Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34441 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34441 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18784/2022 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Merate INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1595/2022 depositata il 13/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/12/2024 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio l’Impresa costruttrice RAGIONE_SOCIALE nonché l’ing. NOME COGNOME per ottenere dal Tribunale di Milano il risarcimento dei danni, conseguenti a vizi e difetti riscontrati in un appartamento di INDIRIZZO acquistato in esito ad una procedura esecutiva. Si sarebbe trattato, a dire dell’attore , di problemi strutturali di rumorosità, ascrivibili appunto ai suindicati impresa costruttrice dell’immobile e direttore dei lavori.
Nella resistenza dei convenuti , che eccepivano l’intervenuta prescrizione e decadenza dell’azione, ex art. 1669 c.c. nonché la prescrizione dell’azione ex art. 2043 c.c., all’esito dell’istruzione , il giudice adito respinse la domanda.
A seguito di rituale impugnazione del soccombente attore, con sentenza n. 1568 del 13 maggio 2022, la Corte d’appello di Milano rigettò il gravame.
Il giudice di secondo grado rilevò, per un verso, che l’appellante -avendo fin dal primo accesso percepito la reale entità del vizio, ascrivibile ad un difetto costruttivo -non aveva fornito la dimostrazione di una tempestiva denuncia e, per altro verso, che era mancata sia la prova dei danni , consistiti nell’asserito disagio per l’esposizione ai rumori molesti , sia la prova del nesso di causalità fra lo stesso disagio e l’esposizione ai rumori , non necessariamente fonte di pregiudizio.
Contro la predetta sentenza ricorre per cassazione il COGNOME, sulla scorta di due motivi.
Si sono costituiti con controricorso l’Impresa RAGIONE_SOCIALE nonché l’ing. NOME COGNOME
A seguito della proposta ex art. 380 bis c.p.c., il ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto la
decisione della causa, che è stata portata alla discussione della camera di consiglio, nel corso dell’odierna udienza .
Il ricorrente ha depositato memoria, nei termini di legge.
RAGIONI DI DIRITTO
Preliminarmente, il collegio dà atto, sulla scorta della sentenza delle Sezioni Unite n. 9611 del 10 aprile 2024, che non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis. c.p.c., atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Ciò chiarito e passando all’esame del ricorso, con la prima censura, il ricorrente deduce sia la violazione degli artt. 1669-2697 c. c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. , sia l’omesso esame ‘circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti’, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto la conoscenza del vizio da parte del COGNOME, e prima di lui del precedente proprietario dell’immobile , sulla base di circostanze mai allegate dalle parti, oggetto di prova o dimostrate aliunde . In realtà, al fine di accertare la sussistenza del fenomeno denunciato, sarebbe stato necessario, ad avviso del ricorrente, eseguire una serie di accertamenti strumentali: conseguentemente, una volta esclusa la conoscenza in capo al dante causa, tutti i termini decadenziali e prescrizionali sarebbero stati rispettati.
1.1. Con il secondo mezzo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 2043, 872 e 2922 c.c. , ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c .
Osserva il ricorrente che la Corte avrebbe mancato di considerare che, fin dalla citazione di primo grado, erano state esplicitate le condotte ed omissioni avversarie , valutabili indistintamente sotto il profilo dell’art. 1669 c.c. o dell’art.
2043 c.c. D’altronde, la CTU avrebbe accertato sia l’esistenza del difetto, sia la rico nducibilità dello stesso all’attività o alle omissioni dell’impresa COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME, riguardanti il mancato rispetto di norme statali e regionali, parametro dei regolamenti edilizi e di igiene. La natura delle norme trascurate dalla sentenza impugnata si sarebbe riflessa sia in ordine al danno, sia in ordine alla platea dei danneggiati, sia in ordine alla prescrizione.
Il primo motivo è inammissibile, in ciascuna delle sue articolazioni.
La Corte d’appello ha affermato che ‘ l’inizio della decorrenza del termine può essere legittimamente spostato in avanti nel tempo solo quando gli accertamenti tecnici si rendano effettivamente necessari per comprendere appieno la gravità dei difetti e stabilire il corretto collegamento causale, allo scopo di indirizzare verso la giusta parte un’eventuale azione del danneggiato. Non necessariamente né automaticamente il decorso del termine è postergato all’esito degli approfondimenti tecnici qualora, come nella specie, si tratti di problema di immediata percezione sia nella sua reale entità sia nelle sue possibili cause fin dal suo primo manifestarsi ‘. I giudici di merito aggiungono che lo stesso appellante, fin dal suo primo insediamento nell’immobile , aveva assunto di aver percepito un’esasperante ed anomala rumorosità . Ne hanno logicamente dedotto che la suddetta percezione fu pressoché immediata, mentre la sua possibile origine sarebbe stata senza dubbio individuabile in un difetto costruttivo, sicché, a fronte di una gravità che presumibilmente avrebbe potuto essere ragionevolmente percepita anche dal precedente proprietario, sarebbe stato onere del COGNOME dimostrare la tempestività della denuncia del difetto.
La ricostruzione della sentenza impugnata appare del tutto logica e plausibile, tanto da risultare corretta l’ affermazione che, trattandosi di un problema di immediata percezione, sia nella sua reale entità, che nelle sue possibili cause sin dal suo primo manifestarsi, il decorso di tale termine non è necessariamente né automaticamente postergato all’esito dei predetti approfondimenti tecnici (Sez. 2, n. 27693 del 29 ottobre 2019; Sez. 2, n. 10048 del 24 aprile 2018).
Inoltre, il ricorrente ha dedotto una violazione di legge, ossia un error in iudicando , sicché la Corte non ha accesso diretto agli atti, per poter controllare
la veridicità delle affermazioni del ricorso in contrasto con quelle dei giudici di merito: la denuncia di una violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimità di effettuare, una verifica in ordine alla correttezza giuridica della decisione ed alla sufficienza e logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata (Sez. 1, n. 24856 del 22 novembre 2006) . E’ dunque escluso un accesso diretto agli atti da parte di questa Suprema Corte.
In punto di diritto, giova aggiungere che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 1, n. 3340 del 5 febbraio 2019).
D’altronde, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Sez. U., n. 23745 del 28 ottobre 2020).
In realtà, la doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione dei fatti da parte del giudice di appello.
E’ dunque opportuno considerare in proposito che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via
esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al presente giudizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Sez. U., n. 20867 del 30 settembre 2020).
Per il resto, va ribadito che l’esame dei documenti esibiti e la valutazione degli stessi, come anche il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
In altri termini, la differente lettura delle risultanze istruttorie proposta dal ricorrente non tiene conto del principio per il quale la doglianza non può tradursi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).
È, in conclusione, inammissibile il motivo di ricorso che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Sez. U, n. 34476 del 27 dicembre 2019; Sez. 1, n. 5987 del 4 marzo 2021).
Con riguardo alla violazione di omesso esame di un fatto decisivo, come rilevato dalla proposta di definizione ex art. 380 bis c.p.c., ricorre nella specie l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 360, comma 4° c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
Conseguentemente, quando ricorre la predetta ipotesi, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 3, n. 26924 del 20 settembre 2023; Sez. 3, n. 5947 del 28 febbraio 2023). Nel ricorso, manca qualunque accenno in tal senso.
Il secondo motivo è altrettanto inammissibile.
La Corte d’appello ha affermato ‘ L’appellante non ha fornito alcuna prova sia dei danni interni che afferma di aver subito, ovvero del disagio per l’esposizione ai rumori molesti, sia del nesso di causalità dell’eventuale disagio -ove provato -all’esposizione dei rumori , esposizione che di per sé non comporta la prova del danno ‘. Ha aggiunto che , in ogni caso, la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. non potrebbe essere traslata dal dante causa del COGNOME al medesimo, posto che la condotta asseritamente illegittima dell’impresa costruttrice avrebbe potuto essere fatta valere solo dai primi acquirenti dell’immobile .
Nessuna delle due considerazioni è stata smentita dal ricorrente, il quale, per un verso, non ha dimostrato di aver subito dei danni concreti -neanche come conseguenza dell’asserita violazione avversaria di norme statali o regionali -e per altro verso, neppure ha contrastato il principio, fissato da questa Suprema
Corte, per il quale il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso, e, configurandosi come un diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non segue quest’ultimo nell’ipotesi di alienazione, salvo che non sia pattuito il contrario (Sez. U, n. 2951 del 16 febbraio 2016).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore dei controricorrenti, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Al rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue altresì, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., vigente l’ art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna del ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195 del 22 settembre 2023).
La Corte da atto che ricorrono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 (tremila/500) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 %, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Condanna, altresì, il ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 3.500,00 (tremila/500) in favore dei controricorrenti, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 2.000 (duemila) , ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2024.