Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20610 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20610 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10625-2024 proposto da:
NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME CROCIFISSA, COGNOME CROCIFISSA, NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME TERRANOVA NOME COGNOME TERRANOVA COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME nella qualità di eredi di NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
Oggetto
PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 10625/2024
Ud. 22/05/2025 CC
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE CALTANISSETTA, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 833/2023 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 09/11/2023 R.G.N. 78/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Fatti di causa:
1. I ricorrenti indicati in epigrafe, dipendenti dell’Asp 2 di Caltanissetta, con la qualifica di infermieri, in servizio presso il Presidio Ospedaliero di Mazzarino, con ricorso depositato il 7.04.2012 adivano il Tribunale di Gela, in funzione di giudice del lavoro, per ottenere la condanna dell’Asp di Caltanissetta al pagamento delle somme ritenute agli stessi dovute a titolo di indennità di vestizione e svestizione e per buoni pasto. Nel ricorso lamentavano di avere svolto turni di lavoro che, distribuiti nelle ventiquattro ore, avevano superato le sei ore e di non avere fruito del servizio mensa. Rivendicavano il diritto a vedersi riconosciuta sia l’inden nità inerente il cd. tempo tuta, sia i buoni pasto, sulla scorta di una quantificazione per il periodo dal 2001 al 2010 riportata in tabelle contenute nel ricorso. Nelle conclusioni chiedevano al Tribunale adito di «ritenere e dichiarare che ogni ricorrente ha diritto, in proprio favore, al pagamento della somma determinata per ciascuno dalla tabella indicata in narrativa, per le causali lì declinate; condannare l’Azienda ospedaliera resistente al pagamento delle somme indicate nelle tabelle oltre interessi e rivalutazione
monetaria dall’insorgenza del diritto sino al soddisfo ». Si costituiva l’Asp 2 di Caltanissetta chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale di Gela, con la sentenza n. 190/2014, rigettava il ricorso.
I ricorrenti impugnavano la sentenza. L’Azienda Ospedaliera si costituiva e chiedeva il rigetto dell’impugnazione. La Corte di Appello di Caltanissetta con la sentenza n. 63/2017 rigettava l’appello.
Su ricorso degli odierni ricorrenti, la Corte di cassazione, con l’ordinanza 32113 del 2022, cassava con rinvio la sentenza impugnata.
I ricorrenti riassumevano il giudizio innanzi alla Corte di Appello di Palermo chiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado e l’accoglimento della originaria domanda. L’Azienda ospedaliera si costituiva nel giudizio riassunto chiedendo il r igetto dell’appello e della domanda originaria. Con la sentenza n. 833/2023 depositata in data 09/11/2023 la Corte di Appello di Palermo, sezione lavoro, ha respinto l’appello e con esso l’originaria domanda dei ricorrenti.
Avverso detta sentenza ricorrono i lavoratori indicati in epigrafe articolando un motivo di impugnazione. L’Azienda Sanitaria provinciale di Caltanissetta si è costituita con controricorso chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis. 1, c.p.c..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 22 maggio 2025.
Ragioni della decisione:
Con l’unico motivo di ricorso si deduce «violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 c.c., 112 c.p.c., articoli 132 secondo comma n. 4 c.p.c., 113 primo comma c.p.c. (in
relazione all’art. 156 secondo comma), art. 111 cost. in relazione all’art. 360, comma primo n. 4 c.p.c., in quanto la motivazione è manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa ed incomprensibile nonché in relazione all’art. 360, comma 4 c.p.c.: vizio del ragionamento logico decisorio, inesatta rilevazione del contenuto della domanda, vizio attinente alla individuazione del petitum , violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato».
1.1. Secondo la parte ricorrente la Corte di Appello avrebbe errato nel non ravvisare, in seno all’originario ricorso proposto innanzi al Tribunale, una domanda risarcitoria diretta a ottenere la liquidazione del pregiudizio subito dai lavoratori in ragione della mancata istituzione del servizio mensa e della mancata erogazione dei buoni pasto. In questo modo la sentenza avrebbe violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e avrebbe illegittimamente rigettato la domanda dei ricorrenti e insieme disatteso illegittimamente il principio di diritto affermato dal provvedimento rescindente della Corte di cassazione.
Per valutare adeguatamente il ricorso occorre rammentare come questa Corte, nell’ordinanza 31/10/2022, n. 32113, definendo il primo giudizio di legittimità abbia affermato l’applicabilità del principio di diritto secondo il quale «ai fini del riconoscimento del buono pasto a un dipendente adibito a turni orari 13/20 e 20/07, va considerato coessenziale alle particolari condizioni di lavoro di cui all’art. 29 del contratto collettivo del comparto Sanità del 20 settembre 2001, integrativo del c.c.n.l. del 7.4.1999, il diritto a usufruire della pausa di lavoro, a prescindere dal fatto che la stessa avvenisse in fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto o in fasce
per le quali il pasto potesse essere consumato prima dell’inizio del turno» ed ha, per questa via, riaffermato il principio di diritto secondo il quale «in tema di pubblico impiego privatizzato, l’attribuzione del buono pasto, in quanto agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantirne il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa quando l’orario giornaliero corrisponda a quello contrattualmente previsto per la fruizione del beneficio, è condizionata all’effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, solo che il lavoratore, osservando un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore, abbia diritto ad un intervallo non lavorato» (Cass. n. 5547 del 2021; v. altresì Cass. n. 15629 del 2021); ciò perché il diritto alla mensa ex articolo 29, comma 2, c.c.n.l. integrativo sanità del 20 settembre 2001 è (invero) collegato al diritto alla pausa, di qui il rilievo del d.lgs. 8 aprile 2003 nr. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), articolo 8, a tenore del quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto; le modalità e la durata della pausa sono, poi, stabilite dai contratti collettivi di lavoro e, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo». Secondo la Corte «la sentenza impugnata, attribuendo rilevanza alla circostanza che i lavoratori non avessero mai richiesto la fruizione del servizio mensa fuori dell’orario di lavoro, si è discostata dai principi suesposti, sicché
deve essere annullata. Accertato, quindi, il diritto alla fruizione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le sei ore, e tenuto conto che il pasto non è monetizzabile ai sensi della disciplina vigente, dovrà il giudice del rinvio, nell’ambito dei suoi poteri di qualificazione della domanda proposta dai lavoratori, valutare se attribuire, in presenza dei presupposti di legge, il bene della vita invocato, se del caso a titolo di risarcimento del danno».
2.1. Sulla base di tale articolato ragionamento era stato, pertanto, rimesso al giudice del rinvio di qualificare la domanda spiegata originariamente dai ricorrenti e di valutare se riconoscere -ricorrendo i presupposti di legge -un risarcimento del danno per la mancata concessione del servizio mensa e per il mancato pagamento dei buoni pasto.
2.2. La Corte territoriale, condotta l’indagine delegata, ha escluso che nell’originario ricorso dei lavoratori fosse ravvisabile una domanda diretta (anche alla) tutela risarcitoria. Secondo la sentenza impugnata una domanda risarcitoria non era presente né nelle conclusioni né dall’esame complessivo del ricorso originario, per come riportato per esteso in atti.
2.3. Il ricorso è ammissibile avuto riguardo al principio, costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale «in materia di ricorso per cassazione, l’individuazione e l’interpretazione del contenuto della domanda, attività riservate al giudice di merito, sono comunque sindacabili, come vizio di nullità processuale ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., qualora l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda determini un vizio attinente all’individuazione del petitum , sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato» (Cass. 06/11/2023, n. 30770).
2.4. Orbene, ad avviso del Collegio il ricorso è anche fondato perché la domanda spiegata dai ricorrenti innanzi al Tribunale, per come riportata nel ricorso, nel controricorso e per come direttamente valutabile dalla Corte essendo dedotto error in procedendo , non recava una istanza limitata alla tutela retributiva, con la quale cioè si chiedeva il pagamento dei buoni pasto ovvero della relativa indennità secondo le tabelle allegate al ricorso, ma rettamente e complessivamente intesa la domanda riguardava anche la tutela risarcitoria, invocata dai ricorrenti, tra le altre, quale autonoma causa petendi diretta a giustificare il pagamento delle somme richieste. In tal senso assume decisivo rilievo la circostanza che, nel riportare le ragioni a sostegno della domanda, la difesa dei ricorrenti citava anche varie massime della giurisprudenza amministrativa che tali somme avevano riconosciuto, all’esito di analoghe controversie, a titolo risarcitorio, così ancorando la domanda anche alla causa petendi di tipo risarcitorio con chiari riferimenti presenti nell’atto introduttivo che venivano, nelle conclusioni, complessivamente richiamati con le altre causali e ragioni invocate. La domanda doveva, così, intendersi come domanda diretta all’ottenimento delle somme dovute , a titolo retributivo, indennitario ovvero risarcitorio secondo il percorso disegnato dalla giurisprudenza stratificatasi in materia e già ricostruita dalla prima pronuncia rescindente.
3. La sentenza impugnata, allora, nel qualificare la domanda ha violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato e deve essere cassata, con rinvio ad altra Corte di Appello alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catania alla quale è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione