Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23440 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23440 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29380/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec dei difensori;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 616/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 12/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Brescia RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, dalla quale aveva acquistato un appartamento con relativa autorimessa in Erbusco, INDIRIZZO (mappali nn. 336 sub 2 e sub 4), lamentando che il compendio immobiliare aveva manifestato gravi vizi, siccome constatato dal consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo. Chiese, pertanto, che la società convenuta fosse condannata al pagamento dell’importo di € 40.676,09, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, nonché al pagamento dell’ulteriore importo , da determinarsi in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali causati dallo stress e dal disagio psico-fisico subiti in dipendenza dei fatti narrati.
1.1. La società convenuta chiese il rigetto della domanda attorea asserendo che i vizi esposti non sarebbero stati riconducibili al proprio operato e, in ogni caso, non sarebbero stati riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 1669 cod. civ., e , comunque, eccepì prescrizione e/o decadenza dalla garanzia, oltre che l’inammissibilità dell’azione per intervenuta accettazione dell’opera.
1.2. Il Tribunale di Brescia, all’esito dell’istruttoria, accolse la domanda attorea, rigettando per converso la prospettazione e tutte le eccezioni della società convenuta.
La Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che nel resto confermò, respinse la domanda di risarcimento del danno proposta da NOME COGNOME limitatamente all’ammontare di talune fatture per complessivi € 6.393,00 oltre accessori , non essendo rimasto provato che l’esborso fosse da mettere in relazione ai vizi denunciati, nonché la domanda di risarcimento di danno biologico.
2.2. Questi, in sintesi, gli argomenti della sentenza per quel che qui possa ancora rilevare:
non poteva essere condivisa la tesi della società appellante secondo cui il difetto di un elemento della costruzione, che abbia una funzione decorativa, e non strutturale, dovrebbe per ciò solo ritenersi estraneo all’area dei gravi difetti di costruzione di cui all’art. 1669 cod. civ.
-a tal riguardo doveva considerarsi quale grave difetto di costruzione il vizio riscontrato dal c.t.u. nominato in sede di accertamento tecnico preventivo, con riguardo allo sgretolamento del rivestimento in pietra del muro esterno. In ordine a tale vizio non poteva operare l’invocata declaratoria di decadenza poiché esso era stato per la prima volta accertato proprio dal c.t.u.; di conseguenza doveva essere confermato per tale titolo il risarcimento del danno, quantificato dal primo Giudice in € 9.432,80;
per quanto atteneva gli ulteriori vizi riscontrati (ammaccatura di una punta della recinzione e di un pluviale, impianto citofonico, fissaggio fotocellule), pur non trattandosi di gravi difetti di costruzione, bensì semplicemente di danni, dovevano essere comunque risarciti ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 cod. civ.; -all’esercizio dell’azione di responsabilità di cui all’art. 1669 cod.
<> ;
non poteva, altresì, considerarsi accettazione dell’opera , con rinuncia alla garanzia, la sottoscrizione da parte del Torcoli del verbale di consegna del manufatto;
infine, essendo pacifico che nei mesi successivi alla stipulazione del rogito l’impresa ave va effettuato gli interventi di riparazione necessari per porre rimedio alle infiltrazioni e per consentire l’utilizzo dell’impianto del gas (vano era risultato il possesso del titolo abilitante per l’acquisizione della fornitura del gas e, quindi, impossibile il riscaldamento della casa), doveva essere confermato il risarcimento del danno per i maggiori costi sostenuti in ragione della temporanea impossibilità di avvalersi del beneficio di esenzione dell’I .C.I.
Seven 6 di COGNOME RAGIONE_SOCIALE propone ricorso sulla base di cinque motivi. Resiste controricorso NOME COGNOME Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1669 cod. civ. sotto il profilo della conoscenza e conseguente tardiva denuncia dei vizi.
La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che il Torcoli avesse avuto conoscenza dei vizi solamente in seguito all’accertamento tecnico preventivo ; di contro, sarebbe emerso che il resistente era già a conoscenza dei medesimi vizi rilevati dal consulente tecnico sin da prima del rogito <>.
Dunque, conclude la ricorrente, il ricorso a una consulenza tecnica non può giovare al danneggiato quale strumento per essere
rimesso in termini quando l’entità e le cause dei vizi fossero già conosciute dallo stesso.
4.1. Il motivo è inammissibile.
L’individuazione del momento in cui l’acquirente abbia preso piena conoscenza dei vizi costituisce accertamento di merito in questa sede non censurabile (cfr., ex multis, fra le più recenti, Cass. n. 19342/2022) e la Corte locale ha compiutamente spiegato (pag. 40) che il COGNOME aveva avuto modo di apprezzare gravità e consistenza dei vizi solo a seguito dell’esperimento della consulenza tecnica.
Peraltro, il decorso del termine richiede un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera (Cass. n. 777/2020). Al fine di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia, per far decorrere il successivo termine prescrizionale, riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso (Cass. n. 3040/2015).
Con il secondo motivo si censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 1669 cod. civ. sotto il profilo dei vizi relativi agli elementi di decoro.
Secondo la società ricorrente, la Corte distrettuale aveva violato il principio secondo cui <>.
Nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato dai Giudici di secondo grado, il rivestimento in pietra aveva semplicemente una natura meramente estetica; pertanto, il vizio denunciato doveva essere ricompreso nella disciplina dell’art. 1667 cod. civ. e non in quella dell’art. 1669 cod. civ.
5.1. Il motivo è fondato.
Il Consulente del Giudice, come riporta la sentenza d’appello, ha individuato l’esistenza di un vizio estetico nel rivestimento esterno di un muro di facciata, per contro, non risultano essere state riscontrate ripercussioni sulla staticità, salubrità e capacità di resistenza agli eventi atmosferici del manufatto. Di conseguenza, un tal vizio non risulta avere incidenza alcuna sulla funzionalità e conservazione del fabbricato, non essendo stato accertato che a causa di esso l’immobile resti esposto a infiltrazioni.
Il discrimine risulta essere stato individuato dall’arresto delle Sezioni unite di cui alla sentenza n. 7756, 27/03/2017, alla quale si è conformata, in genere, la giurisprudenza successiva, secondo il quale sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 cod. civ., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo (Rv. 643560 02).
Qui il difetto riguardante l’impiallacciatura in pietra non incide in alcun modo sulla funzionalità e normale utilizzazione del bene, siccome si trae inequivocamente dalle conclusioni dello stesso Giudice d’appello, il quale ha spiegato che <> (pag. 40).
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione del combinato disposto degli artt. 1669, 1229, 1491 cod. civ., avendo la Corte locale errato nel ritenere che l’accettazione dell’opera, consacrata sia nel verbale di ultimazione lavori, che nel rogito notarile, non avrebbe avuto alcun rilievo, essendo vero l’esatto contrario.
Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
La ricorrente evoca la disciplina che regola il rapporto tra committente e appaltatore (collaudo, accettazione opera), mentre qui la controparte non consta essere committente in un contratto d’appalto, bensì acquirente in un contratto di compravendita (sulla natura del contratto intercorso tra le parti in causa si veda la sentenza a pag. 36). Di conseguenza, il richiamo è inconferente.
La sentenza ha affermato, inoltre, <> (pag. 42).
Quanto sopra riportato non trova puntuale e specifica critica nel motivo in rassegna, che si limita assertivamente a sostenere quanto riportato in sintesi, senza peritarsi di neppure allegare il contenuto di quell’atto, che secondo la tesi impugnatoria, avrebbe importato l’accettazione, non solo dell’opera, ma anche dei suoi vizi
e difetti e, quel che più rileva, senza spiegare la ragione per la quale l’opera avrebbe dovuto essere considerata accettata, nonostante fosse stata consegnata non alla committente, bensì all’acquirente di questa.
Infine, quanto all’atto notarile, non è dato sapere in che termini il compratore avrebbe accettato vizi e difetti e, pertanto, questo profilo di doglianza risulta inammissibile perché aspecifico.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione dell’art. 2043 cod. civ.
Secondo la società ricorrente il COGNOME non avrebbe mai dedotto la responsabilità aquiliana, essendosi limitato a richiamare la violazione dell’art. 1669 cod. civ.
I giudici di secondo grado, ammettendo la risarcibilità dei danni ex art. 2043 cod. civ. per i vizi non rientranti nella disciplina dell’art. 1669 cod. civ. , si erano di fatto sostituiti alla parte, la quale aveva l’onere di provare la responsabilità aquiliana della società appaltante, fatto non avvenuto nel caso di specie.
7.1. Il motivo è fondato.
La Corte di Brescia ha affermato, che taluni difetti di costruzione, non integranti <>.
L’asserto non può essere condiviso.
Dalla disciplina di cui all’art. 1669 cod. civ., posta, nella primigenia logica codicistica, a salvaguardia dei diritti del committente, in presenza di gravi difetti dell’opera, quindi in un’ottica di tutela contrattuale, come noto, nel corso degli anni si è giunti alla conclusione che la norma in esame, benché collocata fra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretta alla tutela
dell’esigenza (avente carattere generale) della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati, per loro natura, a lunga durata, sicché l’azione di responsabilità ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti (ex multis, Sez. 2, n. 23470, 01/08/2023, Rv. 668780).
Epperò, la previsione dell’art. 1669 c.c. concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 c.c., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera), può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore (Sez. 2, n. 27385, 26/09/2023, Rv. 669153).
Invero, si è successivamente ben spiegato che <> (Sez. 2, n. 31301, 10/11/2023, in motivazione)
8. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione del combinato disposto degli artt. 2697, co. 1 cod. civ., 115, co. 1 e 116, co. 1, cod. proc. civ., avendo la Corte d’appello, sul punto di condanna per l’asserita sofferta mancata riduzione dell’ ICI, violato sia <>
Per la ricorrente, in definitiva, il COGNOME non aveva provato che fosse stato costretto a utilizzare tardivamente l’immobile a cagione dei vizi e difetti dello stesso
8.1. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la ricorrente invoca un improprio riesame degli apprezzamenti probatori di merito.
Inconsistente deve ritenersi il richiamo agli artt. 115 e 116, in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299).
L’evocazione, infine, della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente
l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Cassata la sentenza in relazione ai motivi accolti, il Giudice del rinvio regolerà anche il capo delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso, dichiara inammissibile il primo, rigetta il terzo e dichiara inammissibile il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione agli accolti motivi e rinvia, anche per il regolamento del capo delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Brescia, altra composizione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 giugno