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Differenze retributive: l’onere della prova del lavoratore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18886/2025, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un lavoratore che chiedeva le differenze retributive. Nonostante fosse stata riconosciuta la natura subordinata del suo rapporto di lavoro, mascherato da contratti di collaborazione, la Corte ha sottolineato che il lavoratore non aveva fornito prove sufficientemente precise e attendibili sulla quantità e qualità del lavoro svolto, onere indispensabile per accogliere la richiesta economica.

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Differenze retributive: quando la prova del lavoro subordinato non basta

Ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato mascherato da una collaborazione autonoma è solo il primo passo. Per vedersi liquidate anche le differenze retributive, come straordinari e scatti di livello, il lavoratore deve fare di più: deve provare con precisione e attendibilità la quantità e la qualità del lavoro svolto. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la recente ordinanza n. 18886 del 2025, dichiarando inammissibile il ricorso di un lavoratore la cui domanda era risultata carente sotto il profilo probatorio.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un manutentore che aveva lavorato per un’Azienda Sanitaria Locale sulla base di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e successive proroghe. Il lavoratore si era rivolto al Tribunale per chiedere che venisse dichiarata la nullità di tali contratti e accertata l’esistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con la conseguente condanna dell’ente a riammetterlo in servizio e a pagargli le differenze retributive maturate.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva effettivamente riconosciuto la natura subordinata del rapporto, condannando l’Azienda Sanitaria al risarcimento del danno per l’abuso di contratti flessibili. Tuttavia, aveva respinto la domanda relativa alle differenze retributive, ritenendo che il lavoratore non avesse fornito prove sufficienti a dimostrare le sue pretese economiche, in particolare riguardo alle prestazioni aggiuntive come il lavoro straordinario.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova sulle Differenze Retributive

Il lavoratore ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, lamentando che la Corte d’Appello avesse errato nel valutare le prove e avesse motivato in modo solo apparente il rigetto della sua domanda.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato il principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.). La motivazione del rigetto era chiara: “non sussistono invece elementi sufficientemente precisi ed attendibili circa la quantità e la qualità del lavoro prestato per ritenere provata la domanda di differenze retributive”.

Il ricorso del lavoratore, secondo la Cassazione, si è limitato a una generica contestazione della valutazione operata dal giudice di merito, senza però indicare quali specifici elementi di prova sarebbero stati trascurati o mal interpretati. In sostanza, non è sufficiente lamentare un’ingiustizia, ma è necessario dimostrare, prove alla mano, il fondamento delle proprie richieste.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un principio cardine del diritto processuale e del lavoro: chi agisce in giudizio per ottenere il pagamento di somme di denaro deve provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria pretesa. Nel contesto delle differenze retributive, questo significa che il lavoratore non può limitarsi a dimostrare di essere stato un lavoratore subordinato. Deve andare oltre, specificando e provando:
1. Il contenuto professionale: le mansioni esatte svolte, per dimostrare l’eventuale diritto a un inquadramento superiore.
2. L’estensione oraria: le ore di lavoro effettivamente prestate, soprattutto per le richieste di pagamento del lavoro straordinario.

La Corte territoriale aveva giustamente considerato questi aspetti come presupposti sia per l’esistenza del diritto (an) sia per la sua quantificazione (quantum). L’appello del lavoratore è stato giudicato inammissibile proprio perché non ha affrontato specificamente questa lacuna probatoria, trasformandosi in una critica generica all’operato del giudice che non può trovare spazio nel giudizio di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nelle controversie di lavoro, la documentazione e la precisione sono fondamentali. Per un lavoratore che intende agire per il riconoscimento delle proprie spettanze, è cruciale raccogliere e conservare meticolosamente ogni prova utile a dimostrare non solo l’esistenza del rapporto di lavoro, ma anche ogni singolo dettaglio della prestazione resa (orari, compiti, comunicazioni). Affidarsi a una dimostrazione generica o a sole testimonianze vaghe rischia di vanificare l’azione, anche a fronte del riconoscimento del proprio status di lavoratore subordinato. La prova del diritto alle differenze retributive resta un onere che grava interamente sulle spalle del lavoratore.

Se un contratto di collaborazione nasconde un lavoro subordinato, ho automaticamente diritto alle differenze retributive?
No. Secondo l’ordinanza, oltre a dimostrare la natura subordinata del rapporto, il lavoratore deve fornire prove sufficientemente precise e attendibili sulla quantità (es. ore di straordinario) e qualità (es. mansioni superiori) del lavoro svolto per fondare la richiesta di differenze retributive.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si è limitato a contestare in modo generico la valutazione delle prove fatta dalla Corte d’Appello, senza indicare specifici elementi probatori che fossero stati trascurati o male interpretati e che potessero dimostrare la fondatezza della domanda.

Cosa deve provare concretamente un lavoratore per ottenere le differenze retributive?
Il lavoratore deve provare in modo specifico e attendibile sia il contenuto professionale delle sue mansioni (per un eventuale inquadramento superiore) sia l’esatta estensione oraria della prestazione resa (per il pagamento di straordinari), fornendo elementi concreti che giustifichino la richiesta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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