SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1226 2025 – N. R.G. 00001466 2022 DEPOSITO MINUTA 27 07 2025 PUBBLICAZIONE 11 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BARI -SECONDA SEZIONE CIVILE-
La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, riunita in camera di
consiglio e composta dai magistrati NOME COGNOME presidente NOME COGNOME consigliere NOME COGNOME consigliere relatore ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 1466 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2022
tra e elettivamente domiciliati in Santeramo in Colle, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che li rappresentano e difendono, giusta procura in atti ————————————————-
————————————————————– appellanti principali
e
, elettivamente domiciliato in Santeramo in Colle, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti ————————————————————————————–appellato elettivamente domiciliata in Bari, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, giusta procura in atti ———————————————————————————————–appellata ed appellante incidentale
Conclusioni : all’ udienza del 7 marzo 2025, i difensori delle parti hanno concluso come da rispettive note scritte.
Svolgimento del processo
Con ricorso per accertamento tecnico preventivo, i coniugi e hanno chiesto accertarsi il danno subìto in conseguenza dei difetti di fabbricazione della cucina acquistata da
Dichiarata la nullità della consulenza tecnica a firma del geom.
, ne è stata espletata una seconda, che ha, in effetti, accertato il difetto di fabbricazione del prodotto venduto dalla società resistente. Nel corso del procedimento per a.t.p., è stata anche respinta l’istanza proposta dallo , di revoca dell’ordinanza dichiarativa della nullità della sua relazione di a.t.p., mentre la regolazione delle spese è stata rimessa alla definizione del giudizio di merito.
Con sentenza n. 1699/22 del 29.4.22, il Tribunale di Bari ha accolto la domanda risarcitoria proposta dai coniugi e nei confronti di e condannato la convenuta al pagamento di €9.370,00, oltre interessi dalla liquidazione e spese giudiziali.
Con citazione del 25.10.22, hanno proposto appello avverso la sentenza e , chiedendo riconoscersi l’iva sull’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno, oltre gli interessi legali dalla data di deposito della relazione di a.t.p., ed una diversa quantificazione delle spese di lite (comprese quelle del procedimento di a.t.p.), non ritenendo congrua quella operata dal Tribunale.
Si è costituita la quale ha chiesto il rigetto dell’appello e proposto appello incidentale per sentirsi respingere l’altrui domanda.
Invitate le parti alla precisazione delle conclusioni, la causa, all’udienza del 7.3.25, è stata trattenuta in decisione, con termini ex art. 190 cpc per il deposito di conclusionali e repliche.
Motivi della decisione
Dovendo seguire nella trattazione dei motivi di appello un ordine rigorosamente logico-giuridico, è bene partire dall’ appello incidentale , col quale si mette in discussione il fondamento della decisione di accogliere la domanda di risarcimento del danno. In particolare, l’appellante sostiene la nullità della c.t.u. espletata in primo grado, dolendosi che il perito non abbia risposto alle sue osservazioni e censurando l’accertamento tecnico in quanto non supportato da ragioni scientifiche, oltre che inficiato da errori metodologici, i quali avrebbero inciso anche sull’esatta quantificazione del danno.
La censura è nel complesso infondata.
Il c.t.u. arch. ha puntualmente esaminato e confutato le osservazioni del consulente della società appellante (cfr. ‘Relazione di replica alle osservazioni’), evidenziando che l’ingiallimento della cucina non era dovuto all’irraggiamento solare, come eccepito dalla
bensì ad un errore della fase di produzione del mobilio, non eseguita a regola d’arte.
In particolare, secondo il c.t.u.: ‘ la variazione cromatica succitata è apparsa così evidente che lo scrivente ritiene di non annoverarla nella normale alterazione cromatica che il legno subisce gradualmente nel corso del tempo, considerando anche il fatto che l’oggetto in causa è soggetto maggiormente e preponderatamente alla luce naturale solare diffusa che a quella diretta La variazione cromatica subita dalla cucina non può riferirsi solo alla semplice esposizione ai raggi solari, o ‘unicamente per via del naturale viraggio del tannino contenuto nel legno, ossidato dall’irraggiamento solare’, ma è il risultato di qualche esecuzione nelle varie fasi, descritte nelle schede tecniche della (Stoccaggio – Campo di Applicazione -Modalità di Impiego – Incollaggio con colle ureiche – Incollaggio con colle Viniliche – Carteggiatura Verniciatura – Imballaggio), non perfettamente eseguite dalla ‘ A questo punto è opportuno rilevare che quanto visionato non può ritenersi una caratteristica naturale del materiale utilizzato, bensì il frutto della non corretta esecuzione a regola d’arte del manufatto in quanto, pur ipotizzando la buona fede nell’esecuzione delle lavorazione da parte di non si può escludere che, nelle varie fasi del trattamento, dall’incollaggio alla verniciatura superficiale del manufatto, qualche fase non sia stata eseguita a regola d’arte. Infatti, si ribadisce che se è pur vero che il legno, protetto da finiture contro l’alterazione di colore (foto-degradazione), può presentare o subire nel tempo leggere variazioni o differenze di colore, in questo caso si è assistito ad una totale e consistente variazione cromatica (V. All.to 6: Foto da n. 1 a n. 17), da attribuirsi certamente ad un difetto di realizzazione , né tantomeno si può attribuire la colpa all’alto grado di soleggiamento e luminosità, visto che i mobili oggetto di causa sono all’interno (non all’esterno) dell’ambiente cucina-living , come già detto, di circa mq 38,00 con due porte-finestra di superficie illuminante pari a circa mq 3,70 ciascuna, (V.All.to 5: ), (V. All.to 6:Foto nn.6-18) ‘ (Cfr. pgg. 14-16 relazione arch. ; ‘ I prodotti vernicianti suddetti se non vengono applicati a regola d’arte possono provocare l’alterazione del colore del legno per azione fotodegradante, ciò confermata come intensità di variazione del colore, nel caso in questione, su uno stesso elemento della cucina, da una parte all’altra della sua area superficiale, che ne avvilisce esteticamente l’aspetto, potendo definire non normali tali variazioni di colore (V. All.to 6 della relazione peritale: foto) evidentemente l’applicazione delle vernici protettive agli UV (una delle fasi del processo di fabbricazione) non ha protetto adeguatamente dall’alterazione del colore ‘ (cfr. perizia integrativa, pgg. 1-2).
In definitiva, il c.t.u. non solo ha escluso che l’ingiallimento della superficie del manufatto potesse essere stato causato dall’irraggiamento solare, essendo l’alterazione cromatica troppo evidente, anche tenuto conto del tempo e del tipo di esposizione dei mobili ai raggi solari (non diretta), ma lo ha attribuito ad un errore nelle varie fasi del trattamento, dall’incollaggio alla verniciatura superficiale, non eseguiti a regola d’arte.
Tali conclusioni, in quanto supportate da un solido percorso motivazionale oltre che da evidenze fattuali documentate, meritano di essere integralmente recepite.
Altrettanto è a dirsi per la quantificazione del danno, tutt’altro che abnorme, avendo il c.t.u. compiutamente dato conto delle singole voci di costo necessarie al ripristino dei mobili, che, peraltro, coincidono appieno con gli importi stimati dall’arch. nel giudizio di a.t.p.
Venendo all’ appello principale , col primo motivo si censurano sia l’omesso riconoscimento dell’iva sull’importo (di €9.370,00) liquidato a titolo di risarcimento del danno, e corrispondente alla somma necessaria per la riparazione del bene, sia l’errata decorrenza degli interessi legali sulla medesima somma, in quanto calcolati dalla pubblicazione della sentenza, anziché dalla data del 6.6.16 di deposito della relazione di (a firma dell’arch. che ha accertato il danno.
Le censure sono entrambe fondate.
Quanto al primo profilo, deve farsi applicazione del principio secondo cui il risarcimento del danno patrimoniale, se liquidato in base alle spese da affrontare per riparare un bene, si estende agli oneri accessori e conseguenziali e, quindi, comprende anche l’i.v.a., pur se la riparazione non sia ancora avvenuta, e senza che il danneggiato fornisca la prova della soggezione del riparatore all’imposta, trattandosi di un obbligo previsto direttamente dalla legge per i titolari di partita i.v.a. Così come, qualora si voglia escludere il diritto al rimborso dell’i.v.a. dal quantum risarcitorio, adducendo che il danneggiato abbia diritto alla sua detrazione, l’onere della prova di tale circostanza non può essere posto a carico del danneggiato, in quanto fatto negativo (Cass. 26907/24; 22580/22; 1688/10; 10023/97).
Riguardo poi alla decorrenza degli interessi, bisogna partire dal presupposto che l’obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce debito di valore, e non di valuta (Cass. 9517/02; 11937/97), sicché al danneggiato spettano di pieno diritto gli interessi aventi natura compensativa (Cass. 5584/1987; 2240/1985), intesi come strumento per compensare il creditore del lucro cessante in
dipendenza del ritardo nel conseguimento materiale della somma dovuta a titolo di risarcimento (Cass. n. 11937/02), da calcolarsi sin dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso (v. Cass. 1627/22; 29830/18; 8766/18; 5054/09).
La sentenza va, dunque, riformata nella parte in cui ha ritenuto che gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno costituito dalle spese occorrenti per le riparazioni decorrano dalla pubblicazione della sentenza, perché, invece, trattandosi di debito di valore, gli interessi si computano dal giorno della verificazione del danno, che, nel caso di specie, si era già sicuramente manifestato alla data del 6.6.16 di deposito della relazione peritale nel giudizio di a.t.p.
Col secondo motivo di appello si critica l’omessa liquidazione delle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte.
La censura va respinta, non avendo gli appellanti dato prova di aver sostenuto un esborso per la redazione della consulenza tecnica di parte: l’unico documento prodotto è costituito dalla fattura pro forma del c.t.p., che, però, non offre alcuna certezza circa l’effettivo pagamento in favore del professionista (cfr. all. 3, note conclusive, fascicolo primo grado parte ricorrente).
Ciò in applicazione del costante orientamento della Suprema Corte secondo cui, ‘in tema di spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, non è possibile disporre la condanna del soccombente al pagamento delle stesse in mancanza di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi escludere che l’assunzione dell’obbligazione sia sufficiente a dimostrare il pagamento ‘ (in termini, Cass. 21402/22).
Col terzo e sesto motivo di appello, da trattarsi congiuntamente per via della loro stretta connessione, si censurano l’errata quantificazione in €800,00, anziché in €7.881,05, delle spese del subprocedimento instaurato dallo , nell’ambito del giudizio per a.t.p. (n.r.g. 9792/15), e l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
Entrambe le censure sono infondate.
La somma di €800,00 liquidata dal Tribunale è ampiamente superiore a quella dovuta applicando i parametri minimi previsti dal D.M. 55/2014 all’epoca vigente per i procedimenti di istruzione preventiva in riferimento allo scaglione sino a €5.200,00, corrispondente al credito controverso (pari alla somma di €1.644,68 che sarebbe spettata allo
se la sua consulenza non fosse stata dichiarata nulla), ovvero €685,79 (€100,00 per studio; €135,00 per fase introduttiva; €235,00 per fase istruttoria, oltre gli accessori di legge), tenuto conto della semplicità delle questioni trattate e del limitato impegno profuso, ed esclusa la maggiorazione – peraltro discrezionale, e non obbligatoria – per la presenza di più parti (Cass. 25231/24), data l’identità della posizione difensiva degli odierni appellanti.
Va, inoltre, respinta la domanda ex art 96 c.p.c., in mancanza di prova di dolo o colpa grave da parte dello , tanto più alla luce della sua immediata disponibilità ad offrire il pagamento delle spese giudiziali in misura pari a quella poi liquidata dal giudice.
Col quarto motivo di appello si censura la liquidazione (in €1.315,00) delle spese del giudizio di accertamento tecnico preventivo, ritenuta ingiusta per mancata applicazione dei valori medi (del D.M. 55/2014) e della maggiorazione prevista nel caso di assistenza di più parti.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Intanto va osservato che il giudice di prime cure ha esattamente valutato l’attività concretamente svolta dal difensore e deciso di applicare, per la semplicità delle questioni trattate, i parametri minimi.
Quanto alla maggiorazione, deve ancora una volta ribadirsi, anche alla stregua del citato pronunciamento della S.C. (Cass. 25231/24), che ‘ l’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 riconosce la facoltà, e non l’obbligo, per il giudice di riconoscere la maggiorazione del 20% del compenso nel caso di assistenza di più parti. Trattandosi di facoltà, nessun obbligo sussiste, in capo al giudice di merito, di applicare l’incremento, anche in presenza di controversie complesse. La valutazione demandata al giudice di merito, infatti, è finalizzata ad individuare il compenso in concreto adeguato all’attività effettivamente svolta dall’avvocato’.
Orbene, anche a tal riguardo la valutazione del giudice è adeguata all’attività effettivamente svolta dal difensore, tenuto conto che le posizioni processuali delle parti ricorrenti erano le medesime ed anche le questioni poste.
Col quinto motivo di appello si denuncia l’errata quantificazione delle spese del giudizio di merito, deducendo che queste andassero liquidate in misura pari a €7.881,05, in applicazione dei valori medi nonché della maggiorazione del 30 % per la presenza di più parti e di quella del 33% per la manifesta fondatezza delle ragioni della parte vittoriosa.
Anche questo motivo è infondato e va rigettato.
La maggiorazione del 33% per la manifesta fondatezza delle ragioni della parte vittoriosa non è dovuta, essendo stato necessario l’espletamento di un a.t.p. e di una c.t.u. per accertare le cause dell’ingiallimento dei mobili, prima di quel momento non sussistendo un’evidenza del diritto degli appellanti al risarcimento.
Quanto all’altra maggiorazione (del 30 % per la difesa di più parti), anche in questo caso il Tribunale ha giustamente ritenuto di non applicarla in considerazione dell’attività svolta dall’avvocato degli attori, il quale ha svolto la medesima difesa per entrambi, attesa la loro identica posizione processuale.
La quantificazione di €4.300,00 appare, dunque, corretta, scaturendo dalla applicazione dei valori medi, tranne per le prime due fasi, tenuto conto che sono state proposte le medesime domande e questioni del giudizio di sì da semplificare notevolmente le attività di studio e di introduzione della lite.
Col settimo motivo di appello si censura il rigetto della domanda ex art. 96 cpc.
La censura è infondata.
Va anzitutto osservato che la condanna ex art. 96 c.p.c. presuppone la mala fede o colpa grave della parte. L’istituto è, infatti, volto a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte.
Ne consegue che, per la condanna ex art. 96 cpc, è ‘necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale
infondatezza dei motivi di impugnazione ‘ (Cass. Sez. Unite n. 22405 del 13.9.2018).
Ebbene, nel caso di specie, mancano i presupposti per affermare la mala fede o colpa grave della società appellata, la quale ha giustamente sollecitato l’espletamento di una c.t.u., poi in effetti disposta dal Tribunale, conseguendo, peraltro, una riduzione della stima del danno grazie alle osservazioni del proprio c.t.p. (cfr. c.t.u. integrativa, pag. 4: ‘ lo scrivente ammette la svista nella lettura delle fatture allegate ‘).
Non solo.
Per giurisprudenza costante, ‘ il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato “in re ipsa”, ma deve essere provato secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto’. Ne consegue, pertanto, che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico (Cass. 28742/18).
A tale onere non hanno, invece, assolo gli appellanti, i quali si sono limitati ad affermare di aver subìto un danno non patrimoniale, per via del malessere provocato dall’ingiallimento dei mobili, senza neppure allegare quali disagi avrebbero realmente subito.
Le spese giudiziali, da liquidarsi in dispositivo (secondo i parametri minimi del DM 147/22, per la particolare semplicità delle questioni trattate, con riferimento a tutte le fasi quanto all’appello nei confronti dello e limitatamente alle prime due fasi nei rapporti con , seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Bari, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da e , con citazione del 25.10.22, avverso la sentenza n. 1699/22 del 29.4.22 emessa dal Tribunale di Bari, nonché sull’appello incidentale proposto da così provvede:
1.
in parziale accoglimento dell’appello proposto da e nei confronti di condanna al pagamento di €9.370,00, oltre iva (come per legge) e interessi legali sulla somma finale dal 6.6.16 al saldo;
rigetta l’appello proposto da e nei confronti di ;
rigetta l’appello incidentale;
condanna a rimborsare ad ed le spese giudiziali, liquidate per il giudizio di a.t.p. in €1.505,56 (di cui €190,56 per esborsi), per il giudizio di primo grado in €4.684,84 (di cui €384,84 per esborsi) e per l’appello in €4.782,00, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, da
a distrarsi in favore dell’avv. antistatario NOME COGNOME;
condanna e in solido, a rimborsare a le spese del presente grado di giudizio, liquidate in €2.906,00, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge;
pone le spese di a.t.p. e c.t.u. (nella misura liquidata dal Tribunale) definitivamente a carico di
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, co. 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello a norma del comma 1 bis dello stesso articolo. Così deciso, nella camera di consiglio del 16 luglio 2025.
Il consigliere estensore Il presidente NOME COGNOME Filippo COGNOME