Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 2936 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 2936 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2787/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, pec rappresentata
e
difesa dall’AVV_NOTAIO.
NOME
COGNOME
NOME
(CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, pec
;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, pec è EMAIL
rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), pec ; -controricorrente- avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1591/2018 depositata in data 08/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il RAGIONE_SOCIALE Sommacampagna chiedeva al Tribunale di Verona, con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., la condanna della RAGIONE_SOCIALE (in seguito anche RAGIONE_SOCIALE) al pagamento della somma di € 110.842,20 quale corrispettivo dovuto per l’attività di scavo in adempimento dell’obbligo assunto con l’atto integrativo del 4 giugno 2010 alla convenzione stipulata in data 8 febbraio 2008 nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione di una cava.
Il RAGIONE_SOCIALE deduceva che , a seguito dell’annullamento da parte del TAR Veneto, di una prima deliberazione autorizzativa della Regione Veneto, era stato stipulato un accordo integrativo con RAGIONE_SOCIALE, per cui, fermi gli accordi di cui alla convenzione dell’8 febbraio 2008, la società avrebbe dovuto versare un contributo aggiuntivo di € 0,15 per ogni mc di materiale scavato e realizzare, a sua cura e spese, un tratto di strada asfaltata di accesso e recesso alla cava.
La RAGIONE_SOCIALE, peraltro, provvedeva al versamento delle somme dovute in dipendenza della convenzione del febbraio 2008, ma rifiutava la corresponsione degli importi previsti con l’accordo integrativo del 2010, che riteneva illegittimo e vessatorio; da ciò la domanda dell’ente comunale per il pagamento delle somme non versate.
Nel giudizio di primo grado si costituiva COGNOME che chiedeva fosse dichiarata la nullità delle clausole della convenzione dell’8 febbraio 2008, come integrata con l’atto dell’11 giugno 2010, per contrarietà a norme imperative in tema di prestazioni patrimoniali e per assenza e illiceità della causa; in via subordinata e riconvenzionale chiedeva l’annullamento della convenzione del 2010 e, per l’effetto, che fossero dichiarate non dovute le somme pretese dall’ente locale , con condanna del RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme indebitamente percepite.
Alla prima udienza, chiesto il mutamento di rito, la causa veniva rinviata e, alla successiva udienza, COGNOME eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
Il ricorso del RAGIONE_SOCIALE di Sommacampagna era accolto dal giudice di primo grado e la decisione era confermata dalla Corte d’appello di Venezia con la sentenza in epigrafe, che affermava la giurisdizione del giudice ordinario.
Avverso detta sentenza, RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, con tre motivi, cui resiste il RAGIONE_SOCIALE di Sommacampagna con controricorso,
Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso .
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), e lett. f), cod. proc. amm., anche in relazione agli artt. 11 l. n. 241 del 1990 e 18, sesto comma, e 20 l. Reg. Veneto n. 44 del 1982, per essere stata disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
1.1. La ricorrente ritiene che la giurisdizione competa al giudice amministrativo sia perché rientrante nella sua giurisdizione esclusiva in quanto controversia relativa all’esecuzione di un accordo integrativo di provvedimento amministrativo, sia perché attinente alla materia urbanistica e edilizia.
1.2. Sotto il primo profilo deduce che il credito asseritamente vantato troverebbe la propria fonte nell’accordo dell’11 giugno 2010, integrativo della convenzione dell’8 febbraio 2008, stipulato ai sensi dell’art. 20 l. reg. Veneto n. 44 del 1982, destinat o ad essere recepito nell’autorizzazione regionale alla coltivazione della cava e di cui forma parte integrante.
Evidenzia che la controversia riguarderebbe non la mera pretesa economica ma lo stesso accordo e le clausole ivi contenute, rispetto alle quali si porrebbe l’esercizio della potestà amministrativa ai fini della determinazione ‘della spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori rispetto al mero ripristino dell’area’ e alla natura degli stessi interventi di ripristino e riutilizzazione delle aree interessate dall’attività di cava.
1.3. Sotto il secondo profilo deduce che anche l’attività estrattiva rientra nel campo dell’uso del territorio, sicché sussisterebbe la giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 133, lett. f), cod. proc. amm.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
2.1. Va premesso che, secondo i consolidati principi di queste Sezioni Unite, la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione compiuta dalla parte bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto in funzione della causa petendi , ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice
con riguardo ai fatti allegati (v. Sez. U., n. 23908 del 28/10/2020; Sez. U., n. 416 del 14/01/2020; Sez. U., n. 37466 del 21/12/2022).
Queste Sezioni Unite hanno anche di recente ribadito che «spetta al giudice ordinario la cognizione in ordine ad una controversia di cui all’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, del d.lgs. n. 104 del 2010 (c.p.a.), laddove riguardi solo questioni di carattere meramente patrimoniale fra le parti, che si pongono “a valle” rispetto alla conclusione dell’accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo e, pertanto, non hanno direttamente ad oggetto la conclusione dell’accordo né l’esercizio dei poteri autoritativi che l’accordo stesso sostituisce» (Sez. U, n. 20464 del 24/06/2022; Sez. U, n. 21650 del 28/07/2021).
Al riguardo, per consolidata giurisprudenza (v. per tutte Sez. U, n. 11867 del 18 giugno 2020 e la giurisprudenza ivi richiamata; da ultimo Sez. U, n. 25432 del 29 agosto 2023; v. in termini specifici su contributi per la coltivazione di cava Sez. U, n. 13903 del 24/06/2011) sono riservate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della pubblica amministrazione a tutela di interessi generali, mentre quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa della pubblica amministrazione sul rapporto concessorio sottostante, o quando investa l’esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone, e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’ an che sul quantum ), la stessa è attratta nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo.
2 .2. Nella vicenda in esame, l’originaria domanda del RAGIONE_SOCIALE di Sommacampagna riguardava il solo mancato pagamento delle
somme dovute a titolo di contributo in forza della convenzione del 2008 come integrata con l’atto dell’11 giugno 2010.
Le contestazioni introdotte da RAGIONE_SOCIALE per la declaratoria della nullità delle nuove clausole e degli stessi accordi del 2008 e del 2010 -sia come eccezione riconvenzionale che come domanda riconvenzionale -hanno tuttavia ampliato l’oggetto del giudizio, sì da ricomprendere la validità degli accordi integrativi dei provvedimenti amministrativi, che costituiscono pur sempre espressione della potestà discrezionale della pubblica amministrazione.
2 .3. Da ciò deriverebbe l’attrazione dell’intera controversia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tuttavia, ha carattere preliminare inquadrare la vicenda nell’alveo dei principi, più volte affermati da queste Sezioni Unite, in tema di ammissibilità della contestazione della giurisdizione ove sollevata dalla parte che ha proposto la domanda in giudizio.
3.1. Appare opportuno ripercorrere la vicenda processuale qui in rilievo pur già descritta nella parte in fatto.
Con la comparsa di costituzione e risposta depositata in primo grado (‘in data 31.10.2013’) SEI aveva chiesto fosse dichiarata ‘la nullità della convenzione dell’8.2.2008, e successiva integrazione dell’11.06.2010 per contrarietà a norme imperative … o per assenza/illiceità della causa’, con richiesta di dichiarare non dovute le somme richieste dal RAGIONE_SOCIALE e di restituzione di quelle già indebitamente percepite, e, in via subordinata e riconvenzionale di merito, ‘l’annullamento della convenzione integrativa dell’11.6.2010 … per vizio del consenso’ , con condanna della controparte al pagamento delle somme versate.
Ad una successiva udienza (quella del 14.2.2014, la seconda dopo la costituzione), peraltro, SEI sollevava eccezione di difetto di giurisdizione in relazione alla domanda così introdotta.
Il Tribunale di Verona, ritenuta la propria giurisdizione, rigettava la domanda riconvenzionale e accoglieva la pretesa del RAGIONE_SOCIALE.
La decisione, quindi, era impugnata innanzi alla Corte d’appello, deducendo, in primis , il difetto di giurisdizione per la contestata validità dell’accordo integrativo.
3.2. Orbene, occorre rilevare che il convenuto, rispetto alla domanda da lui formulata in via riconvenzionale, ha assunto la posizione sostanziale di attore; con la relativa proposizione ha, dunque, riconosciuto la giurisdizione del giudice adito.
Come sottolineato anche dal Procuratore Generale, i principi per cui l’attore, che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito, non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto (v. Sez. U, n. 21260 del 20/10/2016; Sez. U, n. 1309 del 19/01/2017; Sez. U, n. 22439 del 24/09/2018) sono sicuramente applicabili anche al convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale (v. in questa prospettiva Sez. U, n. 6281 del 04/03/2019, che precisa «la parte convenuta che abbia proposto domanda riconvenzionale (o, nel processo amministrativo, ricorso incidentale), rimasta non esaminata in quanto assorbita dal pieno rigetto nel merito della domanda principale, non è legittimata a proporre appello incidentale, eventualmente in via condizionata, contro il capo implicito della sentenza con cui il giudice adìto ha affermato la propria giurisdizione, in quanto tale parte, avendo a sua volta implicitamente invocato la giurisdizione del medesimo giudice spiegando domanda riconvenzionale, sul punto è risultata pienamente vittoriosa»).
Sul piano sostanziale egli, infatti, ha, rispetto alla domanda dal medesimo proposta, la stessa posizione dell’attore.
Già da tale considerazione deriva che l’impugnazione per motivi di giurisdizione non era proponibile né in appello, né, tantomeno, con ricorso per cassazione.
3.3. Appare peraltro opportuno precisare la questione.
3.4. Va preliminarmente rilevato che la proposizione di una domanda ad un determinato giudice è ontologicamente incompatibile con l’eccezione , avanzata dalla stessa parte, di difetto di giurisdizione del medesimo giudice adito sulla domanda e ciò sia se essa venga formulata contestualmente all’atto introduttivo (atto di citazione ovvero comparsa di risposta) sia, a maggior ragione, quando venga proposta in un momento successivo.
La parte, infatti, in tali ipotesi, chiede, allo stesso tempo, che il giudice affermi (domandando che il giudice accolga la sua pretesa sostanziale) e declini (reclamando che altro e diverso giudice esamini la sua pretesa) la propria giurisdizione, con un irresolubile contrasto.
Né si può ritenere -come reputa il Procuratore generale – che l’esame della domanda abbia una valenza solo subordinata rispetto all’esame e all’eventuale rigetto dell’ eccezione di difetto di giurisdizione : l’attore agisce in giudizio e propone la sua domanda per ottenere un bene della vita e non per ottenere una declinatoria della sua pretesa e ‘transitare’ ad un’altra giurisdizione.
La deduzione (anche) del difetto di giurisdizione accanto (e in relazione) alla (propria) domanda introdotta nel giudizio, in realtà, ove ritenuta validamente ed efficacemente posta, finisce per influire sulla stessa prospettazione del petitum della domanda (ossia, la concreta pronuncia che si chiede al giudice), reso incerto e aleatorio da una questione processuale, sollevata contra se , antitetica rispetto ai presupposti di fatto e diritto in base ai quali la domanda è stata proposta.
In realtà, l ‘ irresolubile contrasto tra la proposizione della domanda e la formulazione dell’eccezione di giurisdizione sulla medesima domanda ( da parte di chi l’ha fatta valere ), così dedotta nel giudizio, comporta che quest’ultima , lungi dal tradursi in una eccezione in senso proprio, non può che risolversi in una (mera) sollecitazione per il giudicante ad attivare i suoi poteri di rilievo officioso, trovando la sua composizione, dunque, nel potere-dovere del giudice adito, sancito dall’art. 37 cod. proc. civ., di valutare la propria potestas iudicandi .
Del resto, nel giudizio di primo grado ove, in capo alle parti, emerga un dubbio sulla giurisdizione, questo può essere utilmente -e tempestivamente -risolto con la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, deputato proprio a sciogliere il dubbio sulla titolarità della potestas iudicandi .
Non a caso il regolamento preventivo di giurisdizione è un rimedio non impugnatorio, senza limiti di legittimazione, diretto a una pronuncia panprocessuale.
Intervenuta, invece, la decisione di rigetto della domanda non è ravvisabile una soccombenza dell’attore anche sulla questione di giurisdizione: come sottolineato da Sez. U, n. 21260 del 20/10/2016, rispetto al “capo” relativo alla giurisdizione egli va considerato a tutti gli effetti vincitore, avendo il giudice riconosciuto la sussistenza del proprio dovere di decidere il merito della causa, così come sostenuto dalla stessa parte, che a quel giudice ha proposto la sua domanda.
In altri termini, nel giudizio di primo grado l’attore (e il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale), ove insorga il dubbio sulla giurisdizione per la domanda da lui proposta, ha la facoltà di proporre regolamento preventivo di giurisdizione, rilevando la relativa deduzione della questione nel giudizio solo come sollecitazione rivolta al giudice perché attivi i suoi poteri di rilievo officioso ex art. 37 cod.
proc. civ.; resta invece preclusa la proponibilità dell’appello per difetto di giurisdizione che, a differenza del regolamento di giurisdizione, è un rimedio impugnatorio diretto a una pronuncia endoprocessuale.
Né in ciò sussiste alcuna contraddizione: si può ben conservare l’accesso al giudice regolatore della giurisdizione e tuttavia vedersi precluso l’accesso al giudice di appello in ordine alla giurisdizione .
Come bene si è osservato, «l’una via (il regolamento preventivo) è consentita in ragione della posizione istituzionale della Suprema Corte, della forza esterna della sua pronuncia e dello specifico impatto che essa esercita sulla ragionevole durata del processo: una possibilità, d’altra parte, che all’attore è data non ad libitum, ma solo in presenza di ragionevoli dubbi sui limiti esterni della giurisdizione del giudice adito, quindi di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della quaestio da parte delle Sezioni Unite, in via definitiva ed immodificabile, onde evitare che la sua risoluzione in sede di merito possa incorrere in successive modifiche nel corso del giudizio, ritardando la definizione della causa, anche al fine di ottenere un giusto processo di durata ragionevole» (v. Sez. U, n. 27990 del 16/12/2013; Sez. U, n. 21260 del 20/10/2016; Sez. U, n. 3557 del 10/02/2017; Sez. U, n. 11576 del 11/05/2018; Sez. U, n. 12141 del 22/06/2020; Sez. U, n. 30712 del 18/10/2022).
Ne deriva che l’attore (e il convenuto in riconvenzionale) «non è legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che la potestas iudicandi spetta ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale: relativamente ad una tale pronuncia a contenuto processuale di segno positivo, non è configurabile, per l’attore,» -e per il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale – «soccombenza, che del potere di impugnativa rappresenta l’antecedente necessario; la soccombenza nel merito non
può essere trasferita sul (e utilizzata per censurare il) diverso capo costituito dalla definizione endoprocessuale della questione di giurisdizione, trattandosi di aspetto non destinato, per sua natura, a differenza di ciò che avviene con riguardo ad altre questioni pregiudiziali di rito, a condizionare l’efficacia e l’utilità stessa della decisione adottata» (Sez. U, n. n. 21260 cit.).
Alla luce dei principi esposti, resta preclusa la deduzione del difetto di giurisdizione con riguardo alla domanda riconvenzionale non solo nel giudizio d’appello, ma, a maggior ragione, con il presente ricorso.
Quanto all’originaria domanda del RAGIONE_SOCIALE di Sommacampagna la doglianza è infondata posto che viene in rilievo, pacificamente, solo l’adempimento di obbligazioni pecuniarie contrattualmente assunte con l’accordo integrativo del 4 giugno 2010, da cui la non riconducibilità della vicenda alle ipotesi regolate dall’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2), e lett. f), cod. proc. amm.
Per completezza, va pure considerato che le questioni inerenti il pagamento dei contributi a carico dei titolari di autorizzazione all’attività estrattiva sono state ritenute -sia pure con riferimento ai prelievi previsti dalle disposizioni di cui agli artt. 19 della l. Reg. Campania n. 1 del 2008 e 17 della l. Reg. Campania n. 15 del 2005 -di spettanza della giurisdizione ordinaria (con esclusione, in quel caso, della giurisdizione tributaria) in ragione del fatto « che tali contributi non sono collegati alla redditività dell’attività di gestione delle cave ma trovano la loro “ratio” nell’esigenza di indennizzare la collettività per i pregiudizi recati dallo sfruttamento del suolo all’ambiente circostante; pertanto, i predetti prelievi non svolgono, nei confronti del bilancio dell’ente territoriale, la funzione genericamente contributiva o commutativa di un servizio che caratterizza i tributi ma, piuttosto, quella di sollevare l’ente medesimo
dallo specifico onere finanziario di ripristinare le condizioni ambientali pregiudicate dall’attività di estrazione, così assumendo la natura di indennizzi posti a carico dei concessionari e dei titolari di autorizzazione per neutralizzare le conseguenze – nocive ma legittime -correlate all’attività produttiva svolta » (Sez. U, n. 1182 del 21/01/2020; v. anche Corte cost. n. 89 del 2018).
Pur a fronte della diversità delle vicende, traendo il contributo nella vicenda qui in giudizio la sua fonte dal rapporto contrattuale e non direttamente dalla disposizione normativa, non va trascurato che la ratio che presidia la prestazione è la medesima in entrambe le ipotesi, restando la pretesa riconducibile, anche per questo profilo, alla sfera dei diritti soggettivi, sindacabili dal giudice ordinario (v. anche la già citata Sez. U., n. 18045 del 02/07/2008, relativa a pretesa derivante da convenzione).
5 . Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ. anche in relazione agli artt. 3, 23 e 97 Cost. e agli artt. 18 e 20 l. Reg. Veneto n. 44 del 1982.
5 .1. Ritiene la ricorrente che l’atto solo apparentemente e sul piano meramente formale aveva natura negoziale, integrando, invece, un atto autoritativo, posto che, in realtà, la società, per poter esercitare l’attività di cava, non poteva che accettare il suddetto accordo, sicché il RAGIONE_SOCIALE aveva imposto un contributo aggiuntivo in misura lesiva dei principi costituzionali di uguaglianza, capacità contributiva e di concorrenza e, comunque, in misura difforme dalla tariffa stabilita dalla Regione Veneto.
Il motivo è inammissibile.
5.1. Va disattesa in primo luogo la prospettata qualificazione del contributo -che traspare dalla formulazione del motivo e nell’asserita violazione del principio di capacità contributiva -come di natura
tributaria, radicalmente esclusa sia dalla Corte costituzionale (già con la sentenza n. 387 del 1990, poi ribadita con la sentenza n. 89 del 2018), sia da questa Corte (v. Sez. U, n. 1182 del 21/01/2020; v. anche Cass. n. 6364 del 25/02/2022), il quale, invece, assolve all’esigenza affermata anche dall’art. 20 l. Reg. Veneto n. 44 del 1982 -di « sollevare l’ente medesimo dallo specifico onere finanziario di ripristinare le condizioni ambientali pregiudicate dall’attività di estrazione ».
5.2. In secondo luogo, l’obbligo della società non trae origine da un atto autoritativo ma da un accordo negoziale, stipulato dopo l’autorizzazione alla coltivazione della cava e giustificato proprio dalla necessità, per la conformazione dei luoghi, di realizzare particolari necessari interventi, tra cui una nuova strada di accesso e recesso in conseguenza degli interventi estrattivi.
Neppure è condivisibile l’asserzione che la società non avrebbe avuto alternative alla sottoscrizione dell’accordo integrativo: l’attività estrattiva era già autorizzata ed era assistita da una convenzione.
È evidente che le contestazioni del RAGIONE_SOCIALE sull’inadeguatezza di tale regolamentazione, portate nelle sedi giudiziali (e risolte a suo favore), non costituivano certamente un atto costrittivo della volontà, né erano declinabili come atto autoritativo od esercizio di potestà pubbliche.
Lo stesso art. 20, d’altra parte, prevede che, in caso di dissenso « fra il RAGIONE_SOCIALE o i Comuni interessati e il richiedente dell’autorizzazione o della concessione in ordine al contenuto della convenzione di cui al primo comma, il richiedente può, con istanza presentata al presidente della Provincia, chiedere che la Giunta provinciale provveda d’ufficio, sentiti il RAGIONE_SOCIALE o i Comuni interessati. In tal caso la presentazione di un atto unilaterale col quale il richiedente assume gli obblighi stabiliti d’ufficio dalla Giunta
provinciale sostituisce la convenzione », da cui l’obbiettiva configurabilità di modalità e strumenti alternativi.
5.3. In ogni caso, la lamentata violazione dei parametri per la determinazione del contributo è, in sé, inammissibile per carenza di specificità, neppure essendo indicati quali essi siano e in quale misura siano stati violati.
Occorre comunque osservare che il disposto della legge regionale neppure osta – ove, come accertato dal giudice di merito, ricorrano le condizioni per le caratteristiche del sito e l’incisività dell’intervento -che le parti possano concordare anche un adeguamento della contribuzione così da rendere compatibile con le condizioni ambientali l’attività estrattiva, tanto più che quest’ultima era stata ampliata con la successiva deliberazione regionale del 15 maggio 2011.
5.4. Inammissibile infine è anche la denunciata violazione dei principi di uguaglianza e di concorrenza, neppure confrontandosi il motivo con la sentenza impugnata, che ne aveva escluso la violazione « stante la diversità di posizione esistente fra la società RAGIONE_SOCIALE e gli altri cavatori operanti nella zona »
6 . Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 20 l. Reg. Veneto n. 44 del 1982, 1343, 1325 e 1418 cod. civ.
6 .1. La società deduce la nullità dell’accordo per mancanza o illiceità della causa posto che essa è normativamente stabilita nella necessità della pubblica amministrazione di ottenere risorse idonee a coprire, nella misura stabilita dalla tariffa, la spesa per gli interventi pubblici imposti dalla presenza della cava, mentre nella specie il maggior contributo sarebbe stato avulso da tale causa, risolvendosi in un conferimento a titolo gratuito, di natura sostanziale di donazione.
Il motivo è infondato.
7.1. Come già sopra evidenziato, la Corte d’appello ha accertato che l’atto integrativo del 2010 riponeva il suo fondamento concreto nelle medesime ragioni del contributo previsto dalla convenzione del 2008 e individuate dalla legge regionale « per gli interventi pubblici ulteriori rispetto al mero ripristino dell’area » e « per la realizzazione di interventi e di opere connesse al ripristino ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate dall’attività di cava » in quanto funzionale a « rendere compatibile l’attività estrattiva oggetto di ampliamento … con le condizioni ambientali » e, specificamente, « per realizzare interventi necessari per consentire la coltivazione della cava e quindi di effettuare una nuova strada di accesso e recesso dalla cava ».
7.2. Non sussiste, pertanto, l’asserita mancanza od illiceità della causa.
La peculiarità delle questioni trattate, che presentano profili di novità, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/11/2023.