Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20353 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20353 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore:
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31214-2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3416/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 05/10/2021 R.G.N. 1172/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N. 31214/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 12/06/2025
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 1300 del 31/10/2017 il Tribunale di Frosinone, in accoglimento dell’opposizione proposta da NOME COGNOME revocava il decreto ingiuntivo n. 1220 del 6/11/2015, azionato dalla Banca Popolare del Frusinate, soc. coop. p.a. per il pagamento della complessiva somma di € 45.455,00, a titolo di penale per la violazione del patto di stabilità ed indennità sostitutiva del preavviso, e, in parziale accoglimento delle riconvenzionali spiegate dalla lavoratrice, condannava la suddetta Banca al pagamento della somma di € 10.743,00, a titolo di t.f.r. (oltre rivalutazione ed interessi come per legge), rigettando le ulteriori domande concernenti il pagamento della penale a carico dell’ex datore di lavoro, dell’indennità di mancato preavviso e del risarcimento dei danni (alla professionalità, all’immagine e alla salute), conseguenti alla condotta mobbizzante posta in essere nei suoi confronti dalla Banca, compensando per metà le spese di lite e ponendo la restante parte a carico di quest’ultima.
Con sentenza n. 3416 del 5.10.2021 la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello proposto dalla Banca e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 1220 del 6/11/2015. Rigettava altresì l’appello proposto dalla Fiore. In particolare, la Corte territoriale riteneva non condivisibili ‘ gli argomenti posti a sostegno del convincimento del Tribunale riguardo alla sussistenza della giusta causa di dimissioni da parte della Fiore ‘, da un lato, rilevando come la mera incolpazione disciplinare non poteva costituire, di per sé, giusta causa di dimissioni del lavoratore, salvo che la stessa contestazione non abbia contenuti ingiuriosi o lesivi della dignità morale o professionale del lavoratore, riguardando, invece, incontestabilmente – come nella specie – mere inadempienze del lavoratore ad obblighi discendenti dal contratto di lavoro; dall’altro, l’insussistenza di una giusta causa del recesso in tronco non essendo ‘ emerso alcun inadempimento imputabile alla Banca – la quale si è vista costretta a tutelarsi anche in sede penale –
né una condotta datoriale vessatoria o/e mobbizzante, e stante che le circostanze addotte ex adverso dalla COGNOME non avevano impedito alla lavoratrice di proseguire il rapporto di lavoro ‘. Rigettava, poi, l’appello della COGNOME vertente sulle pretese economiche relative: a) alla penale a carico dell’ex datore di lavoro, b) all’indennità di mancato preavviso, e c) al risarcimento dei danni (alla professionalità, all’immagine e alla salute), conseguenti all’asserita condotta mobbizzante posta in essere nei suoi confronti dalla Banca ritenendole in parte infondate ed in parte assorbite da quanto rilevato in ordine all’insussistenza della giusta causa di dimissioni da parte della lavoratrice.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la Fiore affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso la Banca Popolare del Frusinate RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la NOME deduce, ex art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1323 e 1325, n. 2, 1384 cod. civ., degli artt. 1362, 1365, 1366 cod. civ. con riferimento al patto di stabilità, per avere la sentenza impugnata ritenuto dovuta dalla Dott.ssa NOME la penale ivi prevista (addirittura nell’intero ammontare) nonostante il venir meno di ogni interesse della Banca alla prosecuzione del rapporto di lavoro e, ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame del fatto decisivo (comprovante l’interesse della Banca a porre immediatamente fine al rapporto) consistente nella richiesta di convalida delle dimissioni.
Con il secondo motivo si deduce, ex art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ., per avere la sentenza impugnata dato rilevanza ai motivi delle dimissioni per giusta
causa sia per escluderne la sussistenza, sia ai fini della domanda risarcitoria.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. sotto altro profilo, per avere la sentenza impugnata ignorato e disatteso l’insegnamento di codesta Ecc.ma Corte secondo cui ‘La durata dell’inadempimento nel tempo non fornisce alcun argomento per escludere la giusta causa di recesso, dovendosi al contrario rilevare che proprio la sistematica continuità della condotta della datrice di lavoro, non limitata a singole occasioni, indica la gravità della violazione della legge, nell’ambito di una valutazione complessiva della vicenda fino al suo momento finale’. Nella ininterrotta sequenza tra documentate denunce della Dott.ssa COGNOME quale Gestore Area Corporate, rimaste senza risposta (nemmeno disciplinare ove le denunce avessero avuto ad oggetto illeciti non verificati), ritorsioni aziendali e contestazione disciplinare finale (non per la falsità delle denunce della Dott.ssa COGNOME, ma per accesso non autorizzato al sistema aziendale), la ricorrente la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non le abbia sussunte nella giusta causa di dimissioni, ma le abbia escluse aprioristicamente in base al rilievo che le ‘circostanze’ dedotte (quali la sentenza non lo dice) ‘non avevano impedito alla lavoratrice di proseguire il rapporto di lavoro’.
Con il quarto motivo si censura la sentenza, ex art. 360, co. 1, n. 4, cod. proc. civ., per omesso esame della autonoma ragione di sussistenza della giusta causa di dimissioni consistente nell’essere stata la Dott.ssa NOME assoggettata a controlli illeciti finalizzati a scoprire le ‘interrogazioni’ al sistema poi contestatele, come accertato dall’Ispettorato del Lavoro di Frosinone in data 13 ottobre 2014 e, ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., per omesso esame del suddetto documento decisivo ai fini dell’accertamento della ingiustizia della minaccia di licenziamento che ha indotto la Dott.ssa NOME a dimettersi; nonché ex art.
360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. sotto altro profilo, per avere la Corte ignorato come la contestazione disciplinare che ha indotto la Dott.ssa COGNOME a dimettersi si basasse su controlli illeciti. Gli accertamenti compiuti dall’Ufficio della Banca e posti a fondamento della contestazione disciplinare e della querela sporta contro la COGNOME sono stati effettuati, infatti, in violazione dell’art. 4, l. n. 300 del 1970, senza rispettare le procedure previste dall’Accordo Quadro Nazionale del 15 aprile 2014 sull’applicazione del Provvedimento del Garante della Protezione dei Dati personali n. 192 del 12 maggio 2011. Violazione, questa, che era stata certificata dall’Ispettorato del Lavoro di Frosinone in data 13 ottobre 2014 (all.5). Gli accessi della Dott.ssa NOME erano invece autorizzati dalla stessa Banca, stante il possesso delle credenziali di accesso fornite dalla Banca medesima, e pienamente giustificati dal ruolo e dalle mansioni della Dott.ssa NOME
Con il quinto motivo, ex art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. per erronea sussunzione della fattispecie concreta nella giusta causa di dimissioni. Lamenta la scorrettezza del giudizio di sussunzione della Corte territoriale perché basato sul presupposto del tutto astratto che elevare una ‘incolpazione’ costituisca sempre esercizio di un ‘diritto-dovere’ a fronte del quale non sussisterebbe mai giusta causa di dimissioni della lavoratrice, salvo il caso di ‘un’incolpazione volutamente inventata, tesa unicamente a screditarla’, nonché sul presupposto che detta incolpazione avesse ad oggetto ‘mere inadempienze del lavoratore ad obblighi discendenti dal contratto di lavoro’, mentre, al contrario, l’incolpazione aveva ad oggetto accessi, asseritamente abusivi al sistema informatico, a fini di controllo di una serie di posizioni di colleghi e clienti della Banca, senza che detti controlli ‘rientrassero nelle sue funzioni o mansioni’. Nel giudizio di sussunzione, la Corte territoriale avrebbe, inoltre, completamente omesso qualsiasi esame delle ragioni addotte nella lettera
di dimissioni a fondamento della giusta causa, e cioè delle condotte denigratore e vessatorie poste in essere nei suoi confronti dai vertici della Banca per la posizione di doverosa intransigenza assunta. Ed ha omesso qualsiasi esame delle articolatissime e documentate deduzioni relative alla situazione di esasperata conflittualità che ne è derivata.
L’eccezione di improcedibilità sollevata dalla controricorrente è infondata. In primo luogo, risulta depositato in data 20.12.2021 il file ‘notificazione sentenza impugnata’ dal quale risulta che la sentenza è stata notificata in data 7 ottobre 2021. In secondo luogo, la notifica del ricorso, del 6.12.2021 è in ogni caso tempestiva posto che la sentenza è stata depositata il 5.10.2021 e che, ove anche non si volesse tener conto della data di notifica, il termine breve scadente il 4 dicembre 2021 (sabato) era prorogato di diritto ex art. 155 c.p.c. al lunedì successivo. Occorre sul punto richiamare giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, secondo cui, pur in difetto della produzione della relata di notificazione, il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, perché in tal caso è comunque consentito al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso e in riferimento alla sola data di pubblicazione della decisione impugnata, verificare e ritenere la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod.proc.civ. (cd. prova di resistenza) (così, ex multis, Cass. n. 11386 del 30/04/2019).
Ciò posto e passando all’esame dei motivi di ricorso, il primo motivo è palesemente inammissibile. In primo luogo, ci si trova di fronte ad un motivo c.d. ‘misto’ – deducendosi sia la violazione o falsa applicazione di legge sia il l’omesso esame di fatto decisivocon conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento
alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26874 del 23/10/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011).
7.1. In secondo luogo, si deve ulteriormente rilevare che il motivo con cui si denunzia il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di legge deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di cassazione di verificare essa il fondamento della lamentata violazione (ex multis Cass. sez. lav. n. 17570 del 21/08/2020). Nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (cfr. Cass. n. 18021 del 14/09/2016). Nel caso di specie la ricorrente si limita ad indicare una congerie di norme asseritamente violate senza in alcun modo evidenziare
quali sarebbero, in relazione a ciascuna di esse, gli errori nel giudizio di diritto in cui sarebbe incorso il giudice del merito e quindi perché le relative statuizioni non sarebbero conformi alle previsioni di legge.
7.2. Quanto, in particolare, alla dedotta violazione dell’art. 1384 cod. civ., l’unica parzialmente sviluppata nell’esposizione del motivo, va altresì rilevato che la censura è inammissibile per novità atteso che non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, avendo la ricorrente omesso, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 27568 del 21/11/2017; Cass. n. 22540 del 20/10/2006).
7.3. Rispetto, poi, alla doglianza ex art. 360, co. 1 n. 5) cod. proc. civ., va rammentato che il ricorrente è tenuto ad indicare il ‘fatto storico’, il cui esame sia stato omesso, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ‘decisività’. La “decisività” del fatto, il cui omesso esame costituisce un vizio della sentenza censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012), deve essere, a pena di inammissibilità del motivo, chiaramente allegata dal ricorrente, che è tenuto a rappresentare non solo quale sia il fatto di cui sia stato omesso l’esame, ma anche il rapporto di derivazione diretta tra l’omesso esame e la decisione, a lui sfavorevole, della controversia (Cass. sez. lav. n. 29954 del 13/10/2022).
I motivi secondo, terzo e quinto possono essere esaminati congiuntamente attenendo tutti alla asserita violazione dell’art. 2119 cod. civ. ed alla giusta causa di dimissioni. Essi sono inammissibili in quanto il giudizio sull’idoneità della condotta del datore di lavoro a costituire giusta
causa delle dimissioni del lavoratore si risolve in un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione (ex multis Cass. sez. lav. n. 1542 del 11/02/2000; cfr Cass. sez. lav. n. 14829 del 18/10/2002).
8.1. Nel caso di specie i giudici di appello hanno, innanzitutto, escluso che la mera elevazione di una contestazione disciplinare ad un dipendente, effettuata con modalità non lesive della dignità della lavoratrice, potesse costituire giusta causa di dimissioni, dovendosi altrimenti negare in radice l’esistenza di un potere disciplinare in capo dal datore di lavoro. Hanno escluso, poi, il carattere ‘strumentale’ e ritorsivo della contestazione in relazione agli addebiti mossi alla lavoratrice anche alla luce del provvedimento con il quale il GIP del Tribunale di Roma, ex art. 409, comma 5, c.p.p. aveva disatteso la richiesta di archiviazione formulata dal PM e disposto l’imputazione coatta per il reato di cui all’art. 615 ter c.p.. Infine, la Corte d’appello ha posto a base della pronuncia di rigetto la valutazione non solo di insussistenza dell’inadempimento datoriale lamentato – avendo anche evidenziato, in relazione alla domanda risarcitoria svolta dalla Fiore sulla base dei medesimi fatti, ‘il mancato assolvimento dell’onere allegatorio e probatorio a carico della COGNOME circa l’asserita condotta mobbizzante posta in essere dalla banca, il pregiudizio subito nonché il nesso di causalità con la condotta datoriale inadempiente’ – ma anche della sua valenza non preclusiva della prosecuzione anche temporanea del rapporto, in concreto, nell’ambito di una valutazione complessiva della vicenda, come risultante dalla circostanza che la COGNOME, nonostante le condotte asseritamente vessatorie della dirigenza aziendale ha proseguito per lungo tempo il rapporto di lavoro. Si tratta di un accertamento di fatto che sfugge a qualsiasi censura, in quanto ampiamente e logicamente motivato.
Il quarto motivo è inammissibile sia perché motivo misto, valendo le medesime argomentazioni già svolte in relazione al primo motivo, sia
perché l’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate. Va, peraltro, escluso che tale omesso esame possa riguardare l’argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica (vd. Cass. n. 2961 del 06/02/2025). Il mancato esame di un documento può, peraltro, essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. (Cass. n. 16583 del 13/06/2024).
9.1. Nel caso di specie tale decisività non viene nemmeno allegata rispetto ad un documento, il cui esame sarebbe stato omesso, di cui non è chiaro nemmeno il contenuto (doc.5) e che non risulta in alcun modo essere stato fatto oggetto di discussione nei gradi merito. Va rilevato, infatti, che la stessa ricorrente si limita a dedurre ‘Avevamo ribadito nella memoria di costituzione nel giudizio in appello come fosse davvero inconcepibile che la Banca potesse avere accusato la Dott.ssa COGNOME informatici sulle posizioni di correntisti mediante utilizzo delle credenziali in suo possesso proprio a tal fine, avendolo la Banca medesima scoperto mediante controllo a distanza informatico non autorizzato e dunque vietato’ senza riprodurre le allegazioni in tale sede svolte e senza indicare dove è reperibile la memoria.
Il ricorso in conclusione, va dichiarato inammissibile.
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso
condanna la ricorrente NOME al pagamento, in favore di Banca Popolare del Frusinate soc. coop. p.a. delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta