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Dimissioni nulle: la guida sulla protezione lavoratrice

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11236/2024, ha stabilito che le dimissioni rassegnate da una lavoratrice durante il periodo protetto post-matrimoniale sono nulle se non convalidate, anche se la stessa viene contestualmente nominata amministratore unico della società. La Corte ha rigettato la tesi del recesso tacito, poiché la lavoratrice aveva di fatto continuato a svolgere le sue precedenti mansioni, dimostrando la continuità del rapporto di lavoro subordinato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Dimissioni Nulle: Quando la Protezione Prevale sul Ruolo di Amministratore

Il tema delle dimissioni nulle rappresenta un baluardo fondamentale per la tutela della lavoratrice nel nostro ordinamento, specialmente in periodi delicati come quello successivo al matrimonio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 11236/2024, ha affrontato un caso complesso in cui una lavoratrice, dopo aver rassegnato le dimissioni nel periodo protetto, era stata nominata amministratore unico della stessa società. Vediamo come i giudici hanno risolto la questione.

I Fatti del Caso: da Dipendente ad Amministratore Unico

Una lavoratrice presentava le proprie dimissioni durante il cosiddetto “periodo protetto”, ovvero l’arco temporale che va dalla richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino a un anno dopo la celebrazione. Secondo la legge (D.Lgs. 198/2006), tali dimissioni sono inefficaci se non vengono confermate presso la sede amministrativa competente. In questo caso, la convalida non era mai avvenuta.

La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che, lo stesso giorno delle dimissioni, la lavoratrice era stata nominata amministratore unico della società. Nonostante il nuovo incarico, la donna aveva continuato a svolgere le medesime mansioni di responsabile amministrativo che ricopriva in precedenza. Anni dopo, la lavoratrice impugnava le dimissioni, chiedendone la declaratoria di nullità e la conseguente reintegra nel posto di lavoro.

L’Analisi della Corte e le Dimissioni Nulle

La società datrice di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su diversi motivi. Sosteneva che la nullità non potesse operare, dato che la lavoratrice, diventata amministratore, avrebbe dovuto confermare le dimissioni a se stessa. Inoltre, affermava che la prolungata assenza dal ruolo di dipendente, ben oltre la fine del periodo protetto, dovesse essere interpretata come un recesso tacito dal rapporto di lavoro.

La Nullità Assoluta delle Dimissioni

La Suprema Corte ha respinto categoricamente il primo motivo. Ha chiarito che la nullità prevista dall’art. 35 del D.Lgs. 198/2006 è una forma di protezione assoluta. La norma non prevede eccezioni e stabilisce che, in assenza di convalida, le dimissioni sono semplicemente nulle, a prescindere da chi avesse l’onere di sollecitare tale conferma. Il fatto che la lavoratrice fosse diventata amministratore non sana questa nullità originaria. Inoltre, la Corte ha valorizzato un elemento cruciale emerso nei gradi di merito: la continuità delle mansioni. Poiché la lavoratrice ha continuato a svolgere le sue vecchie attività, non si è verificata una “novazione”, ovvero una sostituzione del rapporto di lavoro subordinato con un nuovo rapporto di amministrazione. Il rapporto di lavoro, di fatto, non si era mai estinto.

L’Insussistenza del Recesso Tacito e le Dimissioni Nulle

Anche la tesi del recesso tacito è stata giudicata infondata. Un recesso tacito presuppone un comportamento che manifesti in modo inequivocabile la volontà di terminare il rapporto. Tuttavia, come accertato in giudizio, la lavoratrice non aveva mai smesso di prestare la propria attività lavorativa. La continuità delle mansioni ha impedito di configurare una cessazione di fatto del rapporto, elemento indispensabile per poter parlare di recesso tacito. In sostanza, non si può recedere tacitamente da un rapporto che, nella pratica, non è mai stato interrotto.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda sul principio della tutela rafforzata della lavoratrice nel periodo post-matrimoniale. La ratio decidendi della norma è quella di proteggere la lavoratrice da eventuali pressioni che potrebbero indurla a dimettersi in un momento significativo della sua vita personale e familiare. Questa protezione è così forte da rendere le dimissioni automaticamente nulle se non viene seguito l’iter di convalida previsto, senza possibilità di sanatoria per fatti concludenti o per l’assunzione di nuovi incarichi.

La Corte ha inoltre sottolineato che l’onere di garantire la certezza dei rapporti giuridici ricade sul datore di lavoro. Se l’azienda avesse voluto formalizzare la fine del rapporto di lavoro subordinato, avrebbe dovuto assicurarsi che le dimissioni fossero state convalidate secondo legge. La tesi del recesso tacito è stata ritenuta inapplicabile perché la premessa fattuale, ovvero la cessazione dell’attività lavorativa, era stata smentita dalle prove. La lavoratrice aveva continuato a lavorare, seppur sotto la diversa veste formale di amministratore, e questo ha garantito la perduranza del vincolo di subordinazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza un principio cardine del diritto del lavoro: le tutele previste per la lavoratrice in periodi protetti sono inderogabili e non possono essere superate da accordi o circostanze di fatto, come l’assunzione di un nuovo incarico. La nullità delle dimissioni opera ex lege e l’unico modo per renderle efficaci è la convalida formale. Per i datori di lavoro, questa sentenza costituisce un monito a gestire con la massima attenzione le cessazioni dei rapporti di lavoro che ricadono in periodi protetti, assicurandosi di seguire scrupolosamente le procedure previste per evitare contenziosi futuri con esiti potenzialmente molto onerosi.

Le dimissioni di una lavoratrice nel periodo protetto dopo il matrimonio sono valide se non vengono confermate?
No, secondo la sentenza e l’art. 35 del D.Lgs. 198/2006, le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo che va dalla richiesta di pubblicazioni fino a un anno dopo il matrimonio sono nulle se non vengono confermate presso la sede amministrativa competente. Si tratta di una nullità che opera a prescindere da qualsiasi altra circostanza.

Se una lavoratrice, dopo aver dato dimissioni nulle, assume la carica di amministratore, il rapporto di lavoro subordinato si estingue?
No, non necessariamente. La Corte ha stabilito che se la lavoratrice, pur essendo nominata amministratore, continua di fatto a svolgere le mansioni precedenti, il rapporto di lavoro subordinato non si estingue. Manca l’elemento di novità necessario per configurare una novazione del contratto.

L’interruzione di fatto del rapporto dopo la fine del periodo protetto può essere considerata un recesso tacito?
No, la Corte ha escluso questa possibilità nel caso specifico perché non vi è mai stata una reale interruzione delle prestazioni lavorative. Per poter parlare di recesso tacito, è necessario un comportamento concludente che dimostri la volontà di terminare il rapporto, ma se la lavoratrice continua a lavorare, tale presupposto viene a mancare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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