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Diritto al buono pasto: la Cassazione chiarisce

Un gruppo di infermieri ha citato in giudizio la propria Azienda Sanitaria per ottenere il pagamento dei buoni pasto non corrisposti. Dopo un lungo iter giudiziario, la Corte di Cassazione ha stabilito che la richiesta dei lavoratori non doveva essere intesa solo come una pretesa retributiva, ma anche come una domanda di risarcimento per il danno subito. La Corte ha annullato la precedente sentenza d’appello che aveva respinto la domanda, affermando il principio che il diritto al buono pasto può essere tutelato anche in via risarcitoria e che i giudici devono interpretare in modo completo le domande dei ricorrenti.

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Diritto al Buono Pasto: Anche come Risarcimento del Danno

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su una questione di grande rilevanza per i lavoratori del settore pubblico e privato: il diritto al buono pasto. La decisione chiarisce un aspetto fondamentale, stabilendo che la richiesta dei buoni pasto non erogati può essere qualificata non solo come una pretesa retributiva, ma anche come una domanda di risarcimento del danno, obbligando i giudici a un’interpretazione più attenta e completa delle istanze dei lavoratori.

I Fatti di Causa: La Lunga Battaglia dei Lavoratori della Sanità

La vicenda trae origine dal ricorso presentato nel 2012 da un gruppo di infermieri dipendenti di un’Azienda Sanitaria Provinciale. I lavoratori lamentavano di aver svolto turni di lavoro superiori alle sei ore senza aver mai fruito del servizio mensa o ricevuto i buoni pasto sostitutivi. Per questo motivo, avevano chiesto al Tribunale la condanna dell’azienda al pagamento delle somme dovute sia a titolo di indennità per il tempo necessario a indossare e togliere la divisa (il cosiddetto “tempo tuta”) sia per i buoni pasto per il periodo dal 2001 al 2010.

Il percorso giudiziario è stato lungo e complesso. Dopo una prima sconfitta in Tribunale e in Corte d’Appello, i lavoratori si sono rivolti alla Corte di Cassazione, la quale, con una prima ordinanza, aveva già annullato la decisione di merito, rimandando il caso a una diversa Corte d’Appello. Tuttavia, anche questo nuovo giudizio d’appello si era concluso con il rigetto della domanda, spingendo i lavoratori a un ulteriore ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Diritto al Buono Pasto

La questione centrale su cui la Suprema Corte è stata chiamata a decidere riguardava l’interpretazione della domanda originaria dei lavoratori. La Corte d’Appello aveva infatti respinto la richiesta sostenendo che i lavoratori avessero presentato una domanda di adempimento (il pagamento dei buoni pasto), ma non una domanda di risarcimento del danno per la mancata erogazione del servizio. Secondo i giudici di merito, non essendo presente una specifica richiesta risarcitoria, la domanda non poteva essere accolta.

La Corte di Cassazione ha ribaltato completamente questa visione, accogliendo il ricorso dei lavoratori. La Suprema Corte ha stabilito che la Corte d’Appello aveva commesso un errore procedurale (error in procedendo) violando il principio di corrispondenza tra quanto chiesto e quanto deciso (art. 112 c.p.c.).

L’Errore del Giudice di Appello: Un’Interpretazione Troppo Ristretta

L’errore del giudice di secondo grado è consistito nel non aver colto che la domanda dei lavoratori, sebbene formulata in termini di “pagamento delle somme”, includeva implicitamente anche una causa petendi di tipo risarcitorio. I lavoratori, infatti, avevano giustificato la loro richiesta anche sulla base della giurisprudenza che riconosceva tali somme a titolo di risarcimento del danno per il disagio subito a causa dell’assenza del servizio mensa. Limitarsi a vedere solo la richiesta di adempimento, ignorando la componente risarcitoria, ha significato per il giudice non esaminare la domanda nella sua interezza.

Le Motivazioni

Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’interpretazione del contenuto di una domanda giudiziale è un’attività riservata al giudice di merito, ma diventa sindacabile in sede di legittimità quando, come in questo caso, un’errata qualificazione porta alla violazione di norme processuali fondamentali. Il giudice ha il dovere di qualificare correttamente la domanda, andando oltre la mera formulazione letterale per individuare il petitum (il bene della vita richiesto) e la causa petendi (i fatti e le ragioni giuridiche a fondamento).

Nel caso specifico, la domanda dei lavoratori era chiaramente finalizzata a ottenere una somma di denaro come compensazione per la mancata fruizione della pausa pranzo e del pasto. Questa richiesta poteva essere fondata sia su un diritto di natura retributiva/indennitaria, sia su un diritto al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del datore di lavoro. Ignorare questa seconda possibile qualificazione ha significato decidere in modo incompleto sulla domanda, violando così il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. La Corte ha quindi cassato la sentenza e rinviato il caso a un’altra Corte d’Appello per una nuova valutazione.

Le Conclusioni

La decisione della Suprema Corte ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza la tutela dei lavoratori, confermando che il diritto al buono pasto, quando non garantito, può dar luogo a una pretesa risarcitoria. In secondo luogo, invia un messaggio chiaro ai giudici di merito: le domande dei lavoratori devono essere interpretate in modo sostanziale e non meramente formale, al fine di garantire una tutela effettiva dei loro diritti. Per i datori di lavoro, questa ordinanza rappresenta un monito a non sottovalutare gli obblighi legati al servizio mensa o alla sua sostituzione con i buoni pasto, poiché l’inadempimento può portare a condanne non solo per il pagamento degli arretrati, ma anche per il risarcimento del danno causato ai dipendenti.

Un lavoratore ha diritto al buono pasto se il datore di lavoro non fornisce il servizio mensa per turni superiori alle sei ore?
Sì, la sentenza riafferma il principio secondo cui il diritto alla fruizione dei buoni pasto è collegato al diritto alla pausa per ogni turno lavorativo che eccede le sei ore, come stabilito dalla contrattazione collettiva e dalla normativa sull’orario di lavoro.

Se un lavoratore chiede il pagamento dei buoni pasto non ricevuti, la sua richiesta può essere considerata anche una richiesta di risarcimento danni?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la domanda di pagamento di somme a titolo di buoni pasto deve essere interpretata in modo completo dal giudice, il quale deve valutare se essa possa essere qualificata anche come una richiesta di risarcimento del danno per la mancata concessione del servizio mensa.

Cosa succede quando un giudice non valuta correttamente tutti gli aspetti di una domanda presentata da un lavoratore?
Quando un giudice interpreta la domanda in modo troppo restrittivo, omettendo di considerare tutte le possibili qualificazioni giuridiche (ad esempio, sia quella retributiva che quella risarcitoria), commette un errore procedurale. Tale errore, secondo la Corte, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e può portare all’annullamento della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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