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Difetto di titolarità passiva: la Cassazione chiarisce

Una società immobiliare citava in giudizio un gruppo di eredi per ottenere la cancellazione di una trascrizione pregiudizievole su un immobile acquistato e il risarcimento dei danni. Gli eredi rispondevano con una domanda riconvenzionale per occupazione illegittima. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8549/2024, ha cassato la sentenza d’appello, stabilendo che il difetto di titolarità passiva, sollevato dalla società riguardo a una pretesa risarcitoria, costituisce una mera difesa e non un’eccezione nuova, potendo quindi essere sollevata per la prima volta anche in appello.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Difetto di titolarità passiva: quando una difesa non è mai tardiva

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8549/2024) offre un importante chiarimento sulla natura del difetto di titolarità passiva, stabilendo che si tratta di una mera difesa e non di un’eccezione in senso stretto. Questa distinzione ha conseguenze pratiche fondamentali, poiché consente alla parte di sollevare tale questione per la prima volta anche in appello. L’analisi di questa pronuncia è cruciale per comprendere le strategie difensive disponibili nel processo civile.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’acquisto di un immobile da parte di una società immobiliare. L’immobile era parte di un più ampio compendio oggetto di una causa di divisione tra l’alienante e i suoi fratelli. La trascrizione della citazione di divisione gravava sull’immobile acquistato, causando un danno alla società acquirente. Di conseguenza, la società citava in giudizio i fratelli dell’alienante per ottenere la cancellazione della trascrizione e il risarcimento del danno.

I convenuti, a loro volta, proponevano una domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento per l’illegittima occupazione di una porzione di terreno, per la demolizione di fabbricati abusivi e per i danni derivanti dalla cessione di una particella di terreno al Comune, avvenuta con un atto sottoscritto solo dall’alienante originario.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda di cancellazione della trascrizione ma rigettava quella di risarcimento danni della società. Accoglieva invece la domanda riconvenzionale dei fratelli, condannando la società al pagamento di una somma per l’occupazione illegittima.
La Corte di Appello confermava sostanzialmente la decisione, limitandosi a ridurre l’importo del risarcimento. In particolare, la Corte territoriale riteneva inammissibile, perché nuova, l’affermazione della società di non essere responsabile per i danni legati alla cessione della particella al Comune, in quanto l’atto era stato firmato da un altro soggetto. La Corte qualificava questa difesa come un’eccezione non sollevata in primo grado.

Il ricorso in Cassazione e l’analisi del difetto di titolarità passiva

La società immobiliare proponeva ricorso per cassazione lamentando, tra i vari motivi, l’errata applicazione dell’art. 345 c.p.c. La società sosteneva che la propria affermazione di estraneità alla cessione del terreno non fosse un’eccezione nuova, ma una mera difesa volta a contestare la sussistenza della propria legittimazione passiva, ossia il difetto di titolarità passiva del rapporto controverso.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto questo motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato, richiamando anche una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 2951/2016): la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso non costituisce un’eccezione in senso stretto, ma una mera difesa. Essa attiene alla fondatezza della domanda e mira a contestare l’esistenza stessa di un presupposto dell’azione.

In quanto mera difesa, può essere sollevata dalla parte in qualsiasi momento del processo e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, anche per la prima volta in appello, purché basata su fatti già acquisiti al processo. La Corte d’Appello, qualificandola come eccezione nuova e dichiarandola inammissibile, ha quindi commesso un errore di diritto, applicando falsamente l’art. 345 c.p.c. che vieta i “nova” in appello. La Corte ha chiarito che contestare di essere il soggetto obbligato per legge a subire gli effetti di una domanda (difetto di titolarità passiva) rientra pienamente nel diritto di difesa e non è soggetto alle preclusioni previste per le eccezioni in senso stretto.

La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione attenendosi a questo principio.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio cardine del diritto processuale civile, fondamentale per la tutela del diritto di difesa. Stabilire che il difetto di titolarità passiva è una mera difesa significa che la contestazione sulla corretta individuazione del soggetto convenuto può essere sempre introdotta nel dibattito processuale, senza il rischio che venga dichiarata tardiva. Questa pronuncia serve da monito per i giudici di merito a non qualificare erroneamente come eccezioni quelle che sono semplici contestazioni sulla fondatezza della domanda, garantendo così un processo più giusto ed equo.

Che cos’è il difetto di titolarità passiva secondo la Cassazione?
Secondo la Cassazione, il difetto di titolarità passiva del rapporto controverso è una questione che attiene alla fondatezza della domanda. Consiste nella contestazione che la parte convenuta non sia il soggetto su cui grava l’obbligo dedotto in giudizio. Non è un’eccezione in senso stretto ma una mera difesa.

La difesa basata sul difetto di titolarità passiva può essere presentata per la prima volta in appello?
Sì. Poiché si tratta di una mera difesa e non di un’eccezione soggetta a preclusioni, può essere sollevata per la prima volta anche in appello, senza violare il divieto dei “nova” previsto dall’art. 345 c.p.c. Può anche essere rilevata d’ufficio dal giudice se i fatti a suo fondamento emergono dagli atti di causa.

Qual è la differenza pratica tra ‘mera difesa’ ed ‘eccezione in senso stretto’?
La differenza pratica è fondamentale: una ‘mera difesa’ può essere sollevata in qualsiasi momento del processo, anche in appello, e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. Un”eccezione in senso stretto’, invece, deve essere proposta dalla parte entro termini perentori (solitamente nella prima difesa utile) e non può essere rilevata dal giudice se la parte non l’ha sollevata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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