunque, con i diritti stessi e con il bene che ne forma l’oggetto. Essendo vana ai fini dell’individuazione della domanda, l’allegazione dei fatti o degli atti da cui dipende il diritto vantato è necessaria soltanto per provarne l’acquisto. Il modo di acquisto (sia esso un fatto o un atto) integra a livello processuale un fatto secondario, che in quanto tale è
dedotto  unicamente  in  funzione  probatoria  del  diritto  vantato  in giudizio. Se dedotto già nell’atto introduttivo, il modo d’acquisto non per questo assume valenza di fatto principale, giacchè quest’ultimo si identifica con il diritto autodeterminato e non con altro (vedi in tal senso Cass. 31.3.2014 n.7502).
Nei diritti autodeterminati, pertanto, la domanda viene individuata esclusivamente in base al petitum sostanziale, rimanendo priva di rilevanza, ai fini della mutatio libelli , qualsiasi eventuale successiva modifica della causa petendi (Cass. 3.4.2024 n. 8824; Cass. n.19186/2020; Cass. sez. un. n. 26242/2015), mentre nei diritti eterodeterminati assume rilevanza, ai fini della loro identificazione, la specificità dei fatti costitutivi dai quali i diritti scaturiscono. Per tali ultimi diritti secondo la giurisprudenza di questa Corte, a fronte di un identico petitum , possono radicarsi pretese differenti in quanto fondate su distinti fatti generatori, e concorrono a identificare la causa petendi all’interno dei diritti eterodeterminati il fatto costitutivo della pretesa azionata, nonché il bene della vita anelato dal privato (Cass. 3.4.2024 n. 8824; Cass. n. 19186/2020; Cass. n. 26274/2018).
Questa Corte ha poi autorevolmente chiarito (Cass. sez. un. n.3873/2018) che il diritto di proprietà e gli altri diritti reali di godimento sono individuati solo in base al loro contenuto (ossia con riferimento al bene che ne costituisce l’oggetto), cosicché la causa petendi della domanda con la quale è chiesto l’accertamento di tali diritti si identifica con il diritto stesso (c.d. “diritti autodeterminati”) e non, come nel caso dei diritti di credito, con il titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione, usucapione etc.).
Pertanto,  nei  “diritti  autodeterminati”  la  deduzione  del  titolo  è necessaria ai fini della prova del diritto, ma non ha alcuna funzione di  specificazione  della  domanda  (Cass.  29.4.2024  n.  11344;  Cass. n.11293/2007),  per  cui  non  ricorre  alcuna  violazione  del  principio della  corrispondenza  tra  il  chiesto  ed  il  pronunciato  ove  il  giudice
accolga  la  domanda,  accertando  la  sussistenza  di  un  diritto  c.d. “autodeterminato”, sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato dalla parte (Cass. 29.4.2024 n. 11344; Cass. n.23851/2010; Cass. n. 24141/2007; Cass. n. 24702/2006).
Parallelamente all’esclusione della configurabilità del vizio di extrapetizione, dev’essere escluso anche il vizio di novità della domanda, (Cass. 29.4.2024 n. 11344; Cass. n. 1857/2015), a maggior ragione quando, come nel caso in esame, fermo restando il petitum dell’accertamento della comproprietà della scala, gli originari attori stessi, nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c., lo abbiano ricollegato alternativamente ad un diverso titolo (accessione in ragione della proprietà del fondo sottostante), rispetto a quello (donazioni di COGNOME NOME del 1955 e del 1972) invocato nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, per di più dando luogo anche ad un accertamento del CTU, nel contraddittorio delle parti, sul quesito specifico dell’accertamento della proprietà del fondo sottostante rispetto alla scala.
9 . La necessità che a seguito dell’accoglimento del quarto motivo la Corte d’Appello proceda nuovamente ad accertare la sussistenza, o meno della comproprietà della prima rampa di scale in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME in base alla proprietà del fondo sottostante, ed al connesso principio di accessione dell’art. 934 cod. civ., non limitandosi ad escludere la suddetta comproprietà sulla base delle disposizioni contenute nelle donazioni compiute da COGNOME NOME nel 1955 e nel 1972 a favore dei figli COGNOME NOME e COGNOME NOME, fa ritenere logicamente assorbiti i primi tre motivi di ricorso.
10 .  Occorre adesso passare all’esame del quinto motivo di ricorso, concernente l’avvenuto accoglimento della riconvenzionale di usucapione  della seconda  rampa  di  scale  da  parte  di  COGNOME Ruggero,  che  si  é  accertato  avere  accesso  solo  dall’abitazione  di quest’ultimo.
Premesso che tale motivo, per l’autonomia della rampa in questione rispetto alla prima rampa di scale, non può ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, ne va rilevata l’infondatezza , in quanto al di là del formale richiamo alla violazione di legge degli articoli 1158 e 1164 cod. civ., il motivo punta in sostanza ad ottenere una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, che hanno indotto i giudici di merito di primo e di secondo grado a riconoscere l’usucapione, dimenticando che la ricostruzione del fatto é prerogativa riservata ai giudici di merito.
L’esito del  quinto  motivo  di  ricorso  fa  ritenere  inammissibili,  per difetto di interesse, il sesto  ed  il settimo  motivo,  inerenti  al risarcimento dei danni che i ricorrenti avrebbero subito per l’impedimento frapposto al diritto di utilizzo della seconda rampa di scale, che é stato negato per l’intervenuta conferma dell’usucapione della seconda rampa di scale a favore di COGNOME NOME.
In  conclusione,  va  accolto  solo  il  quarto  motivo  e  la  sentenza  va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione  che  provvederà  anche  sulle  spese  del  giudizio  di legittimità, in base all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  quarto  motivo  del  ricorso,  dichiara  assorbiti  i primi  tre  motivi  e  rigetta  i  restanti;  cassa  l’impugnata  sentenza  in relazione  al  motivo  accolto  e  rinvia  alla  Corte  d’Appello  di  Bari  in diversa composizione in relazione al motivo accolto, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 31.1.2025