Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24677 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24677 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/09/2025
Oggetto
Rapporto lavoro privato -differenze retributive
R.G.N.4958/2021
COGNOME
Rep.
Ud 21/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 4958-2021 proposto da: COGNOME NOMECOGNOME NOME in qualità di eredi di COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 245/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/01/2020 R.G.N. 1899/2016;
avverso la sentenza n. 4296/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/01/2021 R.G.N. 420/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 245/2020, ha respinto l’appello di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, confermando la sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME, aveva condannato NOME COGNOME, erede di NOME COGNOME, al pagamento del trattamento di fine rapporto al medesimo spettante per il lavoro di impiegato di farmaci a svolto dall’1.4.1976 al 27.4.2011.
La medesima Corte d’appello, con sentenza n. 4296/2020, ha respinto il ricorso per revocazione della decisione n. 245/2020 proposto dalle eredi di NOME COGNOME
Queste ultime hanno proposto ricorso per cassazione avverso entrambe le sentenze, formulando due motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Ragioni della decisione
Con il motivo di ricorso avvero la sentenza n. 245/2020 è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., violazione degli articoli 24-36 e 111 Cost., 1362, 2099, 2697 e 2909 c.c., 115 e 132 n. 4 c.p.c. nonché falsa applicazione dell’art. 2070 c.c., per avere la Corte d’appello respinto la domanda di pagamento di differenze retributive e di t.f.r. in ragione, da un lato, di un’asserita errata indicazione del contratto collettivo di categoria tale da precludere ogni valutazione sul rispetto dei requisiti di cui all’art. 36 Cost. e,
dall’altro, in ragione di una carenza probatoria affermata in spregio di quanto allegato e dimostrato dal lavoratore e, comunque, con motivazione apparente.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha confermato la statuizione di rigetto della domanda di differenza retributive, rivendicate in base all’articolo 36 Cost., per difetto di una prova adeguata sulle mansioni svolte dal COGNOME nella farmacia di cui era titolare la sorella e sui tempi di lavoro (‘i testi escussi sono stati concordi nell’affermare che il COGNOME era presente in farmacia ma non costantemente -è pacifico che egli si assentasse anche per lunghi periodi per viaggi all’esteroné in orari fissi non è emer so se e quando fosse presente in farmacia, se osservasse dei turni né quale fosse la modalità attuativa della sua attività lavorativa’). Su tali premesse in fatto, non censurate né censurabili in questa sede di legittimità, i giudici di appello hanno ritenuto preclusa ogni valutazione sulla adeguatezza della retribuzione percepita, non essendo stata fornita prova neanche della applicabilità del contratto collettivo per i dipendenti delle Case di cura, sulla cui base erano formulate le rivendicazioni retributive. Non solo, ove anche preso a riferimento il contratto collettivo per i dipendenti delle farmacie private, le censure mosse col motivo in esame si rivelano, comunque, inammissibili; esse investono essenzialmente, e nonostante la formale denuncia di violazione di plurime disposizioni di legge, la valutazione compiuta dai giudici di appello in termini di inidoneità delle prove raccolte a dimostrare tempi e contenuti del lavoro svolto dal COGNOME presso la farmacia, dati in assenza dei quali risulta impossibile effettuare qualsiasi calcolo sulla sufficienza e adeguatezza della retribuzione corrisposta.
Riguardo alla eccepita violazione delle regole di formazione della prova, deve ribadirsi che l’art. 115 c.p.c. si limita a richiedere che la decisione si basi su elementi validamente acquisiti al processo, con divieto del giudice di utilizzare prove non dedotte dalle parti o acquisite d’ufficio al di fuori dei casi in cui la legge conferisce un potere officioso d’indagine (Cass. n. 27000 del 2016; n. 13960 del 2014), mentre esula dall’ambito applicativo di tale disposizione ogni questione che involga il modo in cui siano stati valutati gli elementi acquisiti, profilo su cui il controllo di legittimità può svolgersi solo con riguardo alla motivazione, in termini di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., oppure nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (v. Cas s., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014), vizio nella specie precluso dalla disciplina cd. della doppia conforme, di cui all’art. 348 ter c.p.c. applicabile ratione temporis.
Non vi è spazio per ravvisare la violazione dell’art. 132 c.p.c. atteso che la sentenza impugnata non presenta alcuna delle anomalie motivazionali individuate dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014) come idonee ad integrare la violazione del cd. minimo costituzionale; neppure può parlarsi di motivazione apparente o di motivazione perplessa e incomprensibile poiché la Corte distrettuale dà ampiamente conto delle ragioni che sorreggono il suo convincimento e del percorso logico che fonda il decisum .
In proposito, resta fermo quanto ancora di recente ribadito dalle Sezioni unite civili circa l’inammissibilità di censure che sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione, così
travalicando dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020).
2. Con il motivo di ricorso avverso la sentenza n. 4296/2020 è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 c.p.c., la violazione degli artt. 395 n. 4 e 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 1362 c.c., per avere la Corte distrettuale respinto il ricorso per revocazione, da un canto, pur riconosciuto l’errore sul contratto collettivo individuato dal ricorrente quale parametro per l’art. 36 Cost., in ragione del difetto di decisività di tale errore e, dall’altro, sul rilievo che l’errore dedotto sulle risultanze della prova testimoniale costituisse errore di valutazione delle prove piuttosto che errore di percezione.
Neppure il secondo motivo di ricorso può trovare accoglimento. Secondo l’indirizzo consolidato, l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a determinare la revocazione delle sentenze deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di sussunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del
fatto medesimo; in altri termini, l’errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass., S.U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. Sez. Un. 27/12/2017, n. 30994; Cass. 28/7/2017, n. 18899; Cass. S.U., 23/12/2009, n. 27218; n. 17443 del 2008);
Nel caso in esame difettano i requisiti appena elencati.
Gli argomenti spesi dalla Corte d’appello a sostegno del rigetto della domanda di differenze retributive rivendicate ai sensi dell’art. 36 Cost. restano fermi e continuano a sorreggere efficacemente la decisione d’appello, pur ammesso l’errore nel riferimento al contratto collettivo; il che dimostra la non decisività dell’errore medesimo, come affermato nella sentenza n. 4296/2020.
Le rimanenti critiche attengono esclusivamente ad un dedotto errore nella valutazione delle prove testimoniali, singolarmente e unitariamente considerate (si assume l’errata valutazione in ordine alla concordanza delle stesse), e ciò basta a collocare le c ensure all’esterno dell’area dell’errore revocatorio.
Le considerazioni esposte conducono alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. costituisce contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
La declaratoria di inammissibilità dei ricorso presupposto processuale per il raddoppio del 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi. Condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. NOME COGNOME antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 21 maggio 2025.