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Difetto di giurisdizione: vendita a un extra-UE

La Corte di Cassazione ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano in una controversia tra una società italiana e due società israeliane per il pagamento di una fornitura di beni. La Corte ha stabilito che, anche se il convenuto non è domiciliato in UE, si applicano i criteri del Regolamento (UE) n. 1215/2012. Per i contratti di vendita, la giurisdizione spetta al giudice del luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati, che nel caso di specie era Israele.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Difetto di Giurisdizione nelle Vendite Internazionali: il Criterio Decisivo del Luogo di Consegna

Nelle transazioni commerciali internazionali, stabilire quale giudice abbia il potere di decidere in caso di controversia è una questione fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite fa luce su questo tema, chiarendo le regole per individuare il foro competente quando una parte ha sede al di fuori dell’Unione Europea e confermando il difetto di giurisdizione del giudice italiano in un caso specifico.

I Fatti del Caso

Una società produttrice italiana citava in giudizio due società fornitrici con sede in Israele davanti a un tribunale italiano, chiedendo il pagamento di una somma superiore a 200.000 euro come corrispettivo per la vendita di beni mobili. Le due società israeliane, costituendosi in giudizio, eccepivano immediatamente il difetto di giurisdizione del giudice italiano, sostenendo che la competenza a decidere spettasse ai tribunali del loro Paese.

La questione è quindi giunta all’attenzione della Corte di Cassazione tramite un regolamento preventivo di giurisdizione, uno strumento che consente di ottenere una decisione definitiva sulla competenza giurisdizionale prima che la causa prosegua nel merito.

La Questione Giuridica sul difetto di giurisdizione

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione delle norme di diritto internazionale privato. Le società israeliane sostenevano che, avendo esse sede in Israele e che il luogo di consegna dei beni fosse sempre Israele, la giurisdizione italiana dovesse essere esclusa.

La società italiana, al contrario, riteneva che si dovessero applicare i criteri della Convenzione di Bruxelles del 1968, richiamata dalla legge italiana n. 218/1995. Secondo questa interpretazione, sarebbe stato rilevante il luogo di esecuzione dell’obbligazione di pagamento, da individuarsi in Italia. La questione cruciale era quindi: quale normativa si applica quando il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro dell’UE? La vecchia Convenzione o i suoi più moderni successori, come il Regolamento (UE) n. 1215/2012?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha risolto la questione in modo netto, affermando il difetto di giurisdizione del giudice italiano. La decisione si fonda su un principio consolidato, quello del cosiddetto “rinvio mobile”.

La Corte ha spiegato che il richiamo contenuto nella legge italiana (art. 3, L. 218/1995) alla Convenzione di Bruxelles non è un rinvio statico al testo del 1968. Si tratta, invece, di un rinvio dinamico o “mobile” alla normativa europea che, nel tempo, ha sostituito quella Convenzione. Oggi, tale normativa è rappresentata dal Regolamento (UE) n. 1215/2012 (noto come Bruxelles I-bis).

Questo Regolamento, all’articolo 7, punto 1, lettera b), stabilisce un criterio di giurisdizione speciale per le materie contrattuali, in particolare per la compravendita di beni. Esso prevede che il giudice competente sia quello del luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto.

Nel caso specifico, era pacifico che il luogo di consegna dei beni fosse Israele. Di conseguenza, applicando il criterio del Regolamento UE, la giurisdizione non può che appartenere ai giudici israeliani. La Corte ha sottolineato che questo criterio prevale su altri, come quello del luogo di pagamento, che può essere invocato solo se il criterio della consegna non è applicabile.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La pronuncia delle Sezioni Unite ribadisce un principio fondamentale per la certezza del diritto nei rapporti commerciali internazionali. Per le imprese che operano con partner extra-UE, è chiaro che, in assenza di un accordo esplicito sulla scelta del foro competente (clausola di proroga della giurisdizione), il fattore determinante per radicare la controversia in un determinato Paese è il luogo fisico di consegna della merce.

Questa decisione implica che le aziende italiane devono prestare massima attenzione alla redazione dei contratti internazionali. Se desiderano che eventuali dispute siano decise in Italia, devono inserire una clausola di scelta del foro italiano che sia valida ed efficace ai sensi della normativa internazionale. In caso contrario, rischiano di dover affrontare un contenzioso all’estero, con tutte le complicazioni e i costi che ne derivano. L’ordinanza conferma, quindi, che il criterio della consegna dei beni è centrale e decisivo per evitare un difetto di giurisdizione in patria.

Quale giudice è competente se un’azienda italiana fa causa a un’azienda extra-UE per una vendita di beni?
Salvo diverso accordo tra le parti, è competente il giudice del luogo in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati. La decisione si basa sull’applicazione dei criteri del Regolamento (UE) n. 1215/2012, anche se il convenuto non ha sede nell’Unione Europea.

Perché si applica il Regolamento UE n. 1215/2012 e non la vecchia Convenzione di Bruxelles del 1968?
Perché la legge italiana (L. 218/1995) opera un “rinvio mobile” alla disciplina europea. Questo significa che il riferimento non è al testo originario del 1968, ma alla normativa che lo ha sostituito nel tempo, che oggi è appunto il Regolamento (UE) n. 1215/2012.

Cosa succede se il contratto contiene una clausola che indica un foro italiano come competente?
Una clausola di scelta del foro può derogare al criterio del luogo di consegna, ma deve essere formulata in modo da costituire una valida convenzione di proroga della giurisdizione ai sensi della normativa internazionale. Una semplice clausola di competenza territoriale interna, come “Foro di Udine”, potrebbe non essere ritenuta sufficiente a tal fine, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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