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Diffamazione chat privata: i limiti secondo la Corte

A seguito della fine di una relazione, un uomo ha citato in giudizio la sua ex partner per i danni derivanti da presunta diffamazione, a causa di messaggi inviati da quest’ultima a due amici comuni tramite una chat privata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che non sussiste diffamazione quando le comunicazioni, seppur contenenti giudizi negativi, sono inviate a un singolo destinatario per volta e manca la volontà o l’accettazione del rischio che tali contenuti vengano ulteriormente diffusi.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diffamazione Chat Privata: La Cassazione Chiarisce i Limiti

Nell’era digitale, i confini tra comunicazione privata e pubblica sono sempre più sfumati. Un messaggio inviato a un amico può diventare virale in pochi istanti. Ma quando uno sfogo personale in una conversazione privata si trasforma in un illecito? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della diffamazione chat privata, stabilendo principi chiari sulla distinzione tra una comunicazione riservata e un’offesa penalmente rilevante. Il caso analizzato nasce dalla fine di una relazione sentimentale e dalle successive comunicazioni che la donna ha avuto con amici comuni, portando l’ex compagno a chiederle un risarcimento per danni.

I Fatti del Caso: Dalla Relazione Finita alla Causa Legale

La vicenda giudiziaria prende le mosse da un’azione legale intentata da un uomo nei confronti della sua ex compagna. L’uomo la accusava di aver leso la sua reputazione in due modi: in primo luogo, per averlo ingiustamente accusato di atti persecutori, accusa dalla quale era stato poi assolto con formula piena; in secondo luogo, per averlo screditato agli occhi di amici e colleghi tramite messaggi inviati via Facebook, con l’intento di danneggiarlo e isolarlo.

Il Giudizio nei Gradi di Merito: Decisioni Contrastanti

Il percorso giudiziario ha visto esiti alterni. In primo grado, il Tribunale aveva parzialmente accolto le ragioni dell’uomo. Pur rigettando la domanda relativa alla presunta calunnia, aveva condannato la donna a un risarcimento di 5.000 euro per diffamazione.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha ribaltato completamente la decisione. Accogliendo l’impugnazione della donna, i giudici di secondo grado hanno escluso la sussistenza della diffamazione. La loro analisi si è concentrata sulla modalità delle comunicazioni: i messaggi erano stati inviati a due amici dell’uomo, ma separatamente, a un singolo interlocutore per volta. Mancava quindi, secondo la Corte, l’elemento oggettivo della comunicazione a una “pluralità di destinatari”, requisito essenziale per configurare la diffamazione. Inoltre, il contenuto dei messaggi è stato interpretato come espressione di delusione personale e preoccupazione, privo di una reale valenza denigratoria.

La Decisione della Cassazione sulla diffamazione chat privata

L’uomo ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti: l’errata valutazione dei fatti da parte della Corte d’Appello e la violazione delle norme sulla diffamazione. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile e infondato, e ha confermato la correttezza dei principi applicati dai giudici d’appello.

L’Elemento Oggettivo: La Comunicazione a “Più Persone”

Il cuore della decisione ruota attorno al requisito della comunicazione con più persone. La Cassazione ribadisce un principio consolidato: perché si configuri diffamazione, l’offesa deve raggiungere almeno due persone (oltre all’offeso). Nel caso di comunicazioni inviate a un singolo destinatario per volta, come in una diffamazione chat privata, l’illecito può sussistere solo a una condizione: che il mittente abbia la volontà, o accetti il rischio, che il destinatario diffonda ulteriormente il messaggio. In questo caso, la Corte d’Appello aveva accertato in fatto (e la Cassazione non può riesaminare tale valutazione) che la donna non solo non voleva la diffusione, ma aveva anzi espresso il desiderio che i messaggi rimanessero riservati.

L’Elemento Soggettivo: Il Dolo Generico

Per quanto riguarda l’intento, la Corte chiarisce che per la diffamazione è sufficiente il cosiddetto “dolo generico”: la consapevolezza di pronunciare parole che possono ledere l’altrui reputazione. Non è necessario un intento specifico di offendere. Tuttavia, anche su questo punto, la valutazione della Corte d’Appello è stata ritenuta corretta. I giudici di merito avevano escluso che le espressioni usate, pur manifestando delusione, avessero la capacità intrinseca di offendere o di tracciare un quadro denigratorio dell’uomo.

Le Motivazioni

La Cassazione ha motivato il rigetto del ricorso sottolineando che la ricostruzione dei fatti, la valutazione del contenuto dei messaggi e l’apprezzamento della loro portata offensiva sono attività riservate al giudice di merito. Il controllo della Suprema Corte è limitato alla correttezza giuridica del ragionamento e alla logicità della motivazione. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata, spiegando perché mancassero sia l’elemento oggettivo (la pluralità di destinatari) sia quello soggettivo (la consapevolezza di offendere). È stato inoltre precisato che l’uso di uno strumento come una chat privata su un social network non crea di per sé una presunzione di accettazione del rischio di diffusione. Affermare il contrario significherebbe invertire l’onere della prova, costringendo il mittente a dimostrare di aver vietato la diffusione, anziché richiedere all’accusatore di provare la volontà diffusiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza offre importanti spunti di riflessione sull’uso dei moderni strumenti di comunicazione. La decisione conferma che uno sfogo o una critica espressi in una conversazione privata e individuale non integrano automaticamente il reato di diffamazione. Per superare la soglia dell’illecito, è necessario che la comunicazione sia diretta a più persone o che vi sia una chiara intenzione del mittente di farla circolare. Questa pronuncia tutela la riservatezza delle comunicazioni uno-a-uno, anche quando avvengono su piattaforme social, e ribadisce che non ogni giudizio negativo espresso su terzi in un contesto privato può fondare una richiesta di risarcimento del danno.

Inviare un messaggio privato a una singola persona è diffamazione?
No, di per sé non lo è. La diffamazione richiede la comunicazione con più persone. Può diventarlo solo se chi invia il messaggio ha la volontà, o accetta consapevolmente il rischio, che il destinatario lo diffonda ad altri.

Perché la Corte ha escluso la diffamazione in questo caso?
La Corte ha escluso la diffamazione perché mancavano entrambi gli elementi costitutivi del reato. L’elemento oggettivo, poiché i messaggi erano stati inviati a singoli destinatari per volta e non a una pluralità di persone. L’elemento soggettivo, perché il contenuto dei messaggi è stato giudicato come espressione di delusione personale e non come espressioni con una reale e consapevole capacità offensiva.

L’uso di un social network per inviare messaggi privati implica automaticamente il rischio di diffusione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’utilizzo di uno strumento di comunicazione che facilita la diffusione (come un social network) non è sufficiente a presumere che il mittente abbia accettato il rischio della sua ulteriore divulgazione. Sarebbe un’inversione dell’onere della prova pretendere che il mittente dimostri di aver vietato la diffusione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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