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Difese tardive datore di lavoro: Cassazione conferma

Un lavoratore, assunto part-time per una tabaccheria, svolgeva di fatto un orario full-time lavorando anche per una cartoleria collegata. La datrice di lavoro, titolare della tabaccheria, ha tentato di attribuire parte del rapporto di lavoro alla società che gestiva la cartoleria. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, qualificando le sue argomentazioni come difese tardive e confermando la sua piena responsabilità per tutte le differenze retributive, poiché le contestazioni sulla titolarità del rapporto non erano state sollevate chiaramente sin dall’inizio del giudizio.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Difese tardive del datore di lavoro: non si può cambiare strategia a processo avviato

Quando un datore di lavoro viene citato in giudizio, deve definire la sua linea difensiva in modo chiaro e tempestivo. Cambiare versione dei fatti a metà percorso, specialmente dopo l’assunzione delle prove, può avere conseguenze decisive. L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta proprio il caso delle difese tardive del datore di lavoro, stabilendo un principio fondamentale: la contestazione sulla titolarità del rapporto di lavoro deve essere immediata, non un’ancora di salvezza da lanciare quando il processo si mette male.

I Fatti: Un Rapporto di Lavoro Conteso tra Due Attività

Il caso ha origine dalla richiesta di un lavoratore, assunto con contratto part-time da 20 ore settimanali come “assistente al monopolio” in una tabaccheria. Il dipendente sosteneva, tuttavia, di aver sempre lavorato a tempo pieno, per circa 57 ore a settimana, prestando la sua attività non solo per la tabaccheria (gestita da una ditta individuale) ma anche per una cartoleria annessa, gestita da una società distinta di cui la stessa datrice di lavoro era socia.

Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto l’orario full-time ma aveva diviso la responsabilità al 50% tra le due attività, condannando la datrice di lavoro a pagare solo una parte delle differenze retributive. La Corte d’Appello, invece, ha ribaltato questa decisione, ritenendo la titolare della tabaccheria unica responsabile per l’intero importo, poiché le sue contestazioni sulla reale titolarità del rapporto erano emerse in modo chiaro solo dopo l’assunzione delle prove testimoniali.

Il Ricorso in Cassazione

La datrice di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando diversi vizi procedurali e di merito. In sostanza, ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare le sue contestazioni sulla titolarità passiva del rapporto, affermando di aver sempre negato che l’attività lavorativa aggiuntiva fosse stata svolta a suo esclusivo favore.

Le conseguenze delle difese tardive del datore di lavoro

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della ricorrente. La decisione si fonda su due pilastri principali.

Inammissibilità per Vizi Formali

In primo luogo, i giudici hanno rilevato che i motivi del ricorso erano formulati in modo confuso, mescolando e sovrapponendo diverse tipologie di censure (violazione di legge, vizi procedurali, omesso esame di fatti decisivi). Secondo un orientamento consolidato, questa commistione di doglianze rende il ricorso inammissibile, poiché impedisce alla Corte di individuare con chiarezza il perimetro della critica mossa alla sentenza impugnata.

L’irrilevanza delle argomentazioni nel merito

Anche entrando nel merito, la Corte ha smontato la tesi difensiva. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello avesse correttamente rilevato un cambio di strategia da parte della datrice di lavoro. Nella fase iniziale del giudizio, la sua difesa non aveva contestato “chiaramente” di essere l’unica datrice di lavoro, ma si era limitata a considerazioni più generiche. Solo dopo che le testimonianze avevano confermato l’orario full-time, la difesa ha tentato di “spostare” la responsabilità sulla società che gestiva la cartoleria.

Questo comportamento processuale è stato interpretato come un tentativo di aggiustare la propria linea difensiva in base all’esito dell’istruttoria, una pratica non consentita. La Corte d’Appello aveva quindi correttamente attribuito l’intero rapporto di lavoro alla datrice di lavoro, basandosi sulle prove testimoniali che indicavano come il lavoratore operasse come suo “coadiutore”, ricevendo da lei le direttive per la gestione di entrambe le attività.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della Cassazione risiede nella coerenza e tempestività delle difese processuali. La Corte ha stabilito che la contestazione sulla titolarità soggettiva passiva del rapporto di lavoro è un’eccezione che deve essere sollevata in modo specifico e chiaro fin dalla comparsa di costituzione e risposta. Non è ammissibile negare genericamente le pretese del lavoratore per poi, di fronte a prove sfavorevoli, tentare di deviare la responsabilità su un terzo soggetto. L’apprezzamento delle prove testimoniali, che ha portato la Corte d’Appello a individuare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, costituisce una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale per i datori di lavoro: la trasparenza e la chiarezza strategica fin dalle prime fasi di un contenzioso sono essenziali. Le difese tardive del datore di lavoro o formulate in modo ambiguo possono essere dichiarate inammissibili o inefficaci, portando a una condanna per l’intero ammontare richiesto dal dipendente. Il processo non permette ripensamenti strategici basati sull’andamento delle prove. Una difesa solida si costruisce su contestazioni puntuali e coerenti, presentate nei tempi e nei modi previsti dalla legge.

Un datore di lavoro può negare di essere l’unico titolare del rapporto di lavoro solo in una fase avanzata del processo?
No. La Corte di Cassazione ha confermato che le contestazioni sulla titolarità del rapporto di lavoro devono essere chiare e tempestive. Modificare la propria linea difensiva dopo l’assunzione delle prove è considerato una difesa tardiva e, come tale, inefficace.

Se un dipendente lavora per due attività commerciali collegate ma con titolarità giuridica diversa, chi paga le differenze retributive?
La responsabilità ricade sul soggetto che, in base alle prove raccolte, viene identificato come l’effettivo e unico datore di lavoro. Nel caso esaminato, nonostante la presenza di due entità giuridiche, la Corte ha imputato l’intero rapporto alla titolare della ditta individuale perché le sue difese contrarie sono state ritenute tardive e le prove dimostravano che era lei a impartire le direttive per entrambe le attività.

È possibile presentare un ricorso in Cassazione mescolando diverse tipologie di errori (es. violazione di legge, errore procedurale, vizio di motivazione) in un unico motivo?
No. La Corte ha ribadito che questa pratica, definita “mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei”, rende il motivo di ricorso inammissibile. Ogni censura alla sentenza impugnata deve essere formulata in modo specifico e distinto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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