Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6933 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 6933 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11355-2022 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1736/2021 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 22/10/2021 R.G.N. 2503/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 11355/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 21/01/2025
CC
La Corte di appello di Bari, confermando la pronuncia di primo grado, ha condannato NOME COGNOME al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di € 63.667,15 (oltre accessori di legge), somma determinata tramite compensazione tra il debito del lavoratore scaturente dal contratto stipulato tra le parti il 13.5.2009 (con il quale il COGNOME, premesso di essere interessato a partecipare al corso Type Rating IR su elicottero AW 139, chiedeva ad RAGIONE_SOCIALE di anticipare in nome e per conto proprio la quota di partecipazione al corso) e il credito vantato dallo stesso a titolo di T.F.R.; la Corte territoriale ha respinto la domanda del Perricone di pagamento dell’indennità di mancato preavviso (pari ad € 3.197,02, ammontare non contestato), a fronte delle dimissioni rassegnate il 7.10.2013, a suo dire per giusta causa, confermando la decisione del primo Giudice che aveva ritenuto che il mero ritardo nel pagamento della retribuzione e l’unilaterale rateizzazione del pagamento di alcune indennità non potessero costituire giusta causa di dimissioni ai sensi dell’art. 2119 c.c. e che aveva interpretato la clausola dell’art. 32 CCNL (che consentiva al pilota di risolvere senza preavviso il rapporto di lavoro in caso di ritardi nei pagamenti) ritenendo che non si applicasse al caso concreto.
per la cassazione della predetta sentenza propone ricorso il COGNOME con un motivo di ricorso, cui resiste con controricorso la società.
La consigliera delegata dal Presidente, con ordinanza del 26 maggio 2024, proponeva la definizione del ricorso ai sensi dll’art. 380 bis c.p.c, cui il ricorrente si opponeva chiedendo la decisione; il ricorrente ha depositato memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con l’unico motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2119 c.c. avendo, la Corte territoriale, accertato l’inadempimento della società nel pagamento delle voci retributive spettanti (13ma mensilità e indennità di volo) e nella condotta di ‘autodeterminazione’ della rateizzazione delle somme, ma avendo escluso la ricorrenza di una giusta causa di dimissioni ‘per il solo fatto’ che il lavoratore avrebbe atteso oltre quattro mesi dal saldo delle rate per recedere dal rapporto. Avrebbe errato la corte ritenendo che ‘il recesso, che avrebbe potuto essere semmai giustificato nelle more dei cennati ritardi, appare comunque connotato da evidente pretestuosità e/o contrarietà a corrette zza e buona fede’. Ed infatti la Corte avrebbe attribuito rilevanza dirimente al solo periodo di tempo trascorso tra le accertate violazioni contrattuali e la presentazione delle dimissioni da parte del COGNOME, senza bilanciare adeguatamente la più grave rilevanza dell’inadempimento del datore di lavoro e il dato della ciclicità delle dilazioni di pagamento unilateralmente imposte dal datore di lavoro.
Evidenzia, altresì (nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c) che ‘l’inadempimento datoriale riconosciuto in sentenza era duplice e grave (inadempimento nel pagamento di significative voci retributive giunte a scadenza ed imposizione unilaterale di ratizzazioni semestrali mai autorizzate dal lavoratore), mentre la tolleranza del lavoratore protrattasi per alcuni mesi non poteva avere peso decisivo, tenuto conto della posizione della parte debole del rapporto, che dimettendosi immediatamente -come, in tesi, secondo la sentenza impugnata, avrebbe dovuto fare per invocare la giusta
causa -sarebbe rimasto, altrettanto immediatamente, disoccupato ‘ . E richiama il precedente di questa Suprema Corte (ord. 31999/2018) in cui si afferma che la validità e tempestività delle dimissioni del lavoratore per giusta causa sono compatibili con un intervallo ragionevole di tempo.
3. Il ricorso è inammissibile.
Deve, in primo luogo, rimarcarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (ex aliis: Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). Nella specie è evidente che il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, e dunque, in realtà, non denuncia un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge (ossia un problema interpretativo, vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) bensì un vizio-motivo, da valutare alla stregua del novellato art. 360, primo comma, n. 5
cod.proc.civ., che, non solo è impedito, nel caso di specie, da una pronunzia c.d. doppia conforme (art. 360, quarto comma, c.p.c.) ma, nella versione ratione temporis applicabile, è circoscritto all’omesso esame di un fatto storico decisivo (cfr. sul punto Cass. Sez. U. n. 19881 del 2014), riducendo al “minimo costituzionale” il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
La corte di appello, nel caso di specie, ha ragionatamente escluso la sussistenza della giusta causa di dimissioni, ricostruendo la fattispecie concreta ed evidenziando che difettasse quella immediatezza ribadita dalla disposizione contrattuale; del resto conformemente al principio per il quale la giusta causa consiste in un inadempimento così grave che non consente la prosecuzione del rapporto, di cui la norma contrattuale invocata costituisce una applicazione, con riguardo alla previsione dell’immediatezz a che, evidentemente, connota coerentemente alla fattispecie generale, l’istituto particolare.
Peraltro la corte ha pure evidenziato come la lettera di dimissioni operasse solo un generico riferimento all’inadempimento, non chiarendo neppure sucessivamente il Perricone l’importo delle rate in questione, e sottolineando come la giustificazione delle dimissioni ‘dev’essere presidiata da ragioni serie e concrete e non anche, dunque, da ogni e qualsiasi inadempimento del datore di lavoro’.
Con il motivo di ricorso, sostanzialmente, il ricorrente contrappone una propria valutazione a quella ragionatamente esposta dalla Corte di appello che ha considerato, condividendo valutazione del primo giudice, che la clausola contrattuale dell’art. 32 prevede una risoluzione immediata in caso di ritardi nei pagamenti considerando poi il recesso connotato da pretestuosità e contrario a buona fede.
Né tale motivazione risulta in contrasto con la interpretazione di questa corte citata dal lavoratore nelle sentenze richiamate ove si specifica che ‘La valutazione in concreto della tardività o meno della reazione è demandata al giudice di merito ed è censurabile in Cassazione nei limiti di cui all’art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. ‘ ( Cass. 31999/2018).
Per i motivi esposti il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile in sostanziale corrispondenza al provvedimento di proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis c.p.c.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate in dispositivo in favore della controricorrente.
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380bis c.p.c., stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso ivi indicato, occorre applicare il terzo ed il quarto comma dell’art. 96 c.p.c. Alla prese nte pronuncia di inammissibilità del ricorso fa quindi seguito la condanna di parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché della sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, entrambe liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte di una somma di € 2400 ex art. 96, 3° comma c.p.c., nonché a pagare in favore della cassa delle ammende la somma di € 2400 ex art. 96, 4 comma c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio, il 21 gennaio