Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4073 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 4073 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
SENTENZA
sul ricorso 26722/2024 proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio del medesimo in Roma, INDIRIZZO
– ricorrenti principali e controricorrenti incidentali-
OGGETTO: PUBBLICO IMPIEGO
contro
, in persona del pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, è domiciliato;
– controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso la sentenza n. 1113/2019 della Corte d’Appello di Palermo, pubblicata in data 11/02/2020 R.G.N. 435/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P .M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilità o per il rigetto del ricorso incidentale; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il Tribunale di Palermo ha dichiarato il diritto dei lavoratori indicati in epigrafe all’assunzione presso l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana con decorrenza giuridica dal 5.10.2008 con inquadramento nella categoria D del personale non dirigenziale della Regione Sicilia, posizione economica D1 ritenuto corrispondente alla VIII fascia funzionale originariamente stabilita dal bando (per effetto degli accordi di riclassificazione del personale regionale recepiti con DDPPRRSS nn. 9/2001 e 10/2001) ed aveva respinto le loro domande risarcitorie.
I ricorrenti avevano partecipato al concorso pubblico per 100 posti nel ruolo di dirigente tecnico architetto bandito con decreto del 29 marzo 2000, ma nonostante si fossero collocati in posizione utile per l’assunzione in base alla graduatoria, divenuta definitiva in data 17.9.2008, l’Amministrazione regionale, per colpevole inerzia aveva omesso di provvedere alla conclusione della
procedura selettiva fino a che, una volta entrato in vigore il blocco delle assunzioni di cui all’art. 1 della legge regionale n. 25/2008, aveva comunicato che ogni adempimento al riguardo risultava sospeso a causa dell’entrata in vigore del divieto normativo.
Il Tribunale ha ritenuto che la condotta dell’Amministrazione regionale configurasse inadempimento rispetto ad un preciso obbligo di provvedere e riteneva perfezionati fin dal 15.10.2008 (data della pubblicazione sulla G.U.R.S.) gli effetti della graduatoria approvata in via definitiva.
La Corte di Appello di Palermo ha confermato tale sentenza.
Richiamati i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui dall’approvazione della graduatoria scaturisce il diritto all’assunzione del partecipante collocatosi in posizione utile e l’obbligo correlato per l’Amministrazione che ha inde tto il concorso, la Corte territoriale ha condiviso le statuizioni del primo giudice, che aveva sanzionato la condotta negligente della P.A., che aveva lasciato decorrere un rilevante arco temporale prima di sanare l’omessa approvazione della gradu atoria definitiva del concorso, quale condicio iuris del diritto all’assunzione in ruolo.
Ha ritenuto immanente nell’ordinamento civile il principio secondo cui, in pendenza di una condizione dal cui avveramento una parte attende il perfezionamento degli effetti del contratto, la controparte deve operare in modo da non pregiudicarne il diritto; ha dunque evidenziato che qualora per causa imputabile alla controparte, il fatto a cui è collegato l’avveramento della condizione non si verifichi, la condizione si ritiene avverata per fictio iuris e i suoi effetti retroagiscono al momento in cui è stato concluso il contratto ai sensi degli artt. 1359 e 1360 cod. civ.
Il giudice di appello ha inoltre osservato che il diritto all’assunzione era stato reso immune dagli effetti della dinamica evolutiva della normativa di settore; ha sul punto evidenziato che l’art. 1, comma 10, della legge regionale n. 25/2008, pur avendo previsto per le Amministrazioni regionali il divieto di procedere ad assunzioni di nuovo personale sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, aveva fatto salve le assunzioni ricollegabili a concorsi già espletati, le cui graduatorie fossero state approvate in via definitiva alla data di
entrata in vigore della medesima legge; ha inoltre ritenuto inconferente il richiamo alla possibilità di revocare il bando concorsuale ed ha considerato indimostrate la contrazione del personale nei ruoli regionali e la sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria (circostanze peraltro successive sia al bando di concorso che al provvedimento di approvazione definitiva della graduatoria).
Sulla scorta dell’orientamento espresso dal giudice di legittimità sulla procedura concorsuale per cui è causa, ha altresì condiviso gli argomenti svolti dal Tribunale in ordine all’equivalenza, a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale n. 10/2000, dell’inquadramento nella categoria apicale D del personale non dirigenziale della Regione, posizione economica D1, a quello previsto dal bando ; ha in particolare evidenziato che il diritto all’assunzione è maturato con la definitiva approvazione della graduatoria, data in cui doveva valutarsi il corretto inquadramento dei vincitori della procedura concorsuale.
Ha inoltre ritenuto infondata, oltre che inammissibile, l’istanza di inquadramento nella fascia D3 dei funzionari non dirigenziali ed ha considerato corretta la decorrenza giuridica dell’inquadramento alla data di pubblicazione della graduatoria definitiva, approvata in data 17.9.2008, dopo essere stata più volte rettificata in autotutela.
Ha ritenuto inammissibile la doglianza degli appellanti relativa alla mancata declaratoria di inammissibilità dell’eccezione di aliunde perceptum , in quanto le argomentazioni relative all’omessa allegazione documentale dell’Amministrazione avrebbero dovuto essere proposte nel giudizio di prime cure, ed in quanto non era stata puntualmente censurata la statuizione del Tribunale, che aveva ritenuto incontestata la deduzione della controparte relativa alla percezione di redditi ben superiori all’eventuale piena retribuzione loro spettante; ha infine ritenuto infondata la censura riguardante la richiesta di ristoro del danno non patrimoniale e dei pregiudizi biologico morale ed esistenziale.
Avverso tale sentenza i lavoratori indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, illustrati da memoria; l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, oltre a
resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
La Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’inammissibilità o rigetto del ricorso incidentale.
Con atto depositato in data 17.1.2025, NOME COGNOME ha rinunciato al ricorso principale e l’Assessorato ha rinunciato al ricorso incidentale; entrambi i rinuncianti hanno accettato le avverse rinunce.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 5, commi 1 e 3, e dell’art. 1, comma 2, legge regionale n. 10/2000, nonché degli artt. 23 e 28 d.lgs. n. 29/1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che la Corte territoriale ha formalmente affrontato solo la domanda principale, relativa all’inquadramento nella seconda fascia; in ordine all’esclusione della collocazione nella terza fascia, basata sul principio affermato dalle Sezioni Unite sintetizzato nella pronuncia impugnata, evidenzia che il divieto di nuove assunzioni ha mantenuto fermi i concorsi già banditi e che in assenza di specifiche limitazioni era rimasta ferma anche la destinazione dei vincitori al ruolo della dirigenza.
Considerato che lo stesso datore di lavoro aveva stabilito la tempistica del completamento della procedura di selezione ed emanato la norma relativa al divieto di nuove assunzioni, sostiene che il principio secondo cui il corretto inquadramento dei vincitori del concorso doveva essere valutato alla data di definitiva approvazione della graduatoria contrasta con l’esigenza determinata dalla suddetta norma, che aveva previsto l’ultrattività delle norme vigenti al momento della pubblicazione del bando.
Addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto decisive l’apparente esigenza di ancorare l’inquadramento dei lavoratori ricorrenti al momento di approvazione della graduatoria e l’impossibilità dell’Amministrazione di creare un’ulteriore qualifica non essendone facoltizzata dalla legge, senza considerare che la legge regionale Sicilia n. 10/2000 richiama il d. lgs. n. 29/1993, i cui artt. 23 e 28
prevedono che il ruolo dei dirigenti è articolato in due fasce e vi si accede per concorso.
Assume che i dirigenti tecnici di cui all’VIII fascia ex lege n. 41/1985 erano confluiti nella nuova seconda fascia dirigenziale ex art. 6 legge regionale n. 10/2000.
Con il secondo motivo, il ricorso principale denuncia violazione degli artt. 39 e 112 cod. proc. civ., degli artt. 1362, 1366, 1367, 1369 e 1371 cod. civ., dell’art. 12 delle preleggi, nonché violazione dell’Allegato A del D.P . Regione Sicilia 22.6.2001, dell’art. 5 legge regionale Sicilia n. 10/2000, degli artt. 23, 84 e 85 del CCNL Comparto non dirigenziale personale Regione Sicilia quadriennio giuridico 2002-2005 e biennio economico 2002-2003, dell’art. 14 ord. prof. regione Sicilia di cui al D.P. Regione Sicilia n.10/2001; artt. 3, comma 7 e 13 e allegato A CCNL del Comparto Regioni e autonomie locali per il quadriennio normativo 1998-2001.
Con la prima sottocensura evidenzia che la domanda di collocazione nella categoria D3 è contenuta nella domanda principale relativa alla fascia dirigenziale, atteso che in base al principio di continenza della domanda, l’istanza di riconoscimento di una categoria professionale riguarda necessariamente ogni altra inferiore alla medesima, e che nei gradi di merito era stata riconosciuta la categoria D1, inferiore alla categoria D3.
Con la seconda sottocensura deduce che agli originari ricorrenti avrebbe dovuto essere riconosciuta la categoria D6 o quanto meno la categoria D3, in quanto la tabella A del D.P. Regione Sicilia 9 del 22.6.2001, che ha recepito l’accordo sulla riclassificazione del personale ai sensi dell’art. 5 legge regionale n. 10/2000, ha inserito nella categoria D le posizioni economiche da D1 a D5 e allinea alle posizioni D1 e D2 solo gli ex livelli VII, mentre quello proprio degli appellanti incidentali era l’VIII livello; evidenzia che tale impostazione è confermata anche dalla tabella B del medesimo d.P. Regione Sicilia n. 9/2001.
Richiama le disposizioni contenute nella contrattazione collettiva di Comparto, rimarcando che ai sensi dell’art. 85 n. 4 lett. B del CCNL del Comparto non dirigenziale della Regione Sicilia 2002-2005, per i passaggi alle posizioni economiche successive a quella iniziale, oltre all’esperienza professionale
maturata, rilevano i titoli di studio e culturali, le pubblicazioni e gli altri titoli non altrimenti valutati, e che a fronte del possesso della laurea magistrale (requisito previsto dal bando di concorso), gli originari ricorrenti avrebbero dovuto essere collocati in posizione superiore a quella iniziale.
Evidenzia che l’art. 14 ord. prof. regione Sicilia di cui al D.P. Regione Sicilia n.10/2001 rimanda al CCNL 1998/2001 del Comparto Regioni-Autonomie locali e che ai sensi dell’art. 13 del suddetto CCNL, il trattamento tabellare iniziale della categoria D corrisponde alla posizione economica D3.
Con il terzo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 112 e 115 cod. proc. civ., nonché degli artt. 2967 e 2969 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che riguardo alla questione dell’ aliunde perceptum , l’Assessorato nella memoria di costituzione del 22.4.2015 si era limitato a rilevare genericamente che dall’eventuale somma riconosciuta a titolo risarcitorio avrebbe dovuto essere detratto quanto i lavoratori avessero eventualmente percepito medio tempore , e che solo con la successiva memoria del 5.6.2017 (per l’udienza del 15.6.2017) aveva allegato l’avvenuta percezione, da parte dei ricorrenti, di redditi per un importo superiore a quello che avrebbero percepito in categoria D1 nel periodo 2009-2015, senza nulla depositare.
Richiama i principi espressi dal giudice di legittimità, secondo cui i fatti posti a fondamento dell’eccezione di aliunde perceptum sono soggetti alla preclusione prevista dall’art. 416 cod. proc. civ.; sostiene pertanto che nel caso di specie non era configurabile un onere di contestazione, né un onere di rilevare la preclusione.
Sostiene che l’eccezione relativa all’ aliunde perceptum era riferita al periodo dal 2009 al 2015, e che pertanto la pretesa risarcitoria non poteva essere negata per i periodi anteriori al 2009 e successivi al 2015; evidenzia che tale questione era stata sollevata anche nella censura sull’ aliunde perceptum proposta nel giudizio di appello.
Addebita alla Corte territoriale di avere fondato la decisione su un’eccezione non proposta dalla parte e su fatti non acquisiti al processo, e di avere altresì ritenuto assolto il relativo onere probatorio.
4. Con il quarto motivo, il ricorso principale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1371 cod. civ., nonché dell’art. 12 delle preleggi; nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. in connessione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 111, comma 7, Cost. e dell’art. 6 CEDU.
Evidenzia che il giudice di primo grado, pur avendo rilevato che la graduatoria era stata pubblicata in data 12.10.2007, aveva individuato il dies a quo per il risarcimento nella data del 17.9.2008 e che la Corte territoriale aveva erroneamente assunto la sussistenza di una graduatoria di merito approvata in via provvisoria in data 12.10.2007 e di una graduatoria definitiva approvata in via definitiva in data 26.11.2010.
Richiama il DDG n. 9482 del 23.12.2004, il DDG n. 7372 del 2.10.2007, il DDG n. 309694 del 3.11.2010, evidenziando che l’unica graduatoria provvisoria è quella del 23.12.2004, identificata come definitiva dal DDG del 17.9.2008, mentre nella graduatoria del 2.10.2007 gli originari ricorrenti sono stati dichiarati vincitori del concorso, e quelle successive alla graduatoria del 17.9.2008 sono mere rettifiche che non hanno interessato la posizione dei ricorrenti.
Addebita alla Corte territoriale il travisamento della prova per avere ritenuto che la graduatoria definitiva sia quella del 17.9.2008, e non quella del 2.10.2007.
Critica la sentenza impugnata per avere violato le norme di ermeneutica nell’interpretazione dei DDG, avendo la Corte territoriale attribuito alle statuizioni contenute nei DDG un senso assolutamente diverso da quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse e l’intenzione dell’autore.
Evidenzia che l’intenzione dell’Amministrazione (che aveva definito ‘provvisoria’ la graduatoria del 2004 e ‘definitiva’ quella del 2007 dichiarando vincitori i candidati ivi indicati, ed aveva qualificato come ‘rettifiche’) non poteva che essere quella di concludere nel 2007 il procedimento che aveva condotto al diritto soggettivo perfetto dell’assunzione.
La definitività della graduatoria del 2007 era confermata dall’assenza di modificazioni di rilievo nella posizione dei ricorrenti.
Deduce la sussistenza di un insanabile contrasto tra due parti nella sentenza di primo grado e tra una di esse ed il dispositivo; evidenzia che tale contrasto si era riprodotto nella sentenza impugnata, che nel fare proprio il contenuto della decisione di prime cure lo aveva integrato, limitandosi a ritenere ‘corretto’ l’inquadramento temporale censurato in ragione delle rettifiche apportate, senza offrire ulteriori elementi atti a chiarire i fondamenti della decisione.
Con il quinto motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1371 cod. civ.; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.; nullità della sentenza e del procedimento; art. 112 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
Lamenta l’inesistenza della motivazione della sentenza impugnata, che ha apoditticamente escluso il carattere aperto della domanda risarcitoria proposta dagli originari ricorrenti nell’atto introduttivo del giudizio.
Evidenzia che tale domanda era riferita anche agli effetti successivi alla proposizione del giudizio, fino alla mancata assunzione, che il Tribunale non aveva offerto una statuizione espressa sul punto e che nel terzo motivo di appello era stata ribadita tale richiesta.
Rimarca che la richiesta degli arretrati era stata posta in chiara correlazione con la mancata assunzione e che pertanto l’esclusione del carattere aperto della domanda si era tradotta nella violazione dei canoni ermeneutici relativi all’interpretazione letterale dell’atto introduttivo, all’intenzione della parte e all’interpretazione delle domande le une per mezzo delle altre.
Addebita alla Corte territoriale di avere omesso ogni esame del fatto contenuto nella capitolazione della domanda relativa al risarcimento per mancata assunzione.
Lamenta la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo i giudici di merito omesso di pronunciarsi sulla domanda di
risarcimento del danno subito anche in relazione al periodo dalla data del deposito del ricorso all’assunzione.
Con il sesto motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.
Sostiene che il ‘danno da attesa’ derivante dalla mancata assunzione è in re ipsa , ed è pertanto oggettivamente rilevabile senza necessità di prova dell’interesse del candidato all’occupazione del posto.
Con il primo motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione della legge regionale Sicilia n. 25/2008, della legge regionale Sicilia n.11/2010, degli artt. 1218, 1337, 1358, 1359, 1360 e 2043 cod. civ., dell’art. 3, comma 16, della legge regionale n. 27/2016, dell’art. 49, comma 4, della legge regionale n. 9/2015, dell’art. 1, comma 557 della legge n. 296/2006, dell’art. 35 d. lgs. n. 165/2001, dell’art. 51 legge regionale n. 11/2010, della legge regionale n. 24/2010, delle DGR n. 207 del 5.8.2011 e n. 317 del 4.9.2012, della legge regionale n. 10/2000 e dell’art. 612 cod. proc. civ., del principio tempus regit actum , dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Evidenzia che la legge regionale n. 25/2008 è entrata in vigore in data 31.12.2008, mentre l’approvazione della graduatoria definitiva è avvenuta in data 26.11.2010 (come riconosciuto dal giudice di appello), e che pertanto all’epoca dell’entrata in vigore della legge la posizione giuridica dei ricorrenti riguardo al superamento del concorso non era ancora sorta.
Addebita alla Corte territoriale di non avere correttamente applicato la normativa sul blocco delle assunzioni, intervenuta in epoca anteriore all’approvazione definitiva della graduatoria, e di avere erroneamente qualificato la posizione giuridica dei ricorrenti come diritto soggettivo e l’Amministrazione come inadempiente.
Deduce l’insussistenza di un obbligo di assunzione dei vincitori entro un termine massimo da parte dell’Amministrazione.
Con il secondo motivo, il ricorso incidentale denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (esatta individuazione della data in cui la graduatoria è stata definitivamente
approvata); contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza di appello, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.
Deduce l’insussistenza del diritto dei ricorrenti all’assunzione, avendo la sentenza impugnata riconosciuto che la graduatoria definitiva da cui discende il diritto soggettivo perfetto in capo agli originari ricorrenti è quella approvata in data 26.11.2010.
Lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, a fronte della contraddittorietà di tale statuizione con quella secondo cui la graduatoria definitiva è stata approvata in data 17.9.2008 e dell’omesso esame della documentazione giustificativa.
Sostiene che solo con il decreto n. 309694 del 3.11.2010, che ha rettificato in autotutela la graduatoria di merito di cui ai DDGG nn. 7372/2007, 5123/2008 e 7685/2008, e che è stato pubblicato nella G.U.R.S. del 26.11.2010 erano stati dichiarati i vincitori, tra cui i ricorrenti.
La rinuncia di NOME COGNOME al ricorso principale, accettata dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana , e la rinuncia dell’Assessorato al ricorso incidentale, accettata dal COGNOME, sono state ritualmente formulate in data 17.1.2025 ai sensi dell’art. 390 cod. proc. civ. e comportano pertanto l’estinzione del processo limitatamente alle suddette parti ai sensi dell’art. 391 cod. proc. civ.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che in base all’art. 6 della legge regionale siciliana n. 10 del 15 maggio 2000, l’articolazione ordinaria della dirigenza regionale comprende unicamente due fasce e che la terza, avente carattere transitorio, è riservata esclusivamente a dipendenti già in servizio al momento di entrata in vigore della legge, e pertanto non ai vincitori del concorso di cui al bando del marzo 2000, assunti successivamente alla data di entrata in vigore della medesima legge regionale (Cass. S.U. nn. da 16728/2012 a 16734/2012, pronunciate all’udienza del 5.6.2012 e depositate il 2.10.2012).
Hanno in particolare chiarito che tale contesto, l’art. 5, comma 3, della legge regionale, per il quale fino al 31 dicembre 2003 era fatto divieto alla Regione di indire concorsi per l’assunzione di nuovo personale ‘fermi restando i concorsi già
banditi’ intendeva derogare, limitatamente ai posti banditi con questi ultimi, al divieto di nuove assunzioni, ma non intendeva equiparare la posizione del personale già in servizio a quella di coloro che avrebbero maturato il diritto all’assunzione all’esito dei concorsi stessi.
Hanno inoltre precisato che l’emanazione del DPRS n. 9 del 2001 ha comportato l’abolizione della qualifica per cui era stato bandito il concorso in esame e costituisce ius superveniens , alla stregua del quale l’Amministrazione era tenuta ad effettuare l’inquadramento in termini diversi da quelli originariamente previsti dal bando, così legittimando l’inquadramento dei vincitori del concorso in questione nella categoria D, avente carattere apicale al pari di quella prevista, nel regime precedente, dal bando; hanno inoltre ritenuto tale soluzione conforme al principio desumibile dall’art. 97 Cost., per il quale la P.A., nell’organizzare i propri uffici, è tenuta a conformare la propria azione ai principi di imparzialità, efficienza e legalità.
In tema di impiego pubblico privatizzato, il diritto del candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso espletato dalla P.A. per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso.
Le S.U., pur avendo ritenuto in via generale che anche nel pubblico impiego privatizzato l’espletamento della procedura concorsuale, con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, fa nascere nel candidato utilmente collocato il diritto soggettivo all’assunzione secondo le modalità fissate dal bando di concorso, hanno precisato che in quella controversia si era posto lo specifico problema di verificare quali fossero le conseguenze sulla posizione del candidato vincitore, ove successivamente all’emanazione del bando e prima della conclusione delle operazioni concorsuali, fosse cambiato il quadro normativo nel cui ambito il bando era intervenuto, ed hanno rilevato che la fattispecie riguardante il concorso di cui al decreto assessoriale del 29 marzo 2000 (con cui era stato bandito il concorso per 39 posti di dirigente tecnico storico dell’arte del ruolo dei beni culturali) fosse connotato dalla particolarità dell’essere la legge regionale n. 10/2000 intervenuta nelle more della procedura concorsuale e prima
della sua definizione ed hanno evidenziato che in tale contesto il mutamento del quadro organizzativo era intervenuto prima che il candidato risultasse, con l’approvazione della graduatoria, vincitore del concorso.
Tale orientamento ha trovato conferma in altre pronunce di questa Corte (Cass. n. 9293/2014; Cass. n. 9088/2014 e Cass. n. 25393/2015).
11. Il secondo motivo è inammissibile.
La prima sottocensura, che addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente interpretato la domanda e non essersi pronunciata su tutta la domanda, non coglie il decisum.
La sentenza impugnata non ha accolto la domanda di inquadramento nel livello D3, in quanto tale inquadramento presuppone una progressione orizzontale fondata su precisi criteri regolati dalla contrattazione collettiva e dalla legge.
In ordine alla seconda sottocensura, deve rammentarsi che secondo questa Corte (Cass. n. 30644/2024, Cass. n. 21197/2020; Cass. n. 4880/2018; Cass. n. 2701/2018; Cass. n. 2491/2018 e Cass. n. 2457/2018), l’art. 63, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione di contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 40 del medesimo d.lgs, è norma di stretta interpretazione, sicché non può trovare applicazione ai contratti collettivi regionali (Cass. n. 7671/2016).
L’interpretazione di tali contratti spetta al giudice di merito e il sindacato di legittimità può essere esercitato soltanto riguardo ai vizi di motivazione del provvedimento impugnato nei limiti entro i quali sono oggi rilevanti in sede di legittimità, ovvero per violazione delle norme di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Nel caso di specie non ricorre alcuna di tali ipotesi, atteso che il ricorso denuncia direttamente la violazione di contrattazione collettiva non avente carattere nazionale (la violazione dei canoni ermeneutici è denunciata solo nell’ambito della prima sottocensura, con riferimento all’interpretazione della domanda).
12. Il terzo motivo è inammissibile.
La censura, nel prospettare la tardività e l’incompletezza dell’eccezione relativa all’ aliunde perceptum , non si confronta con la statuizione della sentenza impugnata, secondo cui i ricorrenti avrebbero dovuto proporre tali doglianze nel giudizio di primo grado.
Deve poi rammentarsi che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
Il quarto motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum.
La sentenza impugnata ha infatti rilevato che l’approvazione della graduatoria è divenuta definitiva in data 17.9.2008, che la medesima graduatoria ha spiegato i suoi effetti dal 15.10.2008 (data della pubblicazione sulla G.U.R.S.) e che la graduatoria definitiva è stata approvata in data 26.11.2010; la Corte territoriale ha dunque ancorato gli effetti dell’inquadramento degli originari ricorrenti alla pubblicazione della graduatoria approvata il 17.9.2008 (e dunque al 15.10.2008), ritenendo irrilevanti le modifiche successive al 15.10.2008.
Inoltre le censure tendono alla rivisitazione del fatto, attraverso la rilettura dei DDG nn. 9482 del 23.12.2004, 7372 del 2.10.2007 e n. 309694 del 3.11.2010.
Ancorché sia stata denunciata la violazione dei canoni ermeneutici, la censura sollecita l’interpretazione diretta dei suddetti provvedimenti.
Deve in proposito rammentarsi il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
A fronte dell’inammissibilità del terzo motivo di gravame, le censure contenute nel quinto motivo devono ritenersi assorbite.
Il sesto motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum .
La Corte territoriale non ha infatti respinto la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali per difetto di prova, ma per difetto di allegazione.
Il primo motivo del ricorso incidentale è parimenti inammissibile, in quanto non coglie il decisum.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto corretta la decorrenza giuridica dell’inquadramento effettuata dal giudice di primo grado ed ancorata alla pubblicazione della graduatoria del 17.9.2008 in data 15.10.2008; ha dunque ritenuto irrilevanti gli accadimenti successivi a tale data.
Anche il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata non rientra nel paradigma dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
Inoltre la censura sollecita un giudizio di merito attraverso la rilettura dei DDG nn. 9482/2004, 7373/2007, 7865/2008, 30964/2010 e 303906/2011.
In conclusione, va dichiarata l’estinzione del giudizio tra NOME COGNOME e l’Assessorato Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana; il ricorso principale dei restanti ricorrenti va rigettato ed il ricorso incidentale proposto nei confronti dei medesimi va dichiarato inammissibile.
Come richiesto nell’atto di rinuncia congiunta, vanno compensate le spese di lite tra NOME COGNOME e l’Assessorato Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana.
La declaratoria di estinzione che consegue alle suddette rinunce esime dall’applicazione nei confronti dei rinuncianti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 202, n. 115;
L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite tra gli altri ricorrenti e l’Assessorato Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per i suddetti ricorrenti principali, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 per l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana.
PQM
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio tra NOME COGNOME e l’Assessorato Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana e compensa le spese di lite tra le suddette parti;
La Corte rigetta il ricorso principale proposto dagli altri ricorrenti e dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto nei confronti dei medesimi ;
compensa le spese del giudizio di legittimità tra i medesimi ricorrenti e l’Assessorato Regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana ;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per i medesimi ricorrenti principali ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, del 21 gennaio 2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente
Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME