Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16905 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 16905 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19408/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1447/2024 depositata il 29/02/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il P.G. in persona della Dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso con le conseguenze previste dalla legge.
Sentiti l’Avv.to NOME COGNOME per il ricorrente, e l’Avv.to NOMECOGNOME per la controricorrente, i quali, illustrate oralmente le rispettive difese, hanno concluso come nei rispettivi atti.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1447/2024, pubblicata il 29/2/2024, in sede di riassunzione ai sensi degli artt. 622 c.p.p. e 392 ss. c.p.c. all’esito della pronuncia della Cassazione penale, con sentenza n. 28652/2022, pubblicata il 20.7.2022, che aveva (su ricorso della sola parte civile NOME) annullato la sentenza di appello penale del 2020-2021 (di assoluzione di NOME COGNOME dal reato di diffamazione aggravata dall’uso del mezzo della stampa), con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, ha condannato NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti da NOME COGNOME quantificati nella misura di € 20.000,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo, con pubblicazione di estratto della sentenza sul quotidiano « Il Fatto quotidiano ».
In particolare, i giudici d’appello hanno, anzitutto, ricostruito in fatto la vicenda, nei termini che seguono:
a) dopo la diffusione del servizio televisivo del TG 1 (di cui all’epoca NOME COGNOME era direttore), condotto dalla giornalista NOME COGNOME, dal Titolo « Chissà quanti di noi intercettati » (la cui trascrizione veniva integralmente riprodotta), veniva pubblicato, il giorno seguente, 4/7/2010, su « Il Fatto quotidiano », un articolo a firma del giornalista NOME COGNOME, dal titolo « Tg1, la Minzolina di complemento », con titoletto « Le balle delle cimici » (« NOME COGNOME, la Minzolina di complemento che l’altro giorno aveva trasformato la condanna di COGNOME per mafia in un trionfo del senatore e dei suoi difensori e in una debacle della Procura, ha
colpito ancora. Ieri sera al Tg1, per supportare le balle del Banana al Tg4 sulle intercettazioni, ha sparato cifre a casaccio spacciandole per ‘dati ufficiali del ministero della giustizia’ . Poi ecco il dato farlocco: ‘i bersagli messi sotto controllo ogni anno sono 130.000 Truffaldine anche le cifre sulle spese per intercettare (170 milioni all’anno, 4-600 milioni di debiti con le società telefoniche e con quelle addette alle intercettazioni): basterebbe che lo Stato imponesse alle compagnie di svolgere il servizio gratis (come in Francia e in Germania) e acquistasse le apparecchiature in proprio anziché noleggiarle da privati, per spendere quasi zero. Ridicolo poi l’ultimo ‘dato’ della COGNOME: ‘INDIRIZZO fa sapere che sono pochissime le inchieste di mafia basate solo su intercettazioni’. Sarebbe interessante sapere quante sarebbero finite nel nulla se non si fossero avvalse ‘anche’ di intercettazioni. Ma, per saperlo, ci vorrebbe un telegiornale. Pretesa assurda, trattandosi del Tg1 »);
b) a seguito di denuncia-querela presso la Procura della Repubblica di Roma, da parte della giornalista del TG 1 NOME COGNOME si apriva un procedimento penale, a carico del COGNOME, autore dell’articolo, per il reato di diffamazione aggravata dall’uso del mezzo della stampa e dall’attribuzione di fatto determinato, oltre che del direttore responsabile de « Il Fatto Quotidiano », NOME COGNOME per l’omesso controllo ai sensi dell’art. 57 c.p., e, all’esito delle indagini penali, veniva chiesto il rinvio a giudizio degli imputati;
c) dopo tre sentenze di non luogo a precedere, emesse dal GUP di Roma, tutte annullate dalla Corte di Cassazione, il procedimento approdava alla fase dibattimentale, e, con sentenza n. 10996 del 19/7/2018, il Tribunale penale di Roma, ritenendo diffamatorio l’articolo di NOME COGNOME, laddove si sosteneva che il dato relativo al « numero dei bersagli » fosse stato inventato e non fornito dal Ministero della Giustizia, non potendo ritenersi sussistente, in parte qua, la scriminante del diritto di critica, e si
utilizzavano le espressioni « COGNOME ha sparato cifre a casaccio spacciandole per dati ufficiali del Ministero della giustizia » e « poi ecco il dato farlocco », che, eccedenti la normale vis polemica , superavano il limite del diritto di critica, e l’appellativo « la Minzolina di complemento », ritenuto offensivo, dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato ascritto, diffamazione ai danni della dott.ssa COGNOME comminandogli la pena di euro 600,00 di multa, condannandolo al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore di NOME COGNOME liquidato equitativamente nell’importo di € 30.000,00;
d) il COGNOME proponeva appello e, con sentenza n. 9189/2020 del 14/12/2020, con motivazione depositata il 20/1/2021, la Corte d’Appello penale di Roma riformava la sentenza del 19/7/2018 del Tribunale e assolveva NOME COGNOME dall’imputazione a lui ascritta « perché il fatto non costituisce reato », ritenendo che l’articolo redatto da quest’ultimo costituisse legittimo esercizio del diritto di critica e non travalicasse i limiti della continenza (« Il diritto di critica esercitato dall’imputato si fondava, quindi, su un fatto vero, ossia l’inesattezza dei dati forniti dalla giornalista . Quanto alle espressioni utilizzate, esse, sebbene aspre e sferzanti, non eccedevano i limiti della continenza) ;
e) la Corte di Cassazione penale, su impugnazione della COGNOME, la parte civile, ai soli effetti della responsabilità civile, ex art. 576 c.p.p., con sentenza n. 28652/2022 pubblicata il 20/7/2022, annullava la sentenza di appello, carente sul piano motivazionale, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi degli artt. 622 c.p.p. e 392 c.p.c., anche al fine di provvedere alla regolamentazione delle spese processuali di lite tra le parti private, ritenendo, in parte, condivisibile la valutazione della sussistenza del legittimo esercizio di critica del ragionamento svolto nel servizio televisivo che,
partendo dal dato relativo al « numero dei bersagli », arrivava arbitrariamente a sostenere che i soggetti ascoltati erano milioni; f) ma, nella sentenza della cassazione penale, si leggeva anche: «Tuttavia, nel capo di imputazione si contestava a NOME COGNOME di avere offeso la reputazione di NOME COGNOME non solo affermando che questa, nel servizio televisivo, aveva diffuso dati falsi, ma che di tale erroneità la stessa era ben consapevole in quanto ella aveva così agito «per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni», ove «Banana» sta per NOME Berlusconi. Sostenere che i dati forniti dalla COGNOME sono inesatti, laddove si ritenga che questi siano inesatti o anche solo non riscontrati, può ben costituire esercizio del diritto di critica, ma, anche laddove si accerti la inesattezza o quanto meno l’opinabilità dei dati forniti nel servizio televisivo, l’aver attribuito alla COGNOME la intenzione di avvantaggiare una parte politica diffondendo dati errati significa attribuire alla odierna parte civile una condotta deliberatamente volta alla disinformazione dei telespettatori e piegata agli interessi del Governo, ossia una violazione dei principi affermati nella «Carta dei doveri del giornalista» che, all’epoca dell’articolo, disciplinava sotto il profilo della deontologia professionale l’attività del giornalista. Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di diffamazione, che non è configurabile la scriminante del diritto di critica giudiziaria quando si tacci un magistrato di parzialità per ragioni politiche senza che vi sia prova della verità storica del fatto, per la intrinseca offensività della affermazione, che involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell’esercizio della funzione giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professionali del magistrato (Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, COGNOME, Rv. 282379). Analoghe considerazioni possono valere anche laddove la persona offesa sia un giornalista, laddove questa sia accusata di aver diffuso false informazioni per avvantaggiare una parte politica. Tale profilo era
esplicitamente indicato nel capo di imputazione ed era stato segnalato dalla parte civile anche mediante una memoria difensiva depositata nel giudizio di appello (…)».
Tanto premesso, la Corte d’appello civile ha rilevato, anzitutto, che il perimetro della decisione del giudice di rinvio era vincolato dalla valutazione della Corte di Cassazione, secondo cui non costituisce diritto di critica, avendo invece carattere intrinsecamente offensivo, attribuire a un giornalista una condotta deliberatamente volta alla disinformazione dei telespettatori e piegata agli interessi del Governo e ha ritenuto infondata la tesi del Travaglio, secondo il quale una parte della originaria imputazione (la frase, contenuta nell’articolo giornalistico, secondo cui «… il dato farlocco» e «…le cifre a casaccio…» erano state «sparate» «…per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni… »), non interessata dalla motivazione d’appello penale e non impugnata né dalla parte civile né dal Pubblico Ministero, era divenuta irretrattabile sul punto, con l’effetto giuridico di essere preclusa una nuova valutazione, finanche agli interessi civili, con conseguente errore di fatto della Corte di cassazione; invero, ad avviso della Corte territoriale, non è consentito al giudice del rinvio di emendare eventuali errori commessi nella sentenza della Corte di Cassazione (penale), sia pure emessa su ricorso ex art. 576 c.p.p. e con rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p., e comunque, nei confronti di COGNOME, non si era formato un giudicato assolutorio parziale su parte delle condotte contestate in relazione alla giornalista COGNOME in quanto l’assoluzione aveva riguardato soltanto la condotta di diffamazione nei confronti di COGNOME e la condotta scriminata riguardava soltanto la critica della equiparazione del « numero dei bersagli al numero delle persone intercettate », equiparazione effettivamente inesatta.
Dovendo quindi essere vagliato l’unico elemento che, secondo la Corte di Cassazione, avrebbe portata scriminante, e cioè se
l’intrinseca offensività della accusa di strumentalizzazione dei dati per fini politici contrari alla deontologia professionale sia giustificata dalla verità storica dei fatti addebitati, dall’istruttoria espletata non era emersa alcuna prova in base alla quale si potesse supporre che il servizio giornalistico fosse effettivamente finalizzato a supportare « le balle del Banana al Tg4 sulle intercettazioni » e la tesi sposata dal giornalista COGNOME nell’articolo era apodittica e priva di riscontri oggettivi.
In punto di quantum, si reputava congruo un risarcimento, all’attualità, di € 20.000,00, considerate, da un lato, la notorietà della giornalista diffamata e dell’autore dell’articolo, nonché la diffusione nazionale del quotidiano, l’intenzionalità delle accuse rivolte alla giornalista, la rilevanza deontologica delle condotte addebitate rispetto alla professione svolta, e, dall’altro, il contesto di sfiducia in quel periodo storico verso la linea editoriale adottata in generale dal Tg1, la dimensione contenuta dell’impaginazione dell’articolo, la diffusione da parte della giornalista al pubblico di dati statistici tratti da fonte ufficiale, ma riletti in chiave del tutto soggettiva e suscettibile quindi di critiche.
Avverso la suddetta pronuncia, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, notificato il 17/9/2024, affidato a unico motivo, nei confronti di NOME COGNOME che resiste con controricorso.
Il PG ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 21 maggio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorrente lamenta, con unico motivo, in relazione al capo della sentenza « Perimetro del giudizio di rinvio », ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui all’art. 324 c.p.c. nonché degli artt. 648 e 652 c.p.p., provenendo il processo dalla sede penale, in quanto la Corte
territoriale, travisando gravemente il testo della sentenza di primo grado penale (cfr. Sentenza di Primo Grado, Tribunale Penale di Roma, n. 10996/18 -Doc. 37 allegato alla Citazione in Riassunzione di COGNOME), concludeva per l’esclusione del giudicato parziale assolutorio in relazione alla condotta di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME ritenendo, con un errore decisivo che ha condotto alla violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto sopra richiamate, che il giudicato parziale assolutorio avesse riguardato esclusivamente la condotta di NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, non anche con riguardo alla persona di NOME COGNOME
1.1. Il tema posto dal presente ricorso attiene all’operatività o meno della preclusione del giudicato assolutorio parziale ex art.652 c.p.p. (primo comma: « La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2 ») e del disposto dell’art.648, primo comma c.p.p. (« Sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione »), per il giudice civile del rinvio ex art.622 c.p.p. (« Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile, ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se
l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile »).
Il tutto presuppone, nell’ottica difensiva del ricorrente, che vi sia stato un giudicato assolutorio sia pure parziale in sede penale.
1.2. Assume il ricorrente che la stessa Corte d’appello evidenzia che « l’assoluzione ha riguardato solo la condotta di diffamazione nei confronti di COGNOME, mentre nella motivazione della sentenza l’unico profilo della condotta di COGNOME che viene scriminato è la critica della equiparazione del numero dei bersagli al numero delle persone intercettato in quanto tale equiparazione era effettivamente inesatta ».
Secondo il ricorrente, sull’espressione ritenuta diffamatoria dalla Corte d’appello del 2024 (la frase, contenuta nell’articolo giornalistico, secondo cui «… il dato farlocco» e «…le cifre a casaccio…» erano state «sparate» «…per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni… ») si sarebbe invece formato un giudicato assolutorio parziale derivante dalla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale penale di Roma, sicché, in assenza di impugnazione specifica della parte civile, l’espressione contestata non poteva essere rivalutata dalla Corte di Appello Civile, « giacché il giudicato penale, a mente dell’art. 648 c.p.p. è irrevocabile e spiega efficacia preclusiva nel successivo giudizio civile ai sensi dell’art. 652 c.p.p .».
Invero il Tribunale in motivazione non aveva mai preso in considerazione, perché evidentemente reputata inoffensiva, la frase, pur presente nel capo di imputazione, « …per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni… », frase che poi, « inopinatamente » la Corte di Cassazione penale ha invece ritenuta offensiva.
Il Tribunale aveva assolto il COGNOME non soltanto in relazione alle frasi contro il COGNOME ma anche in relazione ad alcune delle frasi riguardanti la COGNOME (eccettuate tre, non scriminate dal diritto di critica e ritenute offensive: la COGNOME aveva « sparato cifre a
casaccio spacciandole per dati forniti dal Ministero della giustizia »; la definizione della stessa come « Minzolina di complemento »; la frase « e poi ecco il dato farlocco »).
La formula della decisione di primo grado era: « visto l’art.530 c.p.p. assolve COGNOME NOME dalla residua imputazione e COGNOME NOME dal reato ascritto perché il fatto non sussiste ».
Quindi, sostiene il ricorrente, tutto ciò che non è stato ritenuto diffamatorio in primo grado, non essendo stato impugnato dalla parte civile, ma solo dal COGNOME, era coperto dal giudicato assolutorio parziale e non poteva essere esaminato, per preclusione ex art.652 c.p.p., dal giudice civile di rinvio, a prescindere da quanto statuito dalla Cassazione penale con la sentenza di annullamento e conseguente rinvio.
Assume il ricorrente che, se la Corte di Appello civile avesse accolto la tesi di COGNOME, secondo cui la frase « per supportare le balle del banana al Tg4 sulle intercettazioni » risultava anch’essa coperta dal giudicato assolutorio, avrebbe potuto legittimamente disattendere il vincolo della Cassazione, giacché il giudicato, una volta accertato, anche se ex post , è irrevocabile ex art. 648 c.p.p. e spiega efficacia preclusiva nel successivo giudizio civile ai sensi dell’articolo 652 c.p.p.
E si sviluppano considerazioni in ricorso sull’ampiezza del giudicato assolutorio, richiamando i passaggi della sentenza di primo grado, oltre che il dato insuperabile del dimezzamento operato in primo grado delle spese liquidate a favore della COGNOME (« in ragione dei distinguo », operati, « sulla sussistenza del reato commesso in danno di COGNOME », si legge nella sentenza del Tribunale) e della condanna della COGNOME ex art. 541, secondo comma, c.p.p. (a rifondere le spese legali ingiustamente sostenute dal COGNOME, in ragione della sua assoluzione), a dimostrazione che il COGNOME fu mandato assolto per una pluralità di affermazioni che riguardarono la persona di NOME COGNOME e non il solo COGNOME, come invece
si afferma erroneamente nella sentenza impugnata.
La controricorrente assume che « Nel giudizio riassunto ai sensi dell’art. 622 c.p.p., l’ex adverso ipotizzato giudicato parziale di assoluzione non potrebbe, comunque, avere alcun effetto vincolante » (cfr. Pag. 15 Controricorso), posto che il giudizio civile non si porrebbe in parallelo con alcun precedente grado del processo, ma ne costituirebbe una fase del tutto nuova ed autonoma, la cui definizione non si sostituirebbe ad alcuna precedente pronuncia, statuendo direttamente e per la prima volta. Quindi l’invocato art. 652 c.p.p., sull’efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno della sentenza irrevocabile di assoluzione, non trova applicazione nel caso di annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen.
3.Tale argomentazione è stata confutata dalla Procura Generale nelle sue conclusioni.
Si afferma che, se la Corte di cassazione annulla, ex art.622 c.p.p., solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile, rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Il punto è se il giudice civile, in esito a detto rinvio, sia o meno vincolato a quanto statuito nel processo penale. Invero, pur nel rispetto della diversità dei giudizi e degli ambiti di riferimento, non si può affermare che il giudicato parziale formatosi nel processo penale sia del tutto irrilevante nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p.: il giudizio di fronte al giudice civile è autonomo dalla causa penale, ma non anche « dal processo penale », non è una sorta di grado unico ma rappresenta la translatio e quindi la prosecuzione dell’azione civile, già proposta in sede penale.
Osserva il PG che, dalle norme di raccordo del processo penale e del giudizio civile di rinvio, scaturisce un unico effetto giuridico, consistente nel diritto al risarcimento del danno (ex art.185 c.p. ed art.2043 c.c.) derivante dall’ unico episodio di vita (ovvero
dall’evento lesivo) e la Corte di cassazione penale, nel momento in cui dispone il rinvio della causa agli effetti civili di fronte al giudice civile, trasferisce la causa risarcitoria, già pendente dinanzi al giudice penale, di fronte al giudice civile. Ciò in conseguenza della identità del diritto oggetto della domanda portata di fronte ai due giudici.
Quindi, il giudice civile è tenuto a confrontarsi con il giudicato penale, data l’unicità del fatto e, di conseguenza, non può astrarre il fatto illecito in esame dagli accertamenti giuridici già condotti dinanzi al giudice penale con efficacia di cosa giudicata.
4.La controversia attiene, anzitutto, agli specifici rapporti tra giudizio penale e giudizio civile di rinvio, ai soli effetti civili, ai sensi dell’art.622 c.p.p. « Annullamento della sentenza ai soli effetti civili », che recita: « Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile, ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile».
Tale disposizione affida al giudice civile, dopo l’annullamento in sede di legittimità penale dei relativi capi, la cognizione dei profili restitutori e risarcitori legati al reato quando non vi siano più circostanze penalmente rilevanti ancora da accertare.
La ratio dell’art. 622 c.p.p., quindi, introdotto con la Riforma del processo penale di cui al D.P.R. n. 447/1988, è stata quella di evitare di richiedere al giudice penale qualsiasi intervento in tutti i casi in cui la cognizione che residui dopo l’annullamento sia da limitare a profili di carattere solo civile.
Quando l’annullamento travolge i soli interessi civili, ai sensi dell’art.622 c.p.p., rimanendo viceversa « fermi gli effetti penali della sentenza », le due azioni,
civile e penale, si sdoppiano, in quanto mentre si chiude il procedimento penale, l’azione civile proseguirà di fronte al giudice civile.
Nella specie, la Corte d’Appello penale di Roma aveva riformato la sentenza di affermazione della responsabilità penale del giornalista (con condanna anche al risarcimento del danno alla parte civile) del 19/7/2018 del Tribunale e assolto, con proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art.530 c.p.p., NOME COGNOME dall’imputazione a lui ascritta « perché il fatto non costituisce reato » e la Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 28652/2022, in accoglimento del ricorso proposto dalla sola parte civile NOMECOGNOME ha annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.
4.1. Al riguardo occorre avere presente un importante arresto delle Sezioni unite penali.
Le Sezioni unite penali con la sentenza n. 22065/2021 hanno, tra l’altro, affermato, in ordine alle regole applicabili davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello ex art. 622 c.p.p., che: – « l’art. 622 cod. proc. pen. si pone come norma di eccezione, che, secondo quanto valorizzato anche dalla Corte costituzionale, legittima il coinvolgimento del giudice civile, una volta che sono venute meno le condizioni per radicare la decisione in capo al giudice penale »; – « l’incipit dell’art. 622, così letteralmente formulato: “fermi gli effetti penali della sentenza”… vuole significare che tutto ciò che riguarda il versante penale del fatto non può più essere posto in discussione e la cognizione delle questioni di natura civilistica passa, quando occorre, al giudice civile competente per valore in grado di appello, come emerge dal testo della norma »; – « non vi è dubbio che anche un’assoluzione dell’imputato in primo grado, oggetto di appello ex art. 576 cod. proc. pen. della sola parte civile, ribaltata in appello ai soli fini della responsabilità civile, determina il passaggio in giudicato della
sentenza di assoluzione agli effetti penali e non può più essere posta in discussione. Anche in tale caso, si tratta di effetti penali che restano “fermi” (secondo la formulazione del richiamato art. 622)… »; « con l’esaurimento della fase penale, essendo ormai intervenuto un giudicato agli effetti penali ed essendo venuta meno la ragione stessa dell’attrazione dell’illecito civile nell’ambito della competenza del giudice penale, risulta coerente con l’assetto normativo interdisciplinare sopradescritto che la domanda risarcitoria venga esaminata secondo le regole dell’illecito aquiliano, dirette alla individuazione del soggetto responsabile ai fini civili su cui far gravare le conseguenze risarcitorie del danno verificatosi nella sfera della vittima ».; – il giudice civile di rinvio, adito per il risarcimento del danno, avrà l’onere del riesame dei fatti emersi nel procedimento penale, pure conclusosi con sentenza assolutoria.
Le Sezioni Unite, esaminato il contrasto insorto tra sezioni civili e penali (un’interpretazione restrittiva dell’art. 622, aveva, anzi, inteso doversi individuare il giudice penale quale giudice del rinvio, anche per soddisfare la ritenuta esigenza di proseguire il giudizio, applicando le regole proprie del giudizio penale) sui compiti e poteri del giudice civile in caso di rinvio ex art.622 c.p.p., hanno affermato che il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 cod. proc. pen. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss cod. proc. civ., a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili. Un giudizio autonomo, sia in senso strutturale sia in senso funzionale, tanto che, in alcune decisioni di questa Corte, si parla di translatio iudicii , a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione penale.
Di conseguenza, le Sezioni unite hanno affermato che la Cassazione penale non ha il potere di enunciare il principio di diritto, a cui il giudice del rinvio dovrebbe uniformarsi, chiarendo
che « verificatosi un giudicato agli effetti penali, appare ragionevole che all’illecito civile tornino ad applicarsi le regole sue proprie, funzionali all’individuazione del soggetto su cui, secondo il sistema del diritto civile, far gravare il costo di un danno e non la sanzione penale ». E si è precisato che « la configurazione del giudizio conseguente all’annullamento in sede penale ai soli effetti civili (art. 622) come giudizio autonomo rispetto a quello svoltosi in sede penale consente alle parti di introdurlo nelle forme civilistiche previste dall’art. 392 cod. proc. civ. nonché di allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale »; il che potrebbe giustificare anche l’ emendatio della domanda, ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio; l’ emendatio , ma non la mutatio della domanda, garantisce al danneggiato di « espandere » la domanda risarcitoria, allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall’art. 2043 cod. civ. e consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte. E si è ribadito che la giurisprudenza civile di legittimità riconosce, infatti, al giudice civile, adito per il risarcimento del danno, l’onere del riesame dei fatti emersi nel procedimento penale, pure conclusosi con sentenza assolutoria (Cass. S.U.civili, n. 1768/2011 e Cass.civ., n. 1665/2016).
Ma poiché si trasferisce la causa risarcitoria, già pendente di fronte al giudice penale, di fronte al giudice civile, solo in questo senso il giudizio di rinvio è la fase rescissoria del giudizio di cassazione.
Vi è autonomia tra le due cause, penale e civile, ma non anche dal processo penale, essendo l’azione civile la prosecuzione di quella già proposta in sede penale.
4.2. E le sezioni civili della Corte (la III sezione civile) hanno, anche
prima del pronunciamento delle Sezioni Unite Penali, affermato la piena autonomia del giudizio civile ex art.622 c.p.p rispetto al giudizio penale.
Si possono richiamare: Cass.16916 /2019 (« Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena “translatio” del giudizio sulla domanda, sicché la Corte di appello competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile; ne consegue che non è consentita l’ “utilizzazione”, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale, dovendo trovare applicazione, viceversa, il divieto sancito dall’art. 246 c.p.c. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, fermo restando che le medesime dichiarazioni, potendo costituire fonte di convincimento ai fini della decisione, sono liberamente valutabili dal giudice, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti nell’ambito delle complessive risultanze istruttorie »); Cass. 25917/2019 (« Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. si determina una piena “translatio” del giudizio sulla domanda civile, sicché la Corte di appello civile competente per valore, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo e oggettivo dell’illecito ex art. 2043 c.c., applica i criteri di accertamento della responsabilità civile, i quali non sono sovrapponibili ai più rigorosi canoni di valutazione penalistici, funzionali all’esercizio della potestà punitiva statale »); Cass. 30496/2022 (« Nell’ipotesi di cassazione della sentenza penale di assoluzione ai soli effetti civili, il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. è deputato all’accertamento dell’illecito civile quale fattispecie autonoma da quella penale, in ragione della necessità di rispettare
il diritto alla presunzione di non colpevolezza (declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e da quella della Corte di giustizia dell’Unione europea come diritto della persona a non essere presentata come colpevole nelle decisioni successive a quella penale che la abbia prosciolta), sicché in esso trovano applicazione le regole processuali e probatorie e i criteri di giudizio propri del processo civile, restando precluso l’accertamento, in via incidentale, della responsabilità penale del convenuto »); Cass. 27558/2024 (« Nel giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p., che si svolge dinanzi alla Corte d’appello a cui la S.C. in sede penale ha rimesso il procedimento ai soli effetti civili, non è consentita l'”utilizzazione”, alla stregua di una testimonianza, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa sentita quale testimone nel corso del processo penale, stante il divieto ex art. 246 c.p.c. di assumere come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che ne potrebbe legittimare la partecipazione al giudizio, fermo restando che le medesime dichiarazioni, potendo costituire fonte di convincimento ai fini della decisione, sono liberamente valutabili dal giudice, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti nell’ambito delle complessive risultanze istruttorie »).
In ordine al rilievo del giudicato penale assolutorio, Cass.15041/2020 aveva affermato che « Qualora in accoglimento del ricorso della parte civile la Corte di cassazione annulli la sentenza penale limitatamente alle disposizioni civili, con rinvio della causa al giudice civile competente in grado in appello, la cognizione di quest’ultimo può estendersi all’intera pretesa risarcitoria, sia per l’aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell’eventuale determinazione dell’ammontare risarcitorio, a meno che non vi sia stata la formazione di un giudicato penale di assoluzione, destinato ad avere effetti in sede civile ai sensi dell’art. 652 c.p.p .».
Ma in Cass. 16169/2022 si è poi chiarito che: « Nel caso in cui la Cassazione penale, a seguito di ricorso proposto dalla parte civile ai sensi dell’art. 576 c.p.p., annulli la sentenza d’appello che, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, abbia assolto l’imputato, il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. costituisce fase del tutto nuova ed autonoma, funzionale all’emanazione di una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia, sicché nessuna efficacia può spiegare, nello stesso, la sentenza penale di condanna di primo grado, insuscettibile di reviviscenza a seguito dell’annullamento con rinvio della sentenza assolutoria d’appello» ( cfr. anche Cass. 30496/2022 : «Nell’ipotesi di cassazione della sentenza penale di assoluzione ai soli effetti civili, il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. è deputato all’accertamento dell’illecito civile quale fattispecie autonoma da quella penale, in ragione della necessità di rispettare il diritto alla presunzione di non colpevolezza (declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU e da quella della Corte di giustizia dell’Unione europea come diritto della persona a non essere presentata come colpevole nelle decisioni successive a quella penale che la abbia prosciolta), sicché in esso trovano applicazione le regole processuali e probatorie e i criteri di giudizio propri del processo civile, restando precluso l’accertamento, in via incidentale, della responsabilità penale del convenuto »; Cass. 36524/2022; Cass. 15290/2024: « In tema di rapporti tra processo penale e azione di risarcimento, il giudice civile – chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria a seguito di cassazione, su ricorso della parte civile, della sentenza penale di proscioglimento dell’imputato – è tenuto a verificare se è integrata la fattispecie atipica di cui all’art. 2043 c.c., senza poter incidentalmente accertare la ricorrenza di quella tipica contemplata dalla norma incriminatrice e senza essere vincolato dal principio di diritto enunciato in sede penale, mediante un accertamento condotto, nell’ambito di una piena translatio iudicii, attraverso i
criteri di giudizio funzionali all’accertamento della responsabilità civile e nel rispetto delle regole processuali che presiedono all’esercizio della giurisdizione civile, con riguardo sia ai mezzi di prova in senso stretto, sia alla valutazione delle risultanze probatorie»).
In Cass. Sez.1 civ., n. 23739/2023, si è ricordato che il criterio regolatore generale di « accessorietà » e «s ubordinazione » dell’azione civile rispetto a quella penale (art.538, comma 1, c.p.p.) subisce rare eccezioni, tra cui è compresa quella stabilita dall’art.622 c.p.p., « per effetto del quale, nel giudizio di cassazione, se gli effetti penali della sentenza di merito sono ormai cristallizzati e su di essi è sceso il giudicato, la cognizione sulla pretesa risarcitoria e restitutoria si scinde completamente dall’accertamento della responsabilità penale e viene compiuta, in sede rescindente, dalla Corte di legittimità e, in sede rescissoria, dal giudice civile di merito ». Rientrando tale norma tra le ipotesi di «scostamento dalla regola dell’accessorietà», l’accertamento condotto sull’illecito civile è completamente autonomo e non risente dell’esito del diverso accertamento già compiuto (e ormai definito)
sull’illecito penale. L’accertamento della responsabilità penale è stato ormai compiuto con esito positivo o negativo e risulta cristallizzato in una pronuncia definitiva di condanna (come può accadere nella prima delle due fattispecie contemplate dall’art. 622 c.p.p.) o di proscioglimento (come senz’altro accade nella seconda fattispecie contemplata dal medesimo art. 622 c.p.p.) e il giudice investito della cognizione sulla domanda civile risarcitoria (sia esso lo stesso giudice penale che ha pronunciato il proscioglimento sia esso il giudice civile competente per il merito all’esito della fase rescindente svoltasi dinanzi alla Corte di legittimità) non è chiamato ad accertare, neppure in via meramente incidentale, se si sia integrata la fattispecie tipica contemplata dalla norma
incriminatrice in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato e se da essa siano derivate conseguenze dannose, patrimoniali o non patrimoniali ai sensi dell’art. 185 c.p.. Egli è invece « chiamato a verificare se si sia integrata la diversa fattispecie atipica dell’illecito civile in tutti i suoi elementi costitutivi secondo il disposto dell’art.2043 c.c. ». E si è affermato il seguente principio di diritto: « In tema di annullamento da parte del giudice di legittimità della sentenza penale ai soli effetti civili, il rinvio ex art. 622 c.p.p. determina una piena translatio del giudizio sulla domanda risarcitoria, ove la valutazione della colpa dev’essere effettuata alla stregua non già del canone penalistico, imperniato sulla dimensione soggettiva di rimproverabilità della condotta, bensì di quello civilistico ‘oggettivato’, riferito a un modello standard di comportamento, enucleato dal criterio della diligenza ex art. 1176 c.c. e parametrato sul cd. agente modello ».
Nella recente Cass.25767/2024, richiamati i principi da ultimo affermati dal giudice di legittimità, si è, in motivazione, chiarito che « l’istituzionale autonomia dei due giudizi (penale e civile) non rende priva di rilevanza l’argomentazione del giudice penale e, pertanto, non esime il giudice civile da una attenta considerazione degli stessi snodi motivazionali ritenuti carenti da quello penale, dedicando ad essi una particolare attenzione, sia pure in relazione alle diverse finalità ed esigenze della ricostruzione dei fatti nei due processi (tendenti ad un accertamento oltre ogni ragionevole dubbio per il penale; da accertarsi, specie sul piano della causalità, secondo la regola della preponderanza dell’evidenza per il civile) ed alla diversa ampiezza dei vizi deducibili nell’uno e nell’altro in ordine alla relativa motivazione ».
E già Cass. 28011/2021 aveva affermato che « Qualora la Corte di cassazione annulli la sentenza penale, limitatamente alle disposizioni civili, per soli vizi di motivazione, il giudice civile del rinvio conserva tutte le facoltà che gli competono quale giudice di
merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio d’appello, egli è tenuto, nonostante l’istituzionale indipendenza dei giudizi e delle relative discipline della responsabilità, a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati».
4.3. Si deve quindi concludere che quando l’impugnazione (della sola parte civile) sia proposta solo per ottenere l’affermazione della responsabilità civile dell’imputato per un fatto previsto dalla legge come reato -e la parte civile deve formulare specifica indicazione degli effetti civili perseguiti – essa (come efficacemente osservato in dottrina) « chiama il giudice penale ad un accertamento incidentale sulla responsabilità dell’autore dell’illecito che può esitare anche in una valutazione diversa – proprio in quanto svolta solo ai fini civili – rispetto a quella compiuta sul fatto oggetto di imputazione, così realizzando uno sdoppiamento della res iudicanda».
Nel caso del proscioglimento dell’imputato che non sia stato impugnato dal pubblico ministero o dallo stesso imputato, la regiudicanda penale è esaurita sicché, una volta ammesso un interesse all’accoglimento del ricorso della parte civile ai soli fini civili, il rinvio al giudice civile si giustifica alla luce del fatto che, pur essendo il tema rimesso al suo apprezzamento strettamente connesso a quello penale, non residuano profili penali da esaminare.
Il giudice civile, cui la Cassazione in sede penale abbia rimesso il procedimento ai soli effetti civili, ai fini della valutazione
dell’elemento soggettivo e oggettivo dell’illecito ex art. 2043 c.c., applicherà i criteri di accertamento della responsabilità civile, essendo il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. deputato all’accertamento dell’illecito civile quale fattispecie autonoma da quella penale, quella atipica di cui all’art. 2043 c.c., senza poter incidentalmente accertare la ricorrenza di quella tipica contemplata dalla norma incriminatrice e senza essere vincolato dal principio di diritto enunciato in sede penale.
Il giudizio di responsabilità civile deve impingere unicamente sugli elementi costitutivi dell’illecito civile, senza dover riguardare, neppure incidenter tantum , la responsabilità penale dell’imputato per il reato già contestatogli, l’accertamento sul quale è ormai definito ed immodificabile (così Corte cost., n. 182 del 30 luglio 2021; Cass., Sez. 3, n. 8997 del 21 marzo 2022 e Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30496 del 18/10/2022 e Cass. Sez.1, Ordinanza n. 23739 del 3 agosto 2023 ).
Tuttavia, le argomentazioni del giudice penale non sono del tutto prive di rilievo e, pertanto, non esimono il giudice civile da una attenta considerazione degli stessi snodi motivazionali ritenuti carenti da quello penale, dedicando ad essi una particolare attenzione, sia pure in relazione alle diverse finalità ed esigenze della ricostruzione dei fatti nei due processi.
Si tratta, invero, di un giudizio civile indubbiamente autonomo ma pur sempre di un giudizio di rinvio che si colloca all’interno della stessa vicenda e quindi del tutto peculiare, proprio perché con la disposizione in esame si attua in concreto la translatio dell’azione civile dal giudizio penale a quello civile.
4.4. Ne deriva che la doglianza, sotto tale profilo, è infondata, in quanto, alla luce dei recenti arresti di legittimità penale e civile, l’invocato art. 652 c.p.p., sull’efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno della sentenza irrevocabile di assoluzione, non trova applicazione, nel senso voluto dal ricorrente, nel caso di
annullamento con rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen.: in quest’ultimo caso, infatti, la sentenza di assoluzione dell’imputato, annullata su ricorso della parte civile, pur restando ferma agli effetti penali, non produce effetti extrapenali.
Pertanto, il rinvio al giudice civile per la decisione sul risarcimento del danno, ex art. 622 c.p.p., determina la netta separazione del rapporto penale da quello civile, sul quale non produce effetti il giudicato penale (parziale o totale che sia).
Ma la censura è comunque infondata, sotto altro profilo, dovendosi proprio escludere che fosse intervenuto in primo grado un giudizio assolutorio penale parziale.
La sentenza penale n. 28652/2022 della Corte di cassazione ha sottolineato che nel capo di imputazione si contestava a NOME COGNOME di avere offeso la reputazione di NOME COGNOME non solo affermando che questa, nel servizio televisivo, aveva diffuso dati falsi, ma che di tale erroneità la stessa era ben consapevole in quanto ella aveva così agito « per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni», ove «Banana» sta per Silvio Berlusconi » (v. Cass.20 luglio 2022, n. 28652, pag. 8).
In tale ottica, «ostenere che i dati forniti dalla COGNOME sono inesatti, laddove si ritenga che questi siano inesatti o anche solo non riscontrati, può ben costituire esercizio del diritto di critica, ma, anche laddove si accerti la inesattezza o quanto meno l’opinabilità dei dati forniti nel servizio televisivo, l’aver attribuito alla COGNOME la intenzione di avvantaggiare una parte politica diffondendo dati errati significa attribuire alla odierna parte civile una condotta deliberatamente volta alla disinformazione dei telespettatori e piegata agli interessi del Governo, ossia una violazione dei principi affermati nella «Carta dei doveri del giornalista» che, all’epoca dell’articolo, disciplinava sotto il profilo della deontologia professionale l’attività del giornalista » (così Cass. n. 28652/2022
cit., pagg. 8-9). Ciò in quanto, in tema di diffamazione, non è configurabile la scriminante del diritto di critica quando un giornalista « sia accusato di aver diffuso false informazioni per avvantaggiare una parte politica » (cfr. Cass. 20 luglio 2022, n. 28652, pag. 9).
Nella specie, la Cassazione in sede penale ha annullato la sentenza d’appello con rinvio in quanto l’accusa di « partigianeria », indicata nel capo di imputazione, che le era stata rivolta e che aveva carattere diffamatorio, esplicitamente non era stata esaminata dalla Corte d’appello e quindi la motivazione della sentenza impugnata era al riguardo gravemente carente .
La tesi secondo cui il Giudice del rinvio poteva e doveva disattendere il contenuto della sentenza rescindente della Corte di cassazione non può, anche alla luce dei principi sopra richiamati, essere condivisa.
Si deduce che tutto ciò che non è stato ritenuto espressamente diffamatorio dal Giudice di primo grado deve ritenersi coperto dal giudicato assolutorio parziale e non poteva, in assenza di impugnazione della parte civile, essere « rivalutato » dalla Corte di Appello Civile.
Ma, a fronte della sentenza del Tribunale penale di Roma, la parte civile non aveva alcun onere né giuridica possibilità di proporre appello (salvo che per ottenere una diversa quantificazione del danno), perché la sentenza di primo grado aveva (non certo assolto, ma al contrario) condannato il dott. COGNOME per il reato di diffamazione contestato nel capo di imputazione, essendo preclusa alla parte un’impugnazione volta a richiedere esclusivamente una mera riformulazione di segmenti motivazionali ritenuti più rispondenti ad un proprio sentire.
Il capo di imputazione era unico e si addebitavano all'(allora) imputato le affermazioni offensive inerenti « all’intero contenuto dell’articolo apparso su Il Fatto Quotidiano ».
Nella sentenza di annullamento (cfr. Cass. pen. n. 28652 del 2022 che dispose la rimessione della causa davanti alla Corte di Appello civile), i giudici di legittimità, nel ritenere gravemente carente la motivazione della pronuncia di assoluzione impugnata, premettevano (ai fini del predetto bilanciamento) che l’articolo non avrebbe dovuto essere esaminato in modo « frazionato », con una parcellizzazione delle sue singole parti, e chiarivano altresì quali fossero gli ambiti della diffamazione (segnatamente: non costituisce diritto di critica, avendo carattere intrinsecamente offensivo, attribuire ad un giornalista una condotta deliberatamente volta alla disinformazione dei telespettatori e piegata agli interessi del Governo) rimettendo peraltro al giudice civile la questione risarcitoria.
La Corte di Cassazione (Cass. pen. n. 28652 del 2022), in particolare, ha circoscritto il diritto di critica alla confutazione dal dato relativo al numero dei bersagli ed alla arbitraria conclusione della giornalista COGNOME che, partendo dal numero dei bersagli, giungeva ad affermare che i soggetti ascoltati fossero milioni, però poi ha precisato quanto segue: «Tuttavia, nel capo di imputazione si contestava a NOME COGNOME di avere offeso la reputazione di NOME COGNOME non solo affermando che questa, nel servizio televisivo, aveva diffuso dati falsi, ma che di tale erroneità la stessa era ben consapevole in quanto ella aveva così agito «per supportare le balle del Banana al TG4 sulle intercettazioni», ove «Banana» sta per NOME Berlusconi. Sostenere che i dati forniti dalla COGNOME sono inesatti, laddove si ritenga che questi siano inesatti o anche solo non riscontrati, può ben costituire esercizio del diritto di critica, ma, anche laddove si accerti la inesattezza o quanto meno l’opinabilità dei dati forniti nel servizio televisivo, l’aver attribuito alla COGNOME la intenzione di avvantaggiare una parte politica diffondendo dati errati significa attribuire alla odierna parte civile una condotta deliberatamente volta alla disinformazione
dei telespettatori e piegata agli interessi del Governo, ossia una violazione dei principi affermati nella «Carta dei doveri del giornalista» che, all’epoca dell’articolo, disciplinava sotto il profilo della deontologia professionale l’attività del giornalista. Questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di diffamazione, che non è configurabile la scriminante del diritto di critica giudiziaria quando si tacci un magistrato di parzialità per ragioni politiche senza che vi sia prova della verità storica del fatto, per la intrinseca offensività della affermazione, che involge gli imprescindibili caratteri di indipendenza ed autonomia nell’esercizio della funzione giudiziaria, risolvendosi in una critica alla persona, piuttosto che alle capacità professionali del magistrato (Sez. 5, n. 45249 del 25/10/2021, COGNOME, Rv. 282379)… Tale profilo era esplicitamente indicato nel capo di imputazione ed era stato segnalato dalla parte civile anche mediante una memoria difensiva depositata nel giudizio di appello (…).
E si concludeva nel senso che analoghe considerazioni possono valere anche quando la persona offesa sia un giornalista, laddove questo sia accusato di aver diffuso false informazioni per avvantaggiare una parte politica.
Quindi la frase incriminata faceva parte della condotta ritenuta diffamatoria, consistente nella deliberata accusa alla giornalista di disinformazione per supportare gli interessi governativi (per l’appunto supportare « le balle del Banana »).
Si è trattato, quanto alla sentenza penale di primo grado, di accenti più o meno spiccati che portano a un percorso argomentativo cospirante nel senso della responsabilità penale dell’imputato, a fronte di un capo di imputazione unitario, che concerneva l’articolo nel suo complesso.
Inoltre, la tesi secondo cui il Giudice del rinvio poteva e doveva disattendere del tutto il contenuto della sentenza rescindente della
Corte di cassazione, non può essere accolta, per le ragioni espresse al precedente paragrafo.
Sul punto, proprio con riferimento al giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p., questa Corte ha affermato che, qualora (come avvenuto nel caso di specie) la Corte di cassazione annulli la sentenza penale, limitatamente alle disposizioni civili, per soli vizi di motivazione, il giudice civile del rinvio è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi.
Tali principi si devono estendere, nonostante l’indipendenza dei giudizi e perfino delle relative discipline della stessa responsabilità, anche al caso di rinvio al giudice civile disposto dal giudice penale, dovendosi ritenere preminente l’esigenza di non vanificare le indicazioni fornite dal giudice rescindente (cfr. Cass. civ. 14 ottobre 2021, n. 28011; Cass. civ. 21 marzo 2022, n. 8997; Cass. civ. 26 settembre 2024, n. 25767).
Ferma restando l’istituzionale autonomia dei due giudizi (penale e civile) e pur dovendosi escludere un vincolo analogo a quello previsto dall’art. 384 c.p.c., il Giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p. deve necessariamente tenere conto del preesistente vaglio operato dalla Corte di cassazione penale, non potendo replicare il ragionamento già ritenuto lato sensu carente, « pena la grave violazione del diritto di difesa costituzionalmente rilevante, ex art. 24 Cost., nonché la stessa inutilità (in ipotesi) dell’appendice civilistica: ognun vede che, ove al giudice civile del rinvio fosse consentito replicare puramente e semplicemente il medesimo ragionamento in facto già censurato in sede penale, verrebbe meno lo stesso interesse ad impugnare, sul punto, la sentenza penale in
capo alla parte civile e ad ottenerne la cassazione » (così, testualmente, la citata Cass. civ. n. 25767/2024).
Quindi la Corte d’appello ha attribuito il giusto significato al giudicato penale assolutorio parziale limitandone l’estensione alle sole affermazioni riguardanti l’allora Direttore del TG1 COGNOME, mentre la condanna ha avuto ad oggetto la totalità delle affermazioni riguardanti la giornalista NOMECOGNOME esclusa la critica della equiparazione del « numero dei bersagli al numero delle persone intercettato ».
Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 4.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 21 maggio