Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5307 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 5307  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21023/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME rappresentato e difeso dall’avvocato  NOME
NOME GIUDICE;
– ricorrente –
contro
COGNOME  NOME  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso  la  sentenza  della CORTE  D’APPELLO di  PALERMO,  n. 819/2020 depositata il 27/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Agrigento, previo espletamento di CTU, rigettava la domanda riconvenzionale di COGNOME NOME NOME NOME di intervenuta usucapione di un’area di 6408 mq ricompresa nella particella distinta in catasto al foglio 133, particella 299, di proprietà dell’attore COGNOME NOMENOME condannava lo stesso COGNOME all’immediato rilascio dell’area occupata senza titolo e al risarcimento del danno da ritardato rilascio, q uantificandolo in € 756,14 annui oltre rivalutazione ed interessi pro rata temporis al tasso legale ridotto di 1/3 sulla somma via via rivalutata anno per anno, e ciò dalla data della domanda fino al saldo.
NOME NOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’Appello di Palermo accoglieva il gravame.
La Corte evidenziava che trattandosi di azione di rivendica l’attore era soggetto ad un onere probatorio particolarmente rigoroso, dovendo provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario ovvero dimostrando il compimento della usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus . L ‘attore NOME non aveva assolto a tale onere, non avendo prodotto né il proprio titolo di proprietà, né quelli dei propri danti causa, essendosi limitato a produrre la nota di trascrizione relativa al proprio atto di acquisto, che in nessun caso poteva costituire valida fonte di prova in ordine al contenuto del titolo cui si riferiva.
Sulla base di tale presupposto, dunque, la domanda del COGNOME andava rigettata. Inoltre, era errata anche la condanna al rilascio del bene, erroneamente “ricondotta dal primo giudice alla esistenza di un comodato precario, e dunque ad un titolo diverso da quello dedotto  dallo  stesso  appellato,  che  non  aveva  rappresentato  la esistenza di alcun rapporto negoziale  col  COGNOME,  avendo piuttosto lamentato un possesso da parte di quest’ultimo qualificato “ingiustificato ed illegale”.
Conseguenzialmente errata risultava anche la condanna dell’appellante al risarcimento dei danni che, peraltro, non erano neppure provati non potendosi ritenere il risarcimento del danno da occupazione sine titulo , un danno in re ipsa .
Infondato era, invece, il motivo relativo al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di intervenuta usucapione. Benché, infatti, non potesse essere contestato il possesso, da parte dell’odierno appellante, della porzione di terreno per cui è causa, giuste le affermazioni dello stesso COGNOME che mediante la relazione tecnica di parte aveva lamentato da parte del COGNOME” un appropriamento con possesso di una parte del proprio terreno” non risultava maturato al momento della formulazione della domanda il termine ventennale necessario, avendo il COGNOME acquistato il terreno con atto del 13/1/1999.
Né risultava utile per l’appellante la invocata accessione nel possesso dei propri danti causa difettando al riguardo la prova del possesso da parte di questi ultimi.
Inammissibile risultava peraltro il capitolato di prova all’uopo formulato in primo grado e non ammesso, perché le circostanze articolate avrebbero implicato da parte del teste la manifestazione
di un giudizio tecnico da riservarsi invece al giudice del merito ed all’esito della valutazione della prova.
Inammissibile risultava, infine, anche la domanda di NOME di intervenuta usucapione decennale ex art. 1159 c.c., trattandosi di domanda nuova non formulata. in primo grado, peraltro basata su presupposti differenti rispetto alla usucapione ordinaria.
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
 NOME  NOME  ha  resistito  con  controricorso  e  ha proposto ricorso incidentale.
Il Procuratore Generale in personale del sostituto NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del primo e del ter zo motivo del ricorso incidentale e per il rigetto di tutti i restanti motivi del ricorso principale e di quello incidentale.
Il ricorrente principale, con memoria depositata in prossimità dell’udienza , ha insistito nella richiesta di accoglimento del motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Il  primo  motivo  di  ricorso  è  così  rubricato:  erronea qualificazione  dell’azione,  violazione  e/o  falsa  applicazione  artt. 950-2697 cc- e dal 112 al 115 c.p.c., violazione art. 24 e 111 cost. e dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione.
La censura si fonda sull’erronea qualificazione della domanda originaria come azione di rivendica mentre invece si trattava di una domanda ex art. 950 c.c. di regolamento di confini sottoposta, per quanto riguarda la prova della proprietà, a condizioni meno rigide e rigorose.
Il Tribunale, secondo il ricorrente, visto che non erano contestate le (rispettive) proprietà delle particelle 299 (COGNOME) e 297 (COGNOME), ma i confini non delimitati delle stesse, e, quindi, che si verteva senz’altro in materia di accertamento dei rispettivi confini, ossia di delimitare le rispettive proprietà, prive di segni tangibili di confine, provvedeva a nominare CTU tecnico il quale, in effetti, accertava che i fondi erano confinanti, privi di recinzione, e che il COGNOME, erroneamente interpretando i confini della propria particella (297) aveva sconfinato, occupando, parte, del fondo del COGNOME per circa mq 6408 (particella 299).
Il Tribunale, quindi, in virtù del superiore accertamento condannava il COGNOME all’immediato rilascio della porzione di terreno, individuata nella CTU, estesa 6408 mq, sito in agro di Camastra, distinto in catasto al foglio 13, particella 299. La Corte di Appello, invece, soffermandosi ad una lettura superficiale degli atti, senza addentrarsi nell’interpretazione dell’effettiva volontà delle parti e dell’oggetto del contendere, non ha affatto tenuto conto dell’insussistenza di segni di delimitazione del confine tra le particelle 299 e 297, e che, quindi, in effetti, l’attore aveva voluto esercitare l’azione di regolamento di confini ex art 950 c.c. e non affatto l’azione di rivendica ex art. 948 c.c.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’ art. 112 c.p.c. e dei principi sanciti dalla Corte di Cassazione.
Nella sentenza nulla viene detto o chiarito circa il confine tra le due proprietà, ossia ove termina la particella 299 e ove inizia la 297.
Il  Giudice  di  appello  avrebbe  disatteso l’ obbligo  imposto dall’articolo 112 c.p.c. di pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, alla stregua delle prove prodotte dalle parti.
Nel caso in esame la situazione tra le parti sarebbe rimasta irrisolta, non essendo stati individuati i confini tra la particella 299 e la 297, con conseguente violazione dei principi sopra enunciati e di quanto disposto dall’art. 112 c.p.c.
2.1 I primi due motivi sono infondati.
Il Collegio condivide quanto osservato dal P.G. nelle sue conclusioni circa il fatto che la qualificazione della domanda dell’attore , odierno ricorrente, come azione di rivendicazione era stata fatta dal giudice di primo grado e la relativa statuizione non è stata oggetto di impugnazione in appello e che la valutazione della fondatezza dei motivi non può prescindere da tale qualificazione, che si è cristallizzata alla stregua del petitum e della causa petendi sviluppati nell’atto introduttivo del giudizio di prime cure, ossia quale azione di rivendicazione ex art. 948 cod. civ.
Peraltro, anche nel giudizio di appello non risulta essere stata messa  in discussione la qualificazione  della  domanda  come rivendica. Al contrario, proprio in relazione a tale qualificazione la controparte  con  il  terzo  motivo  di  appello  aveva  censurato  la sentenza per non avere assolto il COGNOME l’onere della prova .
In ogni caso, il COGNOME non avrebbe potuto mutare la domanda in appello. Si è detto, infatti, che: Qualora in primo grado sia stato chiesto, mediante la proposizione di un’azione di revindica (la quale involge  la  contestazione  sul  diritto  di  proprietà),  il  rilascio  di  un bene  posseduto  dal  convenuto,  costituisce  domanda  nuova,  se proposta per la prima volta in appello, quella con la quale si chiede
il  regolamento  dei  confini,  atteso  che  l’individuazione  dei  confini costituisce un bene giuridico diverso da quello dell’attribuzione in proprietà  di  un  bene  abusivamente  posseduto  dal  convenuto medesimo (Cass. Sez. 2, 23/08/2019, n. 21649, Rv. 654907 – 01).
In  definitiva,  l a  Corte  d’Appello ha  correttamente  giudicato sulla domanda di rivendica come qualificata in primo grado e senza contestazioni  sul  punto.  Risulta  del  tutto  infondata,  pertanto,  la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c..
In ogni caso, leggendo gli atti processuali (attività possibile nel giudizio di legittimità allorché si verta di error in procedendo ) l’interpretazione dei giudici di merito risulta corretta in quanto conforme al seguente principio di diritto: Mentre l’azione di regolamento di confini presuppone un’incertezza oggettiva o soggettiva sugli stessi, l’azione di rivendica presuppone un conflitto tra i rispettivi titoli di proprietà. Ne consegue che solo in tale ultimo caso sull’attore incombe l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà in forza di un titolo di acquisto originario o derivativo risalente ad un periodo di tempo atto all’usucapione. (Cass. Sez. 2, 24/04/2018, n. 10066, Rv. 648164 -01, conf. Sez. 2, Sent. n. 28349 del 2011 Rv. 620546 – 01).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli  artt.  948,  1158,  1159,  2659,  2697,  2735  c.c. 115 e 116 c.p.c. tutti in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
Nel caso di specie l’attore avrebbe assolto l’ onere della prova circa la proprietà in quanto sarebbe stato espressamente confessato  da  parte  avversa  che  il  COGNOME  NOME  è  l’unico proprietario della particella 299.
Inoltre, dalla nota di trascrizione dell’1 ° giugno 1983, relativa all’atto di conferimento, e dalla perizia di parte prodotta dall’attore, si  evince  che  quest’ultimo  ha  posseduto  in  modo  continuativo  e ininterrotto la particella 299 per un tempo sufficiente per l’acquisto a titolo originario della proprietà ai sensi dell’art. 1159 cod. civ.;
La  proposizione  della  domanda  di  usucapione  da  parte  del convenuto  avrebbe  comportato  un  alleggerimento  degli  oneri probatori  posti  a  carico  dell’attore,  essendo  l’acquisto  a  titolo originario del convenuto successivo all’acquisto, per analogo titolo, formatosi in capo all’attore in rivendicazione .
In ogni caso la Corte di appello avrebbe errato nell’escludere valenza  probatoria  alla  nota  di  trascrizione,  ben  potendo  essa rappresentare uno degli elementi sui quali si può fondare l’accoglimento della domanda di rivendicazione . Quanto al contraddittorio rigetto contestuale anche della domanda di usucapione  la  censura  è  assorbita  dall’accoglimento  del relativo motivo del ricorso incidentale.
3.1 Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Preliminarmente deve richiamarsi il seguente principio di diritto applicabile nella fattispecie: In tema di rivendicazione, il giudice di merito è tenuto innanzitutto a verificare l’esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa, e ciò a prescindere da qualsiasi eccezione del convenuto, giacché, investendo tale indagine uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d’ufficio. Per quanto attiene, in particolare, alla identità del bene domandato dall’attore con quello descritto nel
titolo  stesso,  i  dati  catastali  non  hanno  valore  di  prova  ma  di semplice indizio, costituendo le mappe  catastali  un  sistema secondario e sussidiario rispetto all’insieme degli elementi raccolti in fase istruttoria (Cass. Sez. 2, 03/03/2009, n. 5131, Rv. 606938 – 01).
Nella specie, la Corte d’Appello ha evidenziato che il NOME non ha prodotto né il proprio titolo di proprietà, né quelli dei propri danti causa essendosi limitato a produrre la nota di trascrizione e non potendosi supplire a tale carenza probatoria con le asserite ammissioni contenute negli scritti difensivi di controparte, i quali oltretutto essendo sottoscritti unicamente dal procuratore “ad litem” o dal consulente di parte costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento.
Quanto alla nota di trascrizione deve ribadirsi che: L’attore in rivendica è tenuto a dimostrare la proprietà del bene che assume a lui appartenente e, a tal fine, non può ritenersi sufficiente la mera produzione della nota di trascrizione, la quale non costituisce né atto di parte, né valida fonte di prova in ordine al contenuto del titolo cui si riferisce, ma solo uno degli elementi sui quali il giudice può fondare il proprio convincimento, essendo la trascrizione piuttosto finalizzata a risolvere il conflitto tra soggetti che hanno acquistato lo stesso diritto dal medesimo titolare. (Cass. Sez. 2, 09/09/2013, n. 20641, Rv. 627919 – 01).
Nella specie non ricorrevano i presupposti per l ‘attenuazione dell’onere probatorio che si determina solo allorquando vi sia un NOME  (anche  implicito)  del l’appartenenza  del  bene  al rivendicante o ad uno dei suoi danti causa all’epoca in cui assume
di avere iniziato a possedere e si affermi di avere acquistato per usucapione  il  bene  con  un dies  a  quo successivo  a  quello  non contestato.
In sostanza, le complessive censure proposte dal ricorrente, anche là dove denunciano il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, si risolvono nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel giudizio di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Infine, deve condividersi quanto evidenziato dal P.G. circa la novità della asserita prova dell’acquisto a titolo originario da parte del ricorrente. Dalla lettura della sentenza impugnata e del motivo di ricorso  la  suddetta  questione  non  risulta  prospettata  dal ricorrente e il possesso non lo si può certo presumere o provare in base alla nota di trascrizione a fronte, peraltro, della contrapposta domanda di usucapione sul medesimo bene.
 Il  quarto  motivo  di  ricorso  è  così  rubricato:  motivazione contraddittoria -manifesta illogicità, affermazioni tra loro inconciliabili – in relazione all’art. 360 c.p.c.
Infatti, mentre, da un lato, la Corte d’appello ha rigettato la domanda proposta dall’odierno ricorrente, dall’altro ha rigettato la domanda di usucapione avanzata da parte avversa, senza, però, nulla dire a chi appartenga la striscia di terreno in contestazione.
4.1 Il quarto motivo di ricorso che riprende un’ultima censura del primo motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo motivo del ricorso incidentale.
 Il  primo  motivo  del  ricorso  incidentale  è  così  rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n.4, c.p.c.) del vizio di omessa pronuncia.
Nonostante l’accoglimento del motivo d’appello la Corte non ha  disposto  la  condanna  del  COGNOME  alla  restituzione  di  quanto pagato dal COGNOME. COGNOME a titolo di risarcimento come chiesto nelle conclusioni dell’atto di appello .
5.1 Il primo motivo del ricorso incidentale è fondato.
Il  COGNOME aveva chiesto di riformare la sentenza di primo grado  che  aveva  riconosciuto  il  risarcimento  del  danno  alla controparte  e  di  disporre  la  restituzione  delle  somme  pagate  in esecuzione della sentenza impugnata.
Deve ribadirsi che la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, in  quanto conseguente alla richiesta di modifica  della  decisione  impugnata,  non  costituisce  domanda nuova  ed  è  perciò  ammissibile  in  appello  anche  nel  corso  del giudizio, se l’esecuzione della sentenza sia avvenuta
successivamente alla proposizione dell’impugnazione; in tal caso, qualora  il  giudice  d’appello  abbia  omesso  di  provvedere  sulla predetta  istanza,  la  parte  può,  alternativamente,  denunciare  la minuspetizione con ricorso per cassazione oppure riproporla in un autonomo  giudizio  (Vedi,  Cass.  Sez.  1,  sent.  n.  11491  del 16/05/2006,  Rv.  590956  –  01),  (Cass.  Sez.  1,  29/10/2020,  n. 23972, Rv. 659603 – 01).
Il secondo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1142, 1168, 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La  censura  attiene  alla  declaratoria  di  inammissibilità  della testimonianza richiesta al fine di provare l’usucapione.
Il  ricorrente  riporta  i  capitoli  e  afferma  che  sarebbe  stato elemento decisivo al fine  di  provare  che  la  striscia  di  terreno  in contestazione faceva da sempre parte della particella 297 ed era stata posseduta fin dal 1978 dal precedete proprietario. Dunque, sarebbe stata dimostrato che il periodo di possesso del precedente proprietario sommato a quello del COGNOME che lo aveva acquistato nel 1999 era idoneo a far maturare il ventennio utile all’usucapione.
6.1 Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Come  risulta dai capitoli di prova riportati nel ricorso incidentale è corretta la motivazione della Corte d’Appello che ha evidenziato che i capitoli di prova non ammessi in primo grado non vertevano  su  fatti  e  implicavano  giudizi  di  tipo  tecnico  giuridico riservati al giudice.
Il terzo motivo del ricorso incidentale è così rubricato: la nullità della sentenza per la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.
per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile la richiesta di accertamento dell’ usucapione  breve  sul  presupposto  che  fosse stata dedotta una nuova causa petendi .
7.1 Il terzo motivo del ricorso incidentale è fondato.
La  statuizione  della  Corte  d’appello  di  inammissibilità  della domanda di usucapione abbreviata, trattandosi di domanda nuova non formulata in primo grado, e basata su presupposti differenti rispetto  alla  usucapione  ordinaria,  è  in  contrasto  con  i  principi affermati da questa Corte in tema di diritti autodeterminati.
Deve darsi continuità al seguente principio di diritto: In tema di limiti alla proposizione di domande nuove in appello, non viola il divieto di ius novorum la deduzione, da parte del convenuto dell’acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell’area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell’area medesima, in quanto la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell’eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova (Sez. 2, Sentenza n. 40 del 08/01/2015, Rv. 633805 – 01).
Spetterà  al  giudice  del  rinvio  valutare  la  domanda  sotto  il profilo dell’allegazione e prova dei fatti costitutivi della pretesa.
 La  Corte  accoglie  il  primo  e  il  terzo  motivo  del  ricorso incidentale, rigetta il secondo e tutti i motivi del ricorso principale, cassa  la  sentenza  impugnata  e  rinvia  alla  Corte  d’Appello  di
Palermo,  in  diversa  composizione,  che  provvederà  anche  alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento  da  parte  del  ricorrente  principale  di  un  ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  accoglie  il  primo  e  il  terzo  motivo  del  ricorso incidentale, rigetta il secondo e tutti i motivi del ricorso principale, cassa  la  sentenza  impugnata  e  rinvia  alla  Corte  d’Appello  di Palermo,  in  diversa  composizione,  che  provvederà  anche  alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
ai  sensi  dell’art.  13,  co.  1  quater,  del  d.P.R.  n.  115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione