Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14390 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso 31515/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, e con il medesimo elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
Pec:
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME pec:
NOME
-controricorrente –
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14390 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
avverso la sentenza n. 3811/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 09/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. NOME COGNOME, con atto di citazione notificato in data 30/12/2008, convenne in giudizio avanti al Tribunale di Benevento la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) allegando di aver acquistato in data 22 maggio 2008 una autovettura BMW per il prezzo di € 25.000,00, e di aver subìto molteplici danni in conseguenza di detto acquisto, in parte imputabili ai ritardi nella consegna dei documenti di circolazione, in parte a spese sostenute sia per una riparazione resasi necessaria nell’immediatezza dell’acquisto sia per il ‘tagliando’ , spese che avrebbero dovuto essere coperte dalla garanzia, in parte dovute alla rottura del motore durante una vacanza estiva ed imputabili al costo della riparazione di un difetto di conformità del prodotto ai sensi del D.lgs. n. 206 del 6/9/2005 (Codice del Consumo) e ai danni esistenziali derivanti dalla temporanea indisponibilità del mezzo e alla necessità di far ricorso a vetture sostitutive;
la società RAGIONE_SOCIALE nel costituirsi in giudizio eccepì la non debenza delle somme o perché non versate o perché non dovute o perché corrispondenti a spese necessitate da un evento accidentale non riconducibile ad un difetto di conformità del veicolo, quale la rottura del motore;
il Tribunale di Benevento, con sentenza pubblicata in data 11/4/2016, esaminate tutte le domande, ritenne di accoglierle solo limitatamente alle spese sostenute per il costo del noleggio di vetture sostitutive per € 350,00 , spesa necessitata dalla indisponibilità del mezzo acquistato per difetti di conformità;
a seguito di appello principale del COGNOME ed incidentale della società RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3811
pubblicata in data 9/11/2020, ha parzialmente accolto il gravame principale ritenendo mancare nella sentenza di primo grado una specifica motivazione di rigetto in ordine alla domanda di rimborso delle spese sostenute per il costo della riparazione del l’auto , oltre che per il costo del materiale di consumo, domanda tempestivamente attivata dall’attore ai sensi del Codice del Consumo e ritenuta fondata; ha confermato la sentenza di primo grado quanto alla debenza delle spese per i veicoli sostitutivi del bene, rigettando l’appello incidentale ; ha condannato la società soccombente a pagare al COGNOME le spese del doppio grado del giudizio liquidandole in base al valore della controversia parametrata al decisum e a tutti gli altri parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014 n. 55;
avverso la sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;
ha resistito il COGNOME con controricorso;
il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi de ll’art. 380 -bis. 1 c.p.c.
entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. – la ricorrente lamenta che la corte territoriale, interpretando la domanda dell’attore, abbia riconosciuto all’appellante le spese sostenute per i materiali di con sumo (olio del cambio e del motore, del liquido dei freni, del filtro del motore, del gas e dell’aria ) pur in assenza della rituale domanda di ripetizione, e dunque, anziché contenere la propria decisione sulla sola domanda risarcitoria avanzat a dall’appellante, abbia esteso la proposta azione ad un’altra, diversa per petitum e causa petendi, di rimborso delle spese dovute per il ‘tagliando completo’; la domanda restitutoria in
alcun modo poteva essere ricompresa in quella risarcitoria per diversità del petitum e della causa petendi ;
il motivo è infondato;
l a Corte d’Appello dà atto (p. 2) che l’attore ha, fin dall’atto introduttivo del giudizio, chiesto di ottenere non solo il risarcimento del danno derivante da difetto di conformità del prodotto ma anche la restituzione delle spese sostenute, ivi comprese quelle dovute per ‘gli altri interventi che avrebbero dovuto essere ricompresi nel tagliando, da effettuarsi a spese della venditrice’; in secondo luogo che con l’atto di appello (p. 5) ha impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui non aveva r iconosciuto ‘il risarcimento delle fatture pagate’ ; ciò premesso, la corte a proposito di una delle fatture pagate dall’attore osserva (p. 8): ‘La medesima fattura, peraltro documenta l’esecuzione di altri interventi dell’autofficina di Pompei, precisamente la sostituzione dell’olio del cambio e del motor e, del liquido dei freni, dei filtri del motore, del gasolio e dell’aria nonché del separatore olio, che appaiono riconducibili alla manutenzione ordinaria del veicolo, quindi all’obbligo convenzionale assu nto dalla venditrice con la formula ‘tagliando completo’ annotata nel contratto inter partes, interamente saldato dal COGNOME che va rimborsato all’appellante dalla società convenuta, in forza dell’obbligo negoziale assunto al momento della compravendita’;
da quanto esposto si evince che non vi è alcun difetto di motivazione né alcun vizio di ultrapetizione pure prospettato dall’appellante per avere la corte riconosciuto le spese per il tagliando in assenza di una domanda di restituzione, distinta da quella risarcitoria; occorre peraltro considerare che l’inter pretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito, sicché non è deducibile la violazione dell’art. 112 c.p.c., quale errore
procedurale rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il predetto giudice abbia svolto una motivazione sul punto, dimostrando come la questione sia stata ricompresa tra quelle oggetto di decisione, attenendo, in tal caso, il dedotto errore al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass., 3, n. 27181 del 22/9/2023) ; ‘ L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicché, in tal caso, il dedotto errore non si configura come ” error in procedendo “, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass., 2, n. 1545 del 27/1/2016)’ ;
con il secondo motivo di ricorso -omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, co mma 1 n. 5 c.p.c.- la ricorrente impugna la sentenza nella parte in cui il giudice d’appello, accogliendo la domanda di risarcimento, ha valorizzato l’avvenuta rottura e distacco di un pezzo delle farfalle deviatrici di flusso montate nel collettore di aspirazione, finito nel quarto cilindro del motore, ma ne ha erroneamente ritenuto la natura di vizio di conformità, occupandosi di considerare se la sua rilevazione da parte dell’attore fosse stata tempestiva, senza considerare che, trattandosi di ‘rottura meccanica’ non avrebbe dovuto ritenere vigente la presunzione di responsabilità di cui all’art. 132, terzo co mma del Codice del Consumo, trattandosi di un danno incompatibile con il vizio di conformità;
il motivo è infondato;
la corte di merito non ha omesso l’esame del fatto decisivo costituito dall ‘avvenuto blocco del motore né ha escluso che ciò potesse derivare da una ‘ rottura meccanica ‘ sopravvenuta ma ha ritenuto che la ‘rottura meccanica’ non fosse affatto incompatibile con un vizio di conformità del prodotto evidenziatosi entro i sei mesi dalla consegna del bene, con la conseguente presunzione di responsabilità in capo alla venditrice ai sensi dell’art. 132, terzo comma del Codice del Consumo ; secondo la corte, essendo provata e neppure discussa tra le parti la rottura del motore per rottura e distacco di un pezzo di una delle farfalle deviatrici di flusso montate nel collettore di aspirazione finito nel quarto cilindro del motore, ed essendo sufficiente l’alle gazione del difetto di conformità per stabilire la presunzione di responsabilità in capo al venditore, essendosi il difetto evidenziatosi entro i sei mesi dalla consegna, la presunzione non è stata vinta da alcuna prova contraria che la società RAGIONE_SOCIALE neppure ha chiesto di offrire e che, comunque, non risulta acquisita agli atti di causa;
questa statuizione è conforme al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui la responsabilità per violazione del Codice del Consumo è una responsabilità presunta (Cass., 3, n. 29828 del 20/11/2018; Cass., n. 11317 del 7/4/2022), in base alla quale grava sul danneggiato la sola allegazione dell’ inesatto adempimento, del difetto del bene e del nesso causale tra il difetto e il danno ovvero della presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all’uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un’obbligazione di risultato ed in forza del principio della riferibilità o vicinanza della prova, l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene;
ne consegue che, solo ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l’esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass., 3, n. 21927 del 21/9/2017; Cass., 2, n. 20110 del 2/9/2013); la corte di merito, anche là dove afferma che si applicano con priorità le norme del Codice del Consumo, è conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui ‘ Nell’attuale assetto normativo della compravendita, ove ricorrano i presupposti individuati dall’art. 128 del D.lgs. n. 206 del 2005 e, dunque, si tratti di vendita di “beni di consumo” (intendendosi per tale “qualsiasi bene mobile”) operata da un soggetto qualificabile in termini di “venditore” alla stregua di tale disciplina speciale (e, cioè, “qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1”), trovano applicazione innanzitutto le norme del codice del consumo, potendosi ricorrere a quelle fissate dal codice civile solo per quanto ivi non previsto ‘ ( Cass., 2, n. 13148 del 30/6/2020, Cass., 3, n. 14775 del 30/5/2019);
con il terzo motivo di ricorso -violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 91 c.p.c. e 4 d.m 10/3/2014 n. 55 -la ricorrente impugna la statuizione di condanna alle spese del doppio grado sostenendo che, ai fini dell’individuazione dello scaglione tariffario applicabile per ciascun grado di giudizio, il giudice avrebbe dovuto tenere conto dell’effettivo valore della controversia e non del valore della domanda, secondo quanto prescritto da questa Corte con la ordinanza Cass., n. 15857 del 2019; in altri termini avrebbe dovuto tener conto, per il primo grado, del valore riconosciuto in favore del COGNOME e per l’appello, ugualmente il valore effettivamente riconosciuto, detratto quanto ottenuto dal COGNOME nel giudizio davanti al Tribunale,
senza tenere della domanda riconvenzionale in appello, cioè dell’appello incidentale ;
il motivo è inammissibile, in quanto n violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c. non la ricorrente non riporta debitamente nel ricorso quanto posto a base della mossa impugnazione, e d’altro canto, pur dando atto della necessità di integrare la motivazione della sentenza con il dispositivo, e pur dichiarando di impugnare anche la statuizione relativa alla debenza delle somme dovute per il ‘tagliando’, e dunque per ulteriori € 865 ,00 rispetto all’importo d ichiaratamente liquidato dal giudice d’appello, non tiene conto delle premesse da essa stessa poste per calcolare il valore del decisum complessivo che avrebbe dovuto ricomprendere anche le somme riconosciute in motivazione e non riportate nel dispositivo;
all’ inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso;
le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente COGNOME, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.500,00, di cui euro 1.300,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza