Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 3772 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 3772 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 5801-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro tempore, STRUTTURA COMMISSARIALE PER LA VALORIZZAZIONE DEGLI ANNIVERSARI E DELLA DIMENSIONE PARTECIPATIVA DELLE NUOVE GENERAZIONI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
ROMA RAGIONE_SOCIALE (già Comune di Roma), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
contro
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata – avverso la sentenza n. 1653/2024 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 19/02/2024. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte, a Sezioni Unite, dichiari inammissibile il ricorso.
Fatti di causa
RAGIONE_SOCIALE ( RAGIONE_SOCIALE ha impugnato dinanzi al Tar del Lazio la determinazione dirigenziale n. 1835 del 2021 mediante la quale Roma Capitale aveva contestato alla Polisportiva RAGIONE_SOCIALE – concessionaria di un impianto sportivo di proprietà del Comune, oggetto di un intervento di potenziamento e miglioria nell’ambito del ‘Grande Evento Campionato del Mondo di Nuoto’, all’interno del quale essa RAGIONE_SOCIALE esercitava l’attività di ristorazione in forza di un contratto di affitto di ramo d’azienda stipulato con la RAGIONE_SOCIALEe conseguente RAGIONE_SOCIALE. di subingresso nell’attività di somministrazione) l’avvenut a realizzazione di una serie di opere abusive riguardanti, per l’appunto, il locale destinato alla ristorazione .
Di tali opere aveva ingiunto la rimozione.
Il Tar ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di legittimazione attiva della parte ricorrente, non destinataria del provvedimento demolitorio.
La sentenza è stata appellata dalla società RAGIONE_SOCIALE e il Consiglio di Stato ha dichiarato ammissibile il ricorso di primo grado, così accogliendo la tesi spesa a tal proposito nel primo motivo d’appello, ma lo ha respinto nel merito ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm . Ha difatti ritenuto la decisione del Tar frutto di un travisamento della posizione soggettiva della ricorrente, con conseguente violazione delle regole che sovrintendono al diritto di agire in sede giurisdizionale – visto che Roadhouse, a seguito di affitto di azienda e di RAGIONE_SOCIALE di subingresso nell’attività di somministrazione, era da considerare il soggetto esercente (in via diretta e autonoma) l’attività svolta
nei locali oggetto del provvedimento di demolizione; sicché doveva esser considerata titolare di una posizione giuridica qualificata tale da comportare la legittimazione ad agire avverso il provvedimento di demolizione del bene di cui, al momento, aveva la disponibilità giuridica e materiale, ancorché quel provvedimento fosse stato formalmente indirizzato al solo titolare del diritto reale o della concessione d’uso . Da questo punto di vista ha rammentato -pure col corredo di orientamenti espressi dalla Corte di giustizia della UE – che la titolarità dell’interesse legittimo, che fonda la legittimazione al ricorso, spetta non soltanto a coloro che figurano, formalmente, come destinatari del provvedimento e dei suoi effetti giuridici, ma anche a coloro che dimostrino di trovarsi in una particolare situazione, di fatto o di diritto, correlata con l’atto ritenuto pregiudizievole.
Dopodiché ha però respinto il ricorso pronunciando direttamente sul merito della controversia, in base al principio per cui, in materia edilizia e urbanistica, il mutamento di destinazione d’uso di un immobile è di per sé da considerare rilevante e soggetto all’ottenimento di un titolo abilitativo, con la conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d’uso, che alteri (come nella specie era avvenuto per il locale ristorante) il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario titolo, che può e anzi deve essere rilevata dall’Amministrazione nell’esercizio del suo potere di vigilanza.
Nel dir questo, e nel respingere cioè il ricorso nel merito, il Consiglio di Stato ha affermato che la sentenza del Tar non poteva esser qualificata come ‘rifiuto di giurisdizione’ nel senso indicato dalla nota decisione di queste Sezioni Unite n. 32559 del 2023. Previo richiamo di argomenti letterali desunti dalla sent. n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, ha dichiarato di non condividere il citato indirizzo interpretativo e ha affermato che la pronuncia del Tar, negatoria della legittimazione al ricorso, non si sarebbe mai potuta risolvere, nella sua componente astratta, in una negazione di tutela o in una preclusione della giustiziabilità dell’interesse azionato , avendo il Tar semplicemente interpretato (per quanto in modo errato) le norme sostanziali volte a individuare il contenuto della posizione giuridica della società ricorrente e il suo collegamento concreto con i provvedimenti amministrativi censurati.
Per gli effetti su ll’art. 105 cod. proc. amm., il Consiglio di Stato ha quindi escluso che la decisione del primo giudice di non esaminare il merito della domanda fosse qualificabile secondo la categoria (il rifiuto di giurisdizione) che
ne avrebbe concretat o l’appartenenza al novero delle pronunce declinatorie, implicanti la rimessione in primo grado. Donde la legittimità (e anzi la doverosità) della decisione di vagliare in appello direttamente il merito della controversia, sulla base del principio per cui l’erronea dichiarazione di inammissibilità di un ricorso, basata su una valutazione dei presupposti della legittimazione attiva del ricorrente, così come l’errata estromissione dal giudizio di una parte intervenuta, non comporta un annullamento con rinvio al Tar, ai sensi dell’art. 105 cod. proc. amm.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del Consiglio di Stato.
Ha denunziato:
(i) la mancata considerazione del difetto di legittimazione al ricorso di primo grado come ipotesi di arretramento e/o diniego di giurisdizione secondo l’ orientamento inaugurato dalle sentenze n. 32559-23 e n. 786-24 di queste Sezioni Unite, e conseguente mente l’erroneità del mancato rinvio degli atti al giudice di primo grado ex art. 105 cod. proc. amm. per violazione degli artt. 24 e 113 Cost. e 105 cit.;
(ii ) l’e ccesso di potere giurisdizionale per invasione nella sfera riservata al legislatore, con la creazione di un illecito edilizio costituito dal mutamento della destinazione, senza mutamento della categoria ma semplicemente dell’intensità dell’uso , a prescindere dalle norme urbanistiche di riferimento (artt. 23-ter, 32, lett. a), 33 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001).
Gli intimati hanno replicato con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Ragioni della decisione
– Il ricorso è inammissibile perché lo sono entrambi i motivi di cui si compone.
– Il primo mezzo ascrive al Consiglio di Stato un errore consistente nell’essersi discostato dall’insegnamento impartito da queste Sezioni Unite con le sentenze n. 32559-23 e n. 786-24 a proposito del concetto di diniego o rifiuto di giurisdizione.
Il mezzo non coglie il punto qualificante della statuizione impugnata, che attiene a un mero profilo processuale.
-Giova ricordare che le citate pronunce di questa Corte n. 32559-23 e n. 786-24, ben vero in una materia e in un contesto peculiare, hanno ritenuto
ammissibile ex art. 362 cod. proc. civ. il ricorso contro la decisione del giudice amministrativo che aveva negato la legittimazione attiva di una parte (in quel caso l’interventore) . Ciò perché -hanno detto -dalle movenze della controversia esaminata ex art. 99 cod. proc. amm. e della decisione può essere ravvisato un diniego di giurisdizione come conseguenza della preclusione della possibilità anche in astratto di tutelare la specifica posizione giuridica soggettiva.
IV. – N ell’odierna controversia il Consiglio di Stato -a differenza del Tar – non ha negato la legittimazione della ricorrente.
Nel caso specifico era in questione unicamente il fine di escludere la necessità di una rimessione della causa al giudice di primo grado all’esito della ritenuta legittimazione della società RAGIONE_SOCIALE a impugnare il menzionato provvedimento amministrativo.
Pertanto discettare, in questa distinta prospettiva, di quanto è stato detto a proposito dell’ambito dell’art. 362 cod. proc. civ. sotto l’egida del diniego di giurisdizione, è cosa fine a sé stessa.
R ispetto all’odierna fattispecie, risulta inconferente.
V. -L ‘essenza della questione rilevante era (ed è) invece questa: che il diniego di legittimazione della ricorrente, secondo il Consiglio di Stato erroneamente ritenuto dal Tar, non poteva aver effetto sul tipo di decisione, perché il diniego non era annoverabile tra le declinatorie di giurisdizione.
L’affermazione si risolve in un apprezzamento in ordine alla portata della norma processuale, visto che l’art. 105 cod. proc. amm. richiede, ai fini della rimessione in primo grado, l’esistenza di una vera e propria declinatoria di giurisdizione.
Simile declinatoria la sentenza ha ritenuto non ravvisabile ove il Tar si sia limitato a ravvisare l’inesistenza della legittimazione al ricorso.
VI. – Non ha luogo discutere di diniego di giurisdizione da parte della sentenza impugnata.
La sentenza, per quanto con motivazione tesa soprattutto a confrontarsi con l’orientamento espresso dalle citate decisioni di queste Sezioni Unite, ha in ogni caso svolto l’esegesi dell’art. 105 cod. proc. amm., e così facendo si è mantenuta nei limiti interni della giurisdizione amministrativa.
Viceversa, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ottavo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato
sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo , senza che rilevi la gravità o l’ intensità del presunto errore di interpretazione, il quale -ove mai esistente – rimane pur sempre confinato entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa (Cass. Sez. U n. 8311-19, Cass. n. 27770-20, Cass. Sez. U n. 29653-20).
Peraltro, per generale principio, la mancanza di una condizione dell’azione, quale la legittimazione ad agire, attiene ai vizi collegati ai requisiti intrinseci alla domanda e rientra pertanto essa stessa, quale questione attinente al modo di esercizio della funzione giurisdizionale, nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione (v. Cass. Sez. U n. 219-23).
VII. – Anche il secondo motivo è inammissibile.
Si censura la sentenza per eccesso di potere giurisdizionale, perché avrebbe invaso la sfera riservata al legislatore col considerare suss istente l’ illecito edilizio costituito dal mutamento di destinazione del bene, nonostante non vi fosse stato, nella specie, un mutamento della categoria ma solo un mutamento dell’intensità dell’uso .
Ciò integrerebbe un eccesso dovuto alla creazione di un regime giuridico inesistente a fronte di quello delineato dagli artt. 23-ter, 32, lett. a), 33 e 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.
Il motivo è inammissibile per ragione analoga: si risolve nella denunzia di un asserito errore in iudicando .
L’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera riservata al legislatore, denunziabile con il ricorso per cassazione ex art. 111, ottavo comma, Cost., si configura allorquando il giudice speciale applichi una norma da lui stesso creata, in tal modo esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete.
Non già quando egli operi in un ambito interpretativo.
Gli eventuali errori ermeneutici, come quello denunziato dalla ricorrente, anche se comportanti uno stravolgimento del senso di una o più norme, non investono la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio (cfr. Cass. Sez. U n. 18722-24, Cass. Sez. U n. 18235-23, Cass. Sez. U n. 36899-21 e moltissime altre).
VIII. -Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida, quanto alla Presidenza del Consiglio dei ministri, in 7.000,00 EUR oltre le spese prenotate a debito e, quanto a Roma Capitale, in 7.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre in questo caso agli accessori e alla maggiorazione di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, addì 14