Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26249 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26249 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 2082-2020 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende unitamente agli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente, ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 3640/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/09/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Verona, invocando la riduzione del corrispettivo pattuito per la compravendita di un immobile, in conseguenza dei vincoli ed oneri urbanistici sullo stesso gravanti, e la condanna dei convenuti al risarcimento del danno. In particolare, la società attrice allegava che il cespite compravenduto tra le parti, giusta atto del 28.6.2004, sarebbe stato frazionato in modo illecito e sarebbe risultato, in parte, non in regola con le vigenti norme urbanistiche.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed eccependo l’intervenuta decadenza dall’azione e la prescrizione del diritto esercitato da parte attrice.
Con sentenza n. 1316/2014 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che la società attrice fosse a conoscenza delle condizioni del bene compravenduto.
Con la sentenza impugnata, n. 3640/2019, la Corte di Appello di Venezia riformava parzialmente la decisione di prime cure, accogliendo la domanda di riduzione del corrispettivo della compravendita e condannando gli odierni ricorrenti a corrispondere a RAGIONE_SOCIALE la somma di € 107.396,29 oltre interessi e rivalutazione dalla domanda.
Propongono ricorso per la cassazione di tale pronuncia COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE di Dal RAGIONE_SOCIALE NOME, NOME e NOME RAGIONE_SOCIALENOME, spiegando a sua volta ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
Con atto in data 19.1.2024, con acclusa procura speciale notarile, si sono costituiti i nuovi difensori della parte ricorrente.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente principale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente principale lamenta la falsa applicazione dell’art . 1489 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato l’esistenza di un onere non apparente, idoneo a giustificare la riduzione del corrispettivo pattuito per la compravendita, anche se parte acquirente era pienamente consapevole che il cespite insisteva in una zona nella quale esisteva un divieto generale di frazionamento imposto da norma pubblicistica. Norma, quest’ultima, della quale D.C.G. S.n.c. NOME, visto che aveva partecipato alle operazioni di frazionamento ed acquistato, all’esito, il bene con la formula ‘visto e piaciuto’.
Con il secondo motive, i ricorrenti lamentano invece l’omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto delle deposizioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, i quali avevano confermato che l’acquirente aveva ispezionato il bene e ricevuto tutta la relativa documentazione prima della stipula, onde era consapevole delle sue caratteristiche effettive.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono, rispettivamente, la prima inammissibile, e la seconda infondata.
Quanto alla prima doglianza, va osservato che la Corte di Appello ha preso le mosse dal rilievo che ambedue le C.T.U. esperite in prime cure avessero confermato l’illegittimità del frazionamento operato dai
venditori (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) e la non regolarità della tettoia, sotto il profilo urbanistico (cfr. pag. 10). Ha poi evidenziato che l’esistenza di difformità edilizie o urbanistiche del cespite compravenduto legittima l’esercizio, da pa rte del compratore, dell’azione ex art. 1489 c.c. (cfr. pag. 10), a condizione che persista il potere repressivo della pubblica amministrazione e che la parte acquirente non fosse a conoscenza della difformità (cfr. pag. 11). Tale statuizione è coerente con i precedenti di questa Corte, secondo cui ‘ In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l’art. 1489 cod. civ., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell’acquisto, ed altresì persista il potere repressivo della P.A. (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell’immobile. In mancanza di tali condizioni, non è possibile riconoscere all’acquirente la facoltà di chieder e la riduzione del prezzo’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4786 del 28/02/2007, Rv. 595371; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27559 del 28/09/2023, Rv. 669155).
La Corte di merito ha poi esaminato se, in concreto, dagli atti emergesse la prova che gli acquirenti fossero consapevoli, tanto dell’illegittimità del frazionamento operato dai venditori, che della non regolarità della tettoia facente parte del cespite compravenduto, ed ha escluso il conseguimento di siddetta dimostrazione, evidenziando che:
-quanto alla tettoia, i venditori avevano consegnato agli acquirenti, soltanto in sede di rogito (come dichiarato dal teste COGNOME: cfr. pag. 13 della sentenza impugnata), la copia della concessione in
sanatoria, non dunque in tempo utile per consentire una verifica della coerenza tra quanto dichiarato e quanto in effetti esistente, ed ingenerando in tal modo negli acquirenti la convinzione che il manufatto fosse regolare (cfr. pagg. 13 e 14 della sentenza);
-quanto invece al frazionamento, che esso non era stato realizzato dalla società acquirente, la quale aveva acquistato due capannoni ed una tettoia già resi autonomi, catastalmente e materialmente, dai venditori; situazione, questa, rispetto alla quale era irrilevante il fatto che per l’immobile esistesse una sola utenza di cantiere, a valle della quale erano stati realizzati dei sottocontatori, e che comunque non consentiva alla parte acquirente di rendersi conto che il frazionamento contestato fosse stato posto in essere da parte venditrice dopo la realizzazione dei manufatti compravenduti, e dunque in violazione del divieto generale esistente in zona agricola, e non invece prima della loro edificazione (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza).
A tale ricostruzione del fatto e delle prove, che la Corte distrettuale fonda, tra l’altro, sulla decisiva considerazione che nell’atto di vendita era stata fornita specifica garanzia sulla conformità del cespite alle norme urbanistiche ed edilizie (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) i ricorrenti contrappongono una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei
documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la dec isione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Quanto invece alla seconda doglianza, non sussiste, nel caso di specie, alcun vizio di omesso esame, poichè l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche
un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
Il ricorso principale va quindi, nel complesso, rigettato.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale, si contesta invece l’ omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente determinato la riduzione del corrispettivo della compravendita considerando soltanto l’eliminazione della chiusura della tettoia, e non an che l’onere economico derivante dalla necessità di demolire la parte della stessa risultata non in regola con le vigenti prescrizioni edilizie ed urbanistiche.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha preso le mosse dal contenuto degli accertamenti condotti dai due ausiliari nominati in prime cure, evidenziando che i costi tecnici e amministrativi occorrenti per la regolarizzazione del finanziamento erano stati stimati da uno dei detti ausiliari in € 66.540 e dall’altro in € 15.000 (cfr. pag. 23 della sentenza impugnata). Ha inoltre dato atto che i due predetti tecnici avevano stimato il minor valore del bene come compreso tra € 100.000 ed € 150.000 (cfr. pag. 24) ed ha quindi indi viduato in € 80.000 la riduzione
corretta del corrispettivo di compravendita (cfr. pag. 25). A detto importo, la Corte distrettuale ha aggiunto l’ulteriore somma di € 27.396,29 ritenuta necessaria per eseguire gli interventi di sistemazione necessari sulla tettoia, partendo da un valore d i € 82.188,89 (individuato applicando alla superficie della tettoia il valore unitario a metro quadrato previsto dal contratto) e riducendo detto importo ad 1/3, in considerazione del fatto che nella specie la tettoia non doveva essere totalmente eliminata, ma solo parzialmente ridotta di estensione e trasformata in tettoia aperta, con eliminazione della chiusura illegittima operata dai venditori (cfr. pag. 22 della sentenza). A tale complessiva valutazione economica delle varie voci da porre a carico di pa rte venditrice, per effetto dell’accoglimento della domanda ex art. 1489 c.c. proposta dalla società originaria attrice, quest’ultima contrappone un apprezzamento diverso, e maggiore, introducendo dunque una doglianza che attinge il merito della controversia. In relazione ad essa, dunque, valgono le medesime considerazioni esposte in relazione ai motivi del ricorso principale.
Il ricorso incidentale, dunque, va dichiarato inammissibile.
Alla luce della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate per intero.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda