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Diritto agli utili: quando il socio non può pretenderli

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un socio che richiedeva il pagamento degli utili di una società. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale del diritto societario: il diritto agli utili per un socio sorge esclusivamente dopo l’approvazione del rendiconto. In assenza di tale documento contabile, qualsiasi pretesa è infondata, e la richiesta del socio di far riesaminare prove alternative come le dichiarazioni fiscali costituisce un inammissibile tentativo di rivalutazione del merito.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diritto agli Utili: Senza Rendiconto Approvato, il Socio non ha Diritto a Nulla

Con l’ordinanza n. 27175/2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire un caposaldo del diritto societario: il diritto agli utili di un socio sorge solo e unicamente a seguito dell’approvazione del bilancio o del rendiconto. Questa pronuncia chiarisce che, in assenza di tale approvazione formale, il socio non può avanzare alcuna pretesa, e che prove alternative, come le dichiarazioni fiscali, non possono surrogare il documento contabile fondamentale. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: una Pretesa di Profitti non Corrisposti

La controversia nasce dalla richiesta di un socio di una società, inizialmente costituita come società di persone, di ottenere il pagamento di utili che sosteneva essere maturati in tre esercizi sociali. Il socio aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per una somma considerevole, ma la società si era opposta. Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano dato ragione alla società, revocando il decreto ingiuntivo. La motivazione dei giudici di merito era chiara: il socio non aveva fornito la prova essenziale, ovvero la predisposizione e, soprattutto, l’approvazione dei rendiconti relativi agli anni in questione. Anzi, la Corte d’Appello aveva condannato il socio a restituire una cospicua somma ricevuta dalla società, qualificandola come pagamento indebito in quanto privo di una valida giustificazione (causa debendi).

La Decisione della Corte di Cassazione e il Diritto agli Utili

Il socio, non rassegnato, ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi. Con i primi due, lamentava che i giudici avessero errato nel non accertare comunque il suo credito, anche in assenza dei rendiconti, e nell’ignorare altri documenti prodotti, come bilanci allegati a dichiarazioni fiscali. Con gli altri due motivi, contestava la condanna alla restituzione delle somme, sostenendo un’errata qualificazione giuridica della domanda della società e un’errata valutazione delle prove relative a un presunto finanziamento da lui effettuato.

La Suprema Corte ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile, confermando in toto la linea dei giudici di merito e consolidando un principio fondamentale in materia di diritto agli utili.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente con motivazioni precise e rigorose.

In primo luogo, ha evidenziato come i primi due motivi di ricorso fossero inammissibili perché non coglievano la ratio decidendi della sentenza d’appello. Il punto centrale non era discutere quali prove potessero dimostrare l’esistenza degli utili, ma accertare se esistesse il presupposto giuridico per richiederli: l’approvazione del rendiconto. Senza questo atto formale, il diritto del socio semplicemente non sorge. Tentare di utilizzare documenti fiscali o altri bilanci era un tentativo, non consentito in sede di legittimità, di ottenere un nuovo esame dei fatti e una rivalutazione delle prove.

Anche il terzo e il quarto motivo sono stati giudicati inammissibili. Secondo la Corte, dietro l’apparente denuncia di violazioni di legge, il ricorrente cercava ancora una volta di far compiere alla Cassazione una valutazione di merito. Chiedeva, in sostanza, di riesaminare documenti come estratti conto e assegni per dimostrare che il denaro ricevuto dalla società non era un indebito, ma aveva una valida giustificazione. Un’operazione preclusa al giudice di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge, non ricostruire i fatti.

Le Conclusioni: l’Importanza della Prova Documentale

L’ordinanza in commento offre un insegnamento pratico di grande valore per soci e amministratori. Il diritto agli utili non è un’entità astratta che matura con il semplice trascorrere del tempo o con la presunzione che la società abbia generato profitti. È un diritto concreto che nasce da un atto giuridico preciso: l’approvazione del documento che accerta i risultati della gestione. Nelle società di persone, questo documento è il rendiconto; nelle società di capitali, è il bilancio. Senza questo passaggio, il socio non ha titolo per pretendere alcunché. La sentenza ribadisce che l’onere della prova grava interamente sul socio che agisce in giudizio, il quale deve dimostrare non solo l’esistenza di utili, ma prima ancora l’avvenuta approvazione del documento contabile che li certifica.

Quando un socio di una società di persone matura il diritto a percepire gli utili?
Il diritto del socio a percepire la propria quota di utili sorge solo ed esclusivamente dopo l’avvenuta approvazione del rendiconto da parte degli altri soci, come stabilito dall’art. 2262 del codice civile.

I documenti fiscali della società possono sostituire il rendiconto approvato per dimostrare il diritto agli utili?
No. La Corte ha chiarito che documenti come i bilanci allegati alle dichiarazioni fiscali o le attestazioni rilasciate ai fini fiscali non possono surrogare o sostituire il rendiconto formalmente approvato, che è l’unico atto che legittima la pretesa del socio.

Cosa succede se un socio fa ricorso in Cassazione cercando di far riesaminare le prove già valutate nei gradi precedenti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto, non può compiere una nuova valutazione dei fatti o delle prove documentali (come estratti conto, assegni o bilanci) già esaminate dai giudici di primo e secondo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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