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Diffamazione a mezzo stampa: la Cassazione decide

Un medico ha citato in giudizio un quotidiano per diffamazione, a causa di articoli che riportavano inesattezze su una sua radiazione e una condanna penale. Dopo un lungo iter processuale, la Corte di Cassazione ha stabilito che la liceità di un articolo va valutata sulla base dei fatti noti al momento della pubblicazione, non di eventi successivi. In tema di diffamazione a mezzo stampa, un’inesattezza è diffamatoria solo se rende la narrazione significativamente più offensiva rispetto alla verità. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Diffamazione a mezzo stampa: quando un’inesattezza rende una notizia illecita?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per il mondo dell’informazione: la diffamazione a mezzo stampa. La decisione chiarisce un principio fondamentale per stabilire quando un’inesattezza contenuta in un articolo giornalistico supera il legittimo diritto di cronaca e diventa un illecito civile. La Corte ha sottolineato che la valutazione deve essere ancorata al momento della pubblicazione, senza poter considerare eventi futuri per “giustificare” a posteriori una notizia.

I Fatti del Caso

Un medico, coinvolto in vicende legate al doping nel mondo del ciclismo, aveva citato in giudizio un noto gruppo editoriale, un giornalista e il direttore responsabile di un quotidiano nazionale. Oggetto del contendere erano alcuni articoli, pubblicati tra il 2008 e il 2009, che, a dire del medico, lo avevano diffamato riportando due circostanze non veritiere:

1. La sua “radiazione” da parte del Comitato Olimpico Nazionale, mentre in realtà il procedimento disciplinare si era concluso con un’archiviazione a seguito delle sue dimissioni volontarie.
2. Una sua condanna penale “definitiva” per reati legati al doping, quando all’epoca della pubblicazione la sentenza era ancora soggetta a ricorso per Cassazione.

L’Iter Giudiziario e la Decisione della Cassazione

Il percorso giudiziario è stato lungo e complesso. Inizialmente, la Corte d’Appello aveva dato ragione al medico, ritenendo le due inesattezze di per sé diffamatorie. La Cassazione, tuttavia, con una prima pronuncia aveva annullato tale decisione, stabilendo un principio cardine: non basta che una notizia sia inesatta per essere diffamatoria. È necessario verificare se l’inesattezza “stravolge il fatto vero in maniera tale da renderne offensiva la sua attribuzione a taluno”.

Il caso era quindi tornato alla Corte d’Appello (giudizio di rinvio), la quale, però, aveva nuovamente rigettato la domanda del medico. Per farlo, aveva considerato fatti accaduti dopo la pubblicazione degli articoli, come la successiva conferma della condanna penale e un’altra indagine a carico del professionista, concludendo che la sua reputazione fosse già compromessa e che le inesattezze fossero marginali. Contro questa seconda decisione d’appello, il medico ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

L’errore nel giudizio sulla diffamazione a mezzo stampa

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha accolto le ragioni del medico, censurando duramente la metodologia seguita dalla Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno evidenziato due errori fondamentali:

1. Violazione del principio di attualità: La liceità di un articolo di cronaca deve essere valutata esclusivamente sulla base del contesto fattuale e delle conoscenze disponibili al momento della sua pubblicazione. È errato utilizzare eventi successivi per giudicare la correttezza di una notizia passata.
2. Errata valutazione dell’offensività: Il confronto non doveva essere fatto tra la notizia falsa e la reputazione generale del medico, bensì tra la narrazione contenente le inesattezze e la narrazione fedele ai fatti veri di quel momento. Il giudice avrebbe dovuto chiedersi: raccontare che il medico era stato “radiato” e “condannato in via definitiva” era significativamente più offensivo che raccontare la verità, ossia che si era dimesso e che la sua condanna non era ancora definitiva?

La Corte ha inoltre bacchettato i giudici d’appello per non aver considerato il peso specifico di espressioni come l’occhiello di un articolo, che titolava “Un medico radiato per amico”, direttamente collegato a una delle circostanze non veritiere.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla necessità di tutelare sia il diritto di cronaca sia la reputazione individuale in modo equilibrato. La regola dettata dalla precedente ordinanza di Cassazione era chiara: le inesattezze assumono rilevanza giuridica solo se trasformano un fatto di cronaca da “inoffensivo” a “diffamatorio” o se ne aggravano in modo sostanziale la portata lesiva. La Corte d’Appello, invece, ha poggiato la sua decisione su fatti successivi e su una valutazione generica della reputazione del soggetto, eludendo il mandato specifico ricevuto dalla Cassazione. In sostanza, ha confuso l’accertamento del danno (che può essere influenzato da molti fattori) con l’accertamento dell’illecito (che deve basarsi solo sui fatti al momento della pubblicazione).

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque operi nel settore dell’informazione: la correttezza di una notizia va giudicata “hic et nunc”, ovvero qui e ora, al momento in cui viene data. Non si possono usare eventi futuri per sanare inesattezze passate. Per i cittadini, la decisione rafforza la tutela della reputazione, specificando che anche chi è coinvolto in vicende giudiziarie ha diritto a una rappresentazione dei fatti precisa e non peggiorativa. Il caso è stato nuovamente rinviato alla Corte d’Appello, che dovrà finalmente applicare correttamente i principi stabiliti dalla Cassazione per decidere se le inesattezze riportate abbiano effettivamente costituito una forma illecita di diffamazione a mezzo stampa.

Quando un’inesattezza in un articolo giornalistico costituisce diffamazione?
Secondo la Corte, un’inesattezza costituisce diffamazione quando trasforma il fatto vero in uno falso in modo da renderne offensiva l’attribuzione a una persona, ovvero quando aggrava significativamente l’offensività della narrazione rispetto a come sarebbe stata se basata sui fatti reali e accertati.

È possibile utilizzare fatti successivi alla pubblicazione di un articolo per valutarne la liceità?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la liceità di una pubblicazione deve essere valutata con riferimento esclusivo alla situazione fattuale esistente al momento della sua diffusione, senza poter considerare eventi accaduti in seguito.

Qual è stato l’errore principale commesso dalla Corte d’appello nel riesaminare il caso?
L’errore principale è stato quello di fondare la propria decisione su fatti temporalmente successivi alla pubblicazione degli articoli e di aver confrontato le notizie inesatte con la reputazione generale del ricorrente, anziché attenersi al mandato della Cassazione, che imponeva di confrontare la narrazione contenente le falsità con la narrazione veritiera al momento dei fatti, per valutarne l’eventuale incremento di offensività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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