Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6911 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 6911 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19946-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1034/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/05/2020 R.G.N. 1783/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal AVV_NOTAIO.
Oggetto
DIMISSIONI –
INEFFICACIA
–
LEGGE 92/2012
R.G.N. 19946/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/01/2024
CC
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza impugnata, respingeva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone con la quale era stata dichiarata l’inefficacia delle dimissioni rassegnate da NOME COGNOME il 6/5/2014 e condannata la società datrice di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate dal 27/5 al 30/7/2014 (data di successivo licenziamento non oggetto della presente causa), oltre accessori;
per quanto qui rileva, il Tribunale, dopo che il ricorrente aveva chiarito di aver sottoscritto la lettera di dimissioni (non ‘in bianco’ come inizialmente prospettato), le dichiarava inefficaci, ai sensi dell’art. 4, commi 17 ss., legge n. 92/2012, in difetto di convalida effettuata presso la DTL o il Centro RAGIONE_SOCIALE‘impiego territorialmente competente;
specificamente, i giudici di merito ritenevano le disposizioni introdotte da tale legge in materia riguardanti non le sole dimissioni firmate ‘in bianco’ (come sostenuto dalla società); accertavano in fatto che, ricevuto (il 16/5/2014) l’invito datoriale a recarsi presso gli uffici competenti per convalidare le dimissioni, nei sette giorni previsti dalla norma il lavoratore non era rimasto inerte (in guisa da determinare la risoluzione del rapporto per avverarsi della condizione sospensiva), ma si era recato (il 20/5/2014) presso la DTL di Frosinone per affermare la sua volontà di non convalidare le dimissioni (che aveva già contestato anche con nota inviata al datore di lavoro il giorno successivo alla sottoscrizione delle dimissioni); statuivano che il rapporto di lavoro interrotto per effetto delle dimissioni ai sensi di legge doveva ritenersi ripristinato dal giorno successivo alla comunicazione della revoca ricevuta dal datore di lavoro (il 26/5/2014), con diritto
del lavoratore al pagamento delle retribuzioni (sino alla successiva data di risoluzione del rapporto di lavoro);
per la cassazione della predetta sentenza ricorre la società con quattro motivi, che ricalcano gli analoghi corrispondenti motivi di appello; resiste NOME COGNOME con controricorso, illustrato da memoria; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo di ricorso per cassazione la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione degli artt. 1362 ss. c.c., con riferimento alla scrittura privata del 6 maggio 2014, 2 c.c., 4 e 21 Cost, 4, co. 17 ss., legge n. 92/2012; sostiene che, essendo state le dimissioni rassegnate spontaneamente dal lavoratore, è del tutto irrilevante la convalida o meno in DTL, perché la ratio legis della procedura di cui all’art. 4 legge n. 92/2012 sarebbe applicabile solo nel caso delle dimissioni firmate in bianco, mentre la diversa interpretazione seguita dai giudici di merito limiterebbe il diritto del datore di lavoro di organizzare la propria attività di impresa;
il motivo è infondato;
la disciplina in materia di convalida delle dimissioni, introdotta dai commi 17 – 22 dell’art. 4 della legge n. 92/2012 e applicabile alla fattispecie ratione temporis (successivamente rivista con l’art. 26 d. lgs. n. 151/2015) è tratteggiata nella sentenza gravata (§ 1.1); nella norma non è contenuta alcuna limitazione dell’ambito applicativo della disciplina al solo foglio firmato in bianco (come propugnato dalla società); in via sistematica il bilanciamento tra la possibilità di revoca delle dimissioni e la libertà d’impresa è realizzato tramite un meccanismo di verifica/conferma della genuinità della volontà del lavoratore di recedere dal contratto di lavoro (per
contrastare possibili abusi e consentendo il ripensamento), purché entro termini brevi e prefissati, attraverso la previsione di una condizione sospensiva e una procedura (in parte anche tacita) coinvolgente l’autorità amministrativa;
con il secondo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) violazione dell’art. 2733 c.c., argomentando che la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che l’unica doglianza che il lavoratore aveva sollevato era stata quella della sottoscrizione in bianco di un foglio compilato successivamente dal datore;
il motivo è inammissibile;
la Corte di Roma ha confermato integralmente in appello le statuizioni di primo grado, situazione processuale che integra l’ipotesi di cd. doppia conforme rilevante ai sensi dell’art. 348 -ter c.p.c. (ora 360, comma 4, c.p.c.) e dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nel senso che, qualora la pronuncia di appello confermi la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti posti a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360, p rimo comma, nn. 1), 2), 3), 4), c.p.c.;
in particolare, la Corte di merito ha osservato (§ 2.2) che la questione era irrilevante, nell’ambito della complessiva disciplina, non limitata all’abuso di foglio firmato in bianco, avendo il lavoratore espressamente dedotto in via subordinata nel ricorso introduttivo del giudizio che le dimissioni erano comunque inefficaci in difetto di convalida;
con il terzo motivo di ricorso viene dedotta (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, co. 17 ss., legge n. 92/2012, 1324 e 1326 c.c., in relazione alla comunicazione del 26 maggio 2014, art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, quanto all’accoglimento della domanda avente a oggetto il pagamento delle retribuzioni; ad avviso della società ricorrente il rapporto doveva ritenersi
comunque risolto a seguito della comunicazione di invito a convalidare le dimissioni, non avendo il lavoratore comunicato la revoca delle dimissioni nel termine perentorio di sette giorni;
il motivo è inammissibile;
la Corte territoriale (§ 3) ha ritenuto, in base alle risultanze documentali, con accertamento in fatto insindacabile in questa sede, la regolare e tempestiva comunicazione della revoca delle dimissioni da parte del lavoratore, in quanto inviata alla società entro i termini di legge (quantunque ricevuta successivamente), con conseguente obbligo retributivo dal giorno successivo alla ricezione e al ripristino giuridico del rapporto di lavoro ai sensi di legge;
con il quarto motivo è dedotta (art. 360, n. 4, c.p.c.) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la pronuncia impugnata ritenuto inefficaci le dimissioni rassegnate dal lavoratore, pronunciandosi senza tenere conto del petitum ;
il motivo non è fondato;
il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta; il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (così Cass. n. 13602/2019);
14. nel caso di specie, è stato sottolineato nella sentenza gravata
(§ 4) come il petitum consistesse nella richiesta di accertamento di revoca delle dimissioni con conseguente ripristino del rapporto; i giudici di merito si sono pronunciati nell’ambito di tale domanda, così dovendosi escludere il lamentato vizio di extra-petizione;
il ricorso deve, pertanto, essere respinto;
in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore economico della causa (corrispondente a circa 2 mesi di retribuzione), con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
non ricorrono i presupposti di temerarietà (mala fede, colpa grave, abuso del processo) di cui all’art. 96 c.p.c.,
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r . n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.