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Diritto alla mensa gratuita: i limiti secondo la Legge

La Corte di Cassazione ha stabilito i contorni del diritto alla mensa gratuita per il personale scolastico. Un gruppo di insegnanti aveva richiesto un pasto ‘completo’, ma la loro domanda è stata respinta. La Corte ha chiarito che il servizio mensa ha una funzione assistenziale e non retributiva. Spetta al lavoratore dimostrare che il pasto fornito è inadeguato a garantire il benessere psico-fisico, non essendo sufficiente lamentare la mancanza di una portata.

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Diritto alla mensa gratuita: quando un pasto è considerato adeguato?

Il diritto alla mensa gratuita per il personale scolastico è un tema che genera spesso dibattito. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla natura di questo servizio e sugli oneri probatori a carico di chi lo ritiene inadeguato. La vicenda riguarda un gruppo di insegnanti che lamentava la fornitura di ‘mini pasti’ invece che di pasti completi, ma la cui domanda è stata definitivamente respinta.

I Fatti di Causa

Un gruppo di insegnanti di una scuola dell’infanzia si era rivolto al Tribunale per ottenere il riconoscimento del diritto a fruire di un pasto completo (primo, secondo, contorno, frutta e pane) durante il servizio di refezione scolastica. Inizialmente, il Tribunale aveva dato loro ragione, condannando il Ministero dell’Istruzione, l’Istituto Comprensivo e il Comune a fornire tale pasto.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, il servizio mensa ha una natura assistenziale, non retributiva, finalizzata a garantire il benessere psico-fisico del personale. La Corte ha sottolineato che gli insegnanti non avevano dimostrato che il pasto effettivamente offerto fosse inidoneo a soddisfare questa esigenza. Contro questa sentenza, gli insegnanti hanno proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione e il principio sul diritto alla mensa gratuita

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha smontato, uno per uno, i motivi del ricorso, stabilendo principi importanti in materia.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si sono concentrate su tre punti principali.

1. L’onere della prova e la funzione del pasto

Il primo motivo di ricorso si basava sulla presunta violazione del principio di non contestazione. Gli insegnanti sostenevano che fosse pacifico il loro diritto a un ‘pasto completo’. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che il punto centrale della decisione d’appello (la ratio decidendi) non era definire cosa fosse un ‘pasto completo’, ma valutare l’adeguatezza del servizio rispetto alla sua funzione assistenziale. La Corte ha ribadito che spetta al lavoratore che si lamenta dimostrare in modo specifico perché il pasto ricevuto non sia sufficiente a garantire il proprio benessere psico-fisico. Non basta, quindi, affermare che manca una portata, come ‘la seconda portata’.

2. La natura delle ‘Linee Guida’ sulla ristorazione scolastica

Il secondo motivo di ricorso faceva leva sulla violazione delle ‘Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica’. Anche in questo caso, la Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile. La Corte ha spiegato che tali linee guida, frutto di accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni, sono atti di indirizzo politico e non fonti normative primarie o secondarie. Di conseguenza, la loro presunta violazione non può costituire un motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge.

3. L’irrilevanza delle argomentazioni secondarie

Infine, il terzo motivo contestava un’argomentazione usata dalla Corte d’Appello solo per completezza (ad abundantiam), relativa all’uso dei fondi disponibili da parte del Comune. La Cassazione ha spiegato che, una volta consolidata la ragione principale della decisione (la mancata prova dell’inadeguatezza del pasto), diventa inammissibile contestare una motivazione secondaria e non essenziale.

Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio chiaro: il diritto alla mensa gratuita per il personale della scuola è un’agevolazione di carattere assistenziale. Per contestare la qualità o la composizione del pasto fornito, non è sufficiente sostenere che non sia ‘completo’ secondo un’idea soggettiva. Il lavoratore ha l’onere di allegare e provare concretamente che il servizio offerto è inidoneo a soddisfare la sua funzione essenziale: garantire il benessere psico-fisico durante l’orario di lavoro. Questa decisione rafforza la natura assistenziale del servizio, distinguendolo nettamente da un elemento della retribuzione, e pone un onere probatorio specifico a carico del dipendente che ne lamenta l’insufficienza.

A cosa ha diritto un insegnante in servizio durante la mensa scolastica?
L’insegnante ha diritto a un pasto la cui funzione è assistenziale, ovvero finalizzata a garantire il suo benessere psico-fisico. La legge non definisce una composizione standard (es. primo, secondo, contorno), ma si concentra sull’adeguatezza del pasto a questo scopo.

Se un insegnante ritiene il pasto della mensa insufficiente, cosa deve fare in un eventuale giudizio?
Secondo la Corte, l’insegnante ha l’onere della prova. Deve dimostrare specificamente perché il pasto offerto non è idoneo a soddisfare la sua funzione assistenziale. Non è sufficiente lamentare la mancanza di una portata, ma è necessario provare l’inadeguatezza del servizio a garantire il benessere.

Le linee guida nazionali sulla ristorazione scolastica possono essere usate per rivendicare un pasto ‘completo’?
No. La Cassazione ha chiarito che le linee guida nazionali sono atti di indirizzo politico e non vere e proprie norme di legge. Pertanto, la loro violazione non può essere invocata come motivo di ricorso in Cassazione per violazione di norme di diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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