Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27175 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27175 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE utili
AC – 2/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17618/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME NOME elett.te domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 479/2020, pubblicata in data 12 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Nocera Inferiore aveva revocato il decreto ingiuntivo per euro 252.339,00 da lui ottenuto, quale socio della RAGIONE_SOCIALE, a titolo di utili maturati negli esercizi 2005, 2006 e 2007, e, in parziale riforma della predetta sentenza, ha condannato il COGNOME a pagare in restituzione alla società la somma di euro 145.775,53 a titolo di indebito, negando che vi fosse prova in atti di un finanziamento da questi effettuato in favore della società.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che nelle società di persone, quale era la RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti, il diritto del socio a percepire utili di gestione sorge solo per effetto dell’ avvenuta approvazione del rendiconto; b) che nella specie andava condivisa la valutazione del primo giudice, laddove aveva accertato che alcuna prova era stata fornita della predisposizione e successiva approvazione dei rendiconti relativi agli esercizi per cui il COGNOME rivendicava il proprio diritto agli utili; c) che alcuna allegazione, prima ancora che prova, era stata tampoco fornita nel giudizio di opposizione dal decreto ingiuntivo dell’avvenuta predisposizione e approvazione dei citati rendiconti, ciò che rendeva impossibile
procedere all’accertamento del diritto fatto valere in giudizio dal COGNOME.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
«Primo motivo: Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2261 e 2262 cod. civ ., nonché dell’art. 263 c.p.c. ( art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.)» deducendo che la Corte di appello, una volta revocato il decreto ingiuntivo opposto per mancanza dei rendiconti, avrebbe tuttavia dovuto accertare il diritto del socio e la misura dell’utile, procedendo a istruire la causa proprio per determinare il contenuto dei rendiconti mancanti.
«Secondo motivo. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riguardo alla presenza tra documenti prodotti non soltanto delle attestazioni rilasciate a fini fiscali al socio (che non possono surrogare il rendiconto), ma anche dei bilanci allegati alle dichiarazioni fiscali della società e del bilancio di trasformazione della stessa, che invece ben possono costituire documenti contabili dell’utile effettivamente prodotto e valido rendiconto.».
I primi due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, si rivelano inammissibili perché mostrano di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata: la Corte territoriale, dopo aver revocato il decreto ingiuntivo per carenza dei presupposti legittimanti la sua emissione, mostra di ben avvedersi della domanda di merito del COGNOME volta all’accertamento del suo credito per utili sociali (cfr. pag. 8: ‘ l’ opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione esteso all’esame … della fondatezza della domanda del creditore ‘. ). Sennonché, tale
domanda di cognizione è poco oltre respinta sul presupposto, che costituisce la ratio decidendi , dell’accertamento, già effettuato dal Tribunale e condiviso in appello, dell’ assenza di qualsiasi possibilità di procedere alla valutazione della consistenza degli utili maturati in assenza di alcun documento contabile che potesse tenere luogo dei rendiconti approvati.
I due motivi di ricorso in esame prescindono del tutto da tale a rgomentazione motiva e dall’ac certamento in fatto su cui si fonda, finendo il secondo mezzo per introdurre l’ argomento dell’esistenza di prove in atti della contabilità sociale che, oltre che riferibili all’epoca della trasformazione (2009), successiva a quella oggetto della pretesa monitoria (utili 2005,2006 e 2007), finiscono per pretendere da questa Corte una rivalutazione, altrettanto inammissibile, del materiale probatorio, di cui peraltro omette di indicare -ai fini dell’ autosufficienza della censura -come, dove e quando tali circostanze documentali sarebbero state ritualmente introdotte in lite e coltivate nella fase di merito. Da ultimo, le due censure presuppongono una domanda diversa da quella formulata (di mero accertamento) che non risulta mai proposta, non contenendo il motivo, in ossequio alla necessaria autosufficienza, alcuna indicazione del come, dove e quando una simile diversa domanda sia stata ritualmente proposta e coltivata nella fase di merito.
«Terzo motivo. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2033, 2036, 2260 e 2476 cod. civ. (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.)» , deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove la stessa ha accertato la natura indebita del pagamento di euro 145.775,53 effettuato dalla società, posto che la domanda era stata erroneamente qualificata dal giudice territoriale, potendo al
più inquadrarsi nella fattispecie dell’azione sociale di responsabilità avvers o l’amministratore NOME COGNOME, ma giammai nell’ alveo del pagamento indebito.
«Quarto motivo. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. (art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.)», deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata nella valutazione dei criteri di riparto dell’onere della prova dell’indebito, come dei criteri di valutazione della prova presuntiva in relazione alla ritenuta carenza probatoria del finanziamento effettuato dal RAGIONE_SOCIALE in favore della società.
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili perché, sotto l’ apparente denuncia della falsa applicazione dei principi di interpretazione della domanda, sottendono in realtà il tentativo di far compiere a questa Corte un’ennesima valutazione in fatto, indirizzata alla rivalutazione delle prove acquisite in atti, al fine di dimostrare l’inesistenza della prova dell’ indebito e l’esistenza di un proprio credito da finanziamento nei confronti della società. Le due censure, infatti, senza minimamente contestare i canoni ermeneutici applicabili alla fase di interpretazione delle prove da parte del giudice di merito, pretendono di far accertare in questa fase di legittimità l’ utilizzabilità, ai fini del decidere, di quei documenti (mastrini, estratti conto, assegni) che i giudici del merito hanno concordemente negato essere utilizzabili per dimostrare la sussistenza di una valida causa debendi , idonea a escludere l’invece acclarata natura indebita del pagamento effettuato dalla società intimata a favore del ricorrente e oggetto della condanna restitutoria.
La mancata attività difensiva dell’intimata esonera la Corte dal dover provvedere alla regolazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 ottobre 2024.