Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25860 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25860 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4631/2024 R.G. proposto da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME, elettivamente domiciliata in RIPA TEATINA INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
NOME
1921
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 1742/2023 depositata il 13/12/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
-La ricorrente, NOME COGNOME si è aggiudicata, unitamente al legale rappresentante di una società, e dunque nella misura del 50%, la proprietà di due immobili soggetti ad esecuzione forzata, a carico di NOME COGNOME.
L’acquisto è avvenuto per effetto di due decreti di trasferimento emessi dal Tribunale di Chieti nella procedura di esecuzione immobiliare.
Assume la ricorrente che, tuttavia, al momento di entrare in possesso dei beni, il curatore dottor COGNOME non ha consegnato le chiavi del cancelletto che consentivano l’accesso al primo dei due lotti aggiudicati, quello contrassegnato con il numero 1.
Assume di avere più volte sollecitato il curatore, il quale ha sempre risposto di non aver mai avuto quelle chiavi in quanto mai consegnate dal debitore soggetto ad esecuzione.
La ricorrente osserva come, sebbene i due appartamenti fossero collegati da una scala interna, quello al primo piano, costituente il lotto numero 1, non era per ciò stesso autonomo e bisognava accedervi mediante per l’appunto il cancello, la cui chiave non era mai stata consegnata.
La ricorrente ha pertanto agito in giudizio, insieme alla società comproprietaria, sia nei confronti del curatore COGNOME che nei confronti del debitore esecutato COGNOME chiedendo la condanna di entrambi al risarcimento dei danni nella misura complessiva di 90.000 € e dunque di 45.000 per la parte spettante alla ricorrente.
Nel relativo giudizio si è costituito il curatore, il quale, da un lato, ha ribadito di non aver mai ricevuto le chiavi dal debitore esecutato e, per altro verso, ha osservato come alcun pregiudizio poteva derivare da tale omissione in quanto il lotto numero 1 era comunque accessibile diversamente.
Anche il COGNOME si è costituito eccependo l’inesistenza della chiave proprio in quanto al lotto numero 1 si accedeva non attraverso il cancello, ma in diverso modo.
-Il Tribunale di Chieti ha rigettato la domanda, e questa decisione è stata impugnata con separati appelli sia dalla ricorrente che dalla società, che unitamente a quest’ultima aveva acquistato l’immobile, e che dunque ne era comproprietaria. Ha condannato gli attori al pagamento delle spese da responsabilità processuale aggravata
Entrambi hanno lamentato sia la mancata ammissione dei mezzi istruttori, e segnatamente della CTU, che l’erronea valutazione dei documenti comunque in atti.
-La Corte di appello dell’Aquila ha rigettato entrambi gli appelli condannando in solido gli appellanti alle spese di lite.
-Ricorre qui NOME COGNOME con 5 motivi di censura. Si sono costituiti sia COGNOME che COGNOME entrambi con controricorso.
Ragioni della decisione
1. -La ratio della decisione impugnata è nel senso che, non solo dal decreto di trasferimento risulta che l’accesso a quel vano era comune all’altro vano, e dunque non era necessario disporre di una apposita chiave del cancello potendo l’accesso avvenire comunque dalla comune entrata di entrambi i lotti, ma altresì che non era chiaro quale fosse il titolo in base al quale la ricorrente rivendicava il diritto ad avere quella chiave, tenuto conto del fatto che la stessa ricorrente aveva iniziato una causa nei confronti dei debitori esecutati volta ad affermare il suo diritto ad accedere attraverso quel cancello, e tale causa si era conclusa con decisione di quella stessa Corte, di rigetto della pretesa.
-Avverso tale ratio la ricorrente propone i seguenti motivi.
-Con il primo motivo di ricorso prospetta violazione degli articoli 115,116, 132 del codice di procedura civile.
Il motivo mira a dimostrare che i giudici di merito hanno travisato non solo gli atti ma il contenuto delle prove da cui risultava chiaramente che il lotto numero 1 era, per così dire, intercluso, nel senso che si poteva accedervi solo attraverso il cancello, le cui chiavi non erano state appunto consegnate.
Lo stato dei luoghi risultava tra l’altro dalla descrizione fornita dalla relazione di un perito di parte. In altri termini, la corte di merito, travisando quanto emerso dagli atti, non aveva tenuto conto che, oltre all’accesso principale, ve ne era uno secondario costituito per l’appunto da quel cancello, le cui chiavi dunque erano necessarie.
Segue la descrizione dello stato di fatto delle cose, che ,se correttamente percepito dai giudici di merito, avrebbe portato loro a riconoscere che, oltre all’ accesso comune ve n’era un altro, che era diretto, ossia che portava direttamente al lotto n. 1, ed alle cui chiavi si aveva quindi diritto.
Il motivo è dunque volto a dimostrare che c’era un cortile parte comune dello stabile a cui la ricorrente aveva diritto di accedere mediante le chiavi mai consegnate.
Secondo la ricorrente non aver tenuto conto di questo stato di fatto, e non aver correttamente inteso i decreti di trasferimento, costituisce violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., del primo in quanto comporta un errore percettivo sulla prova o sul fatto e del secondo in quanto costituisce un errore nell’apprezzamento del valore probatorio di quei documenti.
Il motivo è inammissibile.
Esso si risolve nella censura di un accertamento dei fatti, che è quello relativo alle possibilità di accesso all’immobile, ma soprattutto adduce erroneamente la violazione dei parametri normativi indicati.
Il travisamento del contenuto oggettivo della prova ricorre solo in caso di svista concernente il fatto probatorio e non già di erronea valutazione del medesimo (Cass. sez. Un. 5792/ 2024).
Né ricorre una violazione dell’articolo 116 c.p.c. nei termini denunciati dalla ricorrente, ossia di un valore probatorio assegnato ad una prova, contrariamente al reale valore probatorio di essa. Ed i giudici di merito non hanno affatto compiuto una simile valutazione.
Piuttosto, il motivo non si confronta con la ratio decidendi , la quale è nel senso che, né dai decreti di trasferimento né da altro atto, si ricava quale fosse il titolo del diritto vantato dalla ricorrente, ossia del diritto ad avere la consegna di quelle chiavi, tenuto conto altresì del fatto che il loro diritto ad entrare da quel cancello era stato validamente contestato dai debitori esecutati in un diverso giudizio (p 7 -9 della sentenza).
In altri termini la ratio decidendi è nel senso dell’inesistenza di un diritto ad avere le chiavi piuttosto che nella fattuale esistenza di uno o più accessi al lotto in questione.
4. -Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 1102 e 1117 del codice civile.
Sostiene la ricorrente che il suo diritto alle chiavi, e di cui si è detto nel motivo precedente, in realtà derivava dal fatto che il cortile a cui accedere, ed attraverso il quale poi raggiungere il lotto, era in realtà condominiale o comunque in comproprietà. Con la conseguenza che il comproprietario, in quanto tale, ha diritto all’accesso. E con la conseguenza ulteriore che l’affermazione dei giudici di merito, secondo cui non era chiaro quale fosse il titolo per poter accedere attraverso il cancello, o comunque nell’area condominiale, è un’affermazione errata poiché non tiene conto delle norme in tema di comproprietà e di condominio.
-Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 948 del codice civile.
Osserva la ricorrente che la richiesta di avere la chiave, oltre che basata sul titolo di comproprietà, lo è altresì sul diritto di rivendica che il proprietario può fare del bene che gli appartiene. Ciò in quanto quel diritto di proprietà è stato violato dalla mancata consegna delle chiavi e dunque dalla impossibilità di accedere al bene, che è condizione essenziale del godimento da parte del proprietario.
Questi due motivi sono logicamente connessi, e vanno dunque valutati insieme.
Essi sono inammissibili.
Come si è detto in precedenza, la ratio principale della decisione impugnata è che la ricorrente non ha dimostrato a che titolo avrebbe dovuto avere le chiavi del cancello, fermo restando che lo stato dei luoghi era tale da consentire l’accesso all’immobile anche in maniera diversa.
Con questi due motivi la ricorrente propsetta le ragioni per le quali avrebbe avuto diritto alla consegna delle chiavi e dunque le ragioni per le quali la ratio decidendi sarebbe errata.
E tuttavia questi due motivi sono inammissibili per una duplice ragione.
Innanzitutto, come osservato dal controricorrente COGNOME la ricorrente non dimostra che la questione della comproprietà era stata discussa nei precedenti gradi di giudizio, o comunque che la stessa ricorrente aveva allegato in quei gradi il diritto di avere le chiavi proprio in quanto comproprietaria o condomina dell’area a cui le chiavi consentivano l’accesso.
Ma, soprattutto, i due motivi presuppongono un accertamento di segno contrario rispetto a quello operato dai giudici di merito, i quali hanno escluso l’esistenza di un diritto di una comproprietà o di un’appartenenza condominiale di quell’area, che secondo il loro accertamento non era deducibile da alcuno degli elementi dedotto in giudizio (p. 7).
Con la conseguenza che l’affermazione secondo cui si aveva diritto alle chiavi, in quanto esse attenevano ad un bene in comproprietà, presuppone un accertamento dei fatti di segno diverso da quello effettuato dai giudici di merito.
-Il quarto motivo prospetta omesso esame di un fatto controverso e decisivo.
Secondo la ricorrente il giudice di merito non avrebbe tenuto conto né della illiceità della condotta del controricorrente, il quale, come era emerso in giudizio, aveva sicuramente le chiavi del cancello, né della circostanza che lo stesso custode giudiziario aveva omesso di intervenire, perché le chiavi fossero consegnate, né infine della circostanza secondo cui il diritto ad avere le chiavi si doveva inferire dal fatto che, altrimenti, l’altro accesso era particolarmente disagevole e tortuoso.
Il motivo è inammissibile per diverse ragioni.
Lo è intanto in quanto si denuncia un omesso esame in presenza di una doppia conforme. Né vale osservare come fa la ricorrente (p. 32 del ricorso) che qui non opera il limite della doppia conforme in
quanto i fatti sarebbero stati accertati dal giudice d’appello in modo diverso da come lo ha fatto il giudice di primo grado. Osservazione infondata, in quanto il giudice d’appello ha confermato esattamente l’accertamento dei fatti negli stessi esatti termini in cui quello accertamento è stato effettuato dal giudice di primo grado.
In secondo luogo, lo è in quanto non denuncia in realtà l’omesso esame di un fatto, bensì censura una certa valutazione di quel fatto, vale a dire la valutazione tratta dalla Corte d’appello in ordine a quanto emerso dall’istruttoria; ossia, censura nient’altro che quello che si è messo in luce nei motivi precedenti, e vale a dire la conclusione tratta dai giudici di merito secondo cui la condotta dei resistenti non è stata illegittima proprio perché non ha violato alcun diritto della ricorrente: e questa è una valutazione e non già esame di un fatto condotto in modo incompleto.
-Il quinto motivo prospetta violazione dell’articolo 96 terzo comma del codice di procedura civile.
Il giudice di appello ha confermato la condanna alle spese da responsabilità processuale aggravata, già disposta dal giudice di primo grado.
La ricorrente contesta questa decisione assumendo che le due ragioni sulla base delle quali era stata disposta sono da ritenersi infondate. La prima in quanto non è vero che il risarcimento è stato chiesto in misura smodata dalla ricorrente, poiché la sua quantificazione è stata rimessa alla stima equitativa del giudice; in secondo luogo, in quanto la condanna alle spese per responsabilità aggravata presuppone la malafede oppure la colpa grave della parte soccombente, non ravvisabile nel caso di specie.
Il motivo è infondato.
Il giudice di merito non ha basato la decisione di condanna alle spese da responsabilità processuale aggravata sulla mera infondatezza della domanda, piuttosto ha indicato indici della colpa grave dei ricorrenti, che stavano nel fatto di aver insistito per la
consegna delle chiavi, non solo in assenza di un titolo idoneo a fondare tale diritto, ma soprattutto davanti all’evidenza, non contestata, della possibilità di facile accesso comunque all’immobile.
Il giudizio del giudice di merito è dunque corretto secondo i parametri dell’articolo 96 terzo comma cpc, che presuppone, per l’appunto, una colpa grave; mentre non sono qui sindacabili i presupposti di fatto dai quali quella colpa grave è stata ricavata.
Il ricorso va pertanto respinto e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 5500,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 01/07/2025.
Il Presidente NOME COGNOME