Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23389 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23389 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2042-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2071/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/07/2019 R.G.N. 4452/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 5435/2015 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento del ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME aveva condannato la convenuta NOME COGNOME a
Oggetto
Differenze retributive
R.G.N. 2042/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 25/03/2025
CC
corrispondere al COGNOME la somma di € 13.000,00, a titolo di differenze retributive per la sua attività di ausiliario alla vendita ‘assistente al monopolio’, svolta dal 20.5.2009 al 30.9.2011 presso il negozio di tabacchi della convenuta e a regolarizzare la sua posizione contributiva e previdenziale.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello proposto da COGNOME NOME contro la sentenza di primo grado e, in riforma della stessa sentenza, condannava COGNOME NOME a corrispondergli la maggior somma di € 41.528,38, a titolo di differenze retributive, di cui € 1.952,29 per TFR, detratto quanto già eventualmente corrisposto dall’appellata in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre accessori dal dovuto al saldo.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva: a) che il ricorrente, il quale aveva stipulato con la Di Rocco un contratto di lavoro part-time ed era inquadrato al 5^ livello del CCNL Commercio per 20 ore settimanali, aveva dedotto di aver svolto invece orario full time dal lunedì al sabato con orario 8-13 e 15,30-20, talvolta trattenendosi a fare le pulizie e a preparare ordini da inviare al Monopolio anche nella pausa pranzo, per un totale di 57 ore settimanali, maturando differenze retrib utive pari ad € 40.734,58, come da conteggi non allegati, ma indicati nel corpo della narrativa del ricorso; b) che, in sintesi, per il Tribunale, se pure era emersa dal testimoniale l’osservanza di un orario full time , il lavoro era svolto dal ricorrente anche in favore della cartoleria di cui era titolare RAGIONE_SOCIALE, e quindi non era corretto porre tutte le conseguenti differenze retributive a carico della Di COGNOME, ma solo il 50%, che era la misura dell’apporto all’attività della Di COGNOME; c) che sempre per il Tribunale non era provato lo
svolgimento di mansioni riconducibili al superiore 4^ livello del CCNL applicabile; d) che il COGNOME aveva impugnato la decisione di prime cure, lamentando, oltre all’erronea compensazione delle spese per la metà, che la ricostruzione operata dal Tribunale non si attagliava alle risultanze istruttorie; e) che la Di COGNOME aveva spiegato appello incidentale sul riconoscimento dell’orario full time e perché non erano maturate differenze a credito del lavoratore, in quanto la restante attività del COGNOME, ove prestata, era stata svolta esclusivamente in favore della società RAGIONE_SOCIALE ed era dunque da porsi a carico di questa.
4. Tanto premesso, la Corte osservava che, incontestata la natura subordinata del rapporto, l’esclusione della riconducibilità del rapporto alla Di Rocco non era stata dedotta in sede di comparsa costitutiva, ma solo dopo l’assunzione delle prove testimoniali; inoltre, le testimonianze avevano comprovato che il COGNOME lavorava come coadiutore della Di Rocco, e la presenza fisica del datore di lavoro, stante la natura delle mansioni del coadiutore del monopolio, non era necessaria, una volta impartite le direttive su come gestire gli ordini e la clientela; sicché il rapporto (di natura subordinata) era imputabile alla COGNOME, senza le dimidiazioni equitative del dovuto operate nella sentenza impugnata.
5. La Corte, in definitiva, confermando che non era emerso lo svolgimento di mansioni riconducibili al 4^ livello rivendicato dal lavoratore, concludeva che andava riconosciuta l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno tra le parti, per il periodo indicato in ricorso, con inquadramento nel 5^ livello del CCNL Commercio, cui conseguiva la condanna
dell’appellata al pagamento della complessiva somma indicata in dispositivo.
Avverso tale decisione NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi e successiva memoria.
L’intimato resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 416, II e III comma, c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4) c.p.c.’. Seco ndo la ricorrente, la ‘Corte territoriale non ha considerato che la titolarità della posizione giuridica soggettiva passiva dedotta in giudizio è attinente al merito della controversia, rispetto alla quale la convenuta nella memoria di costituzione aveva s olo l’onere di prendere posizione, ben potendo limitarsi a negarlo senza che le sia poi precluso all’esito dell’istruttoria, di formulare le deduzioni volte a corroborare sul piano difensivo le difese e le contestazioni già ritualmente formulate’. Per la s tessa, l’ ‘errore compiuto dalla Corte d’Appello è consistito altresì nel non aver giudicato su tutta la domanda ivi compresa la questione attinente al merito della titolarità passiva del rapporto in capo alla convenuta da questa contestata e denegata nell a comparsa costitutiva, ma nell’aver ritenuto eccezioni dalla convenuta tardivamente dedotte solo all’esito dell’istruttoria anziché con la comparsa costitutiva, la esclusione della riferibilità a sé del rapporto e dell’imputazione dell’attività lavorativa a un terzo soggetto ovvero nell’interesse proprio dei
gestori, che in realtà erano deduzioni difensive volte a corroborare le difese nella comparsa di risposta già ritualmente formulate e negative dell’espletamento di attività ulteriore in suo favore e della titolarità passiva dell’obbligo di retribuire il ri corrente per attività ulteriore, ove risultata espletata’.
Con un secondo, articolato, motivo denuncia sub a) ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 416 c.p.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c., e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4) c.p.c.’. Lamenta che la ‘Corte d’Appello ha ritenuto che la Di Rocco, nel costituirsi, non avrebbe contestato ‘chiaramente’ che il COGNOME lavorasse alle proprie dipendenze, e ha altresì ritenuto che le dedotte circostanze che il padre fosse interessato all’acqu isto, avesse preso accordi con gli altri soci e il figlio fosse stato assunto in vista di quanto sopra, fossero troppo ‘generiche’ per ‘spostare il rapporto sugli altri due soci’, senza considerare che la Di Rocco, ai sensi dell’art. 416 c.p.c. in riferime nto all’art. 115 c.p.c., null’altro doveva contestare, se non il fatto allegato contro di lei, ossia la prestazione di lavoro ulteriore rispetto a quello contrattualizzato con il ricorrente, e null’altro poteva, né doveva dedurre, se non i fatti di cui era a conoscenza, ossia l’esistenza di diversi accordi con i gestori di fatto della cartoleria, attività svolta non da lei ma dalla società i cui gestori di fatto erano i soci di maggioranza’.
2.1. Sempre nel secondo motivo, ma sub b) denuncia ‘in subordine, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., 112 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4) c.p.c.’. Impugna, in via subordinata, lo stesso passo motivazionale censurato sub 2.a) precedente, ‘poiché la Corte
d’Appello ha affermato la titolarità passiva dell’obbligo oggetto di causa in capo alla Di Rocco ritenendolo non specificamente contestato, pur essendo in grado di accertarne (l’esistenza o) l’inesistenza ex officio e in base alle risultanze ritualmente ac quisite, accertamento che la Corte d’Appello ha omesso, ma a cui era tenuta, e dal quale non poteva esimersi poiché il principio di non contestazione operando sul piano probatorio, comporta che laddove il giudice abbia la possibilità di positivamente accer tare d’ufficio (l’esistenza o) l’inesistenza di fatti non contestati alla luce delle risultanze probatorie già ritualmente e tempestivamente acquisite, deve farlo’.
3. Con un terzo motivo denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5) c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 416 c.p.c., 115 c .p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4) c.p.c.’. Deduce che la ‘Corte territoriale ha omesso di tenere conto del fatto, decisivo e che aveva formato oggetto di discussione tra le parti e anche dell’istruttoria orale e documentale, della indiscussa titolarità, nel periodo oggetto di causa, non in capo a lei, bensì in capo alla RAGIONE_SOCIALE, dell’attività di cartoleria svolta all’interno del negozio e ha, così, erroneament e ritenuto che la COGNOME si fosse definita ‘titolare dell’azienda di rivendita di generi extra monopolio’, anche per il periodo per cui è causa, mentre così non era, essendo tale affermazione riferita al periodo antecedente la costituzione della RAGIONE_SOCIALE il 04.10.2007. Ha così erroneamente ritenuto tale affermazione incompatibile con la negazione della titolarità passiva del rapporto oggetto di causa, svoltosi in epoca posteriore, a decorrere dal maggio 2009. Ha conseguentemente
erroneamente applicato l’art. 2697 c.c. sollevando il ricorrente dall’onere della prova del fatto costitutivo della titolarità passiva del rapporto, erroneamente ritenendo incompatibili con la negazione di tale fatto la posizione assunta dalla convenuta in ordine alla titolarità in capo a sé della cartoleria, invece riferita all’epoca antecedente la costituzione della RAGIONE_SOCIALE
Con il quarto motivo denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 416 c.p.c., 115 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3) c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4) c.p.c.’. Si duole che la .
Con il quinto motivo denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5) c.p.c.’. Deduce che: <La Corte, laddove afferma 'Il fatto che vi era un'unica cassa (ancora i testi RAGIONE_SOCIALE e Napoli) è riferito ad una confluenza di introiti pur sempre facente capo alla società RAGIONE_SOCIALE), cui sono estranei i RAGIONE_SOCIALE', accomunando erroneamente 'tabaccheria e cartoleria' come entrambe facenti capo alla Cruna s.a.s., ha omesso ogni esame
circa il fatto che la tabaccheria era gestita dalla ditta individuale Di Rocco Anna Maria e la cartoleria dalla RAGIONE_SOCIALE. Fatto che è stato oggetto di discussione tra le parti, di accertamento istruttorio documentale e orale, e decisivo perché su di esso si fondava la contestazione della convenuta della titolarità dell'obbligo di retribuire il ricorrente per l'attività eventualmente espletata in orario superiore a quello contrattualizzato e retribuito, in quanto prestata non in suo favore e per sue esigenze, ma in virtù di diversi accordi con i terzi gestori di fatto della RAGIONE_SOCIALE
6. Con il sesto motivo denuncia 'Violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 416 c.p.c., in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c. e nullità della sentenza in relazione all'art. 360, co. 1, n. 4) c.p.c.'. Impugna il passo della sentenza ove la C orte d'Appello afferma che la convenuta 'Né ha mai chiamato in causa la società rilevandone la esclusiva legittimazione rispetto alla domanda del COGNOME ovvero per eventuale garanzia/manleva', così applicando erroneamente alla fattispecie l'art. 106 c. p.c. che non impone al convenuto alcun onere di chiamare in causa un terzo, ma gli attribuisce una mera facoltà, laddove intenda da questo essere garantita ovvero ritenga a costui comune la causa, presupposti peraltro non sussistenti nella fattispecie non avendo la convenuta proposto alcuna domanda, tanto meno di garanzia, nei confronti di un terzo, la società, dalla quale non aveva pretesa di essere manlevata né garantita non intercorrendo alcun rapporto di garanzia, e alla quale non riteneva comune la causa, cui ella si riteneva del tutto estranea'. Sempre per la ricorrente, 'Oltre ad applicare erroneamente l'art. 106 c.p.c. e l'art. 416 c.p.c., attribuendo alla convenuta un onere del quale non era gravata, e motivare la propria decisione anche sull'errone amente
ritenuto mancato assolvimento di tale onere, la Corte ha violato l'art. 115 c.p.c. non avendo posto a fondamento della decisione né un fatto provato dalle parti né un fatto non specificamente contestato, ma il fatto che la convenuta non avesse chiamato in causa la società, pur non avendo la convenuta alcun onere in tal senso'.
Con il settimo motivo denuncia 'Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 28 L. n. 1293/1957 e dell'art. 63 e 64 del d.P.R. 1074/1958, in relazione all'art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c.'. Sostiene che la 'Corte d'Appello ha erroneamente applicato alla fattispecie una disciplina normativa che ad essa è estranea, ossia la disciplina dettata dall'art. 28 della legge n. 1293/1957 e dagli artt. 63 e 64 del d.P.R. n. 1074/1958 i quali, imponendo la 'gestione personale' da parte del titolare della licenza per la rivendita di generi di monopolio, impongono l'effettiva presenza nel locale della rivendita del titolare della licenza e consentono, ai fini della sua sostituzione, la nomina di un 'coadiutore' limitatamente ai casi ivi contemplati e alle condizioni ivi indicate, non ricorrenti nella fattispecie'.
I motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili.
Rileva, infatti, il Collegio che il primo motivo, il secondo motivo (in entrambe le sue articolazioni), il quarto motivo ed il sesto motivo fanno cumulativamente e promiscuamente riferimento alle diverse ipotesi di cui ai nn. 3) e 4) contemplate dal com ma primo dell'art. 360 c.p.c., e che il terzo motivo vi aggiunge anche il pur differente mezzo di cui al n. 5) previsto dal medesimo comma; sicché si risolvono in una mescolanza e sovrapposizione di mezzi d'impugnazione eterogenei, il che induce l'inammiss ibilità delle censure, secondo un consolidato
indirizzo di questa Corte (v. ex plurimis Cass. n. 1859/2021; n. 14634/2020; n. 10212/2020; n. 12625/2020).
Nota ancora il Collegio che tutte le censure non colgono correttamente l'unica ed unitaria ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata sulle questioni ora sollevate dalla ricorrente.
Tutti i motivi di ricorso, invero, attingono singoli passaggi motivazionali del ragionamento decisorio dei giudici di secondo grado, senza afferrarne il senso complessivo, che per essere compreso correttamente esige una premessa su quanto aveva considerato il primo giudice, e che la Corte territoriale non ha condiviso, a fronte di appello (principale) del lavoratore il quale lamentava anzitutto che appunto la ricostruzione della vicenda di cui è causa, operata dal Tribunale, 'non si attagliava alle risu ltanze istruttorie'.
In particolare, la Corte ha riferito che: 'Secondo il Tribunale le prove orali avevano dimostrato che il ricorrente si era in realtà occupato di gestire, insieme al padre, sia la tabaccheria che la annessa cartoleria (intestata alla società RAGIONE_SOCIALE, non convenuta, di cui erano soci i signori RAGIONE_SOCIALE e Napoli, nonché la stessa COGNOME, titolare della licenza tabacchi, con il 5% delle quote e qualità di accomandatario), con controllo della cassa, in cui confluivano gli introiti di entrambe le attività, e ripartizione degli utili, senza che la Di Rocco, quasi mai presente in negozio, desse direttive al ricorrente'.
Ebbene, il suddetto assetto giuridico-formale delle differenti attività che si svolgevano pacificamente in un unico negozio non è stato posto in discussione dalla Corte di merito.
13.1. Quest'ultima, piuttosto, non ha condiviso ulteriori valutazioni del Tribunale.
La Corte ha riferito, infatti, che il Tribunale 'deduceva la sussistenza di accordi sottostanti tra la società RAGIONE_SOCIALE e i due RAGIONE_SOCIALE', ossia, COGNOME NOME attuale controricorrente e il padre di quest'ultimo; accordi 'non emersi e comunque non ritenuti rilevanti, per cui metà degli introiti della gestione, che confluivano, come riferito dai testi, nella stessa cassa, era da ascrivere ai COGNOME in forza di tali accordi sottostanti, metà alla Di Rocco', e che, sempre secondo l'inquadramento del primo giudice, 'se pure era emersa dal testimoniale l'osservanza di un orario full time, il lavoro era svolto anche in favore della cartoleria di cui era titolare la società RAGIONE_SOCIALE, e quindi, non era corretto porre tutte le conseguenti differenze retributive (tra orario part rime e full time) a carico della Di COGNOME, ma solo il 50%, che era la misura dell'apporto all'attività della Di COGNOME risultata dall'istruttoria'.
E la Corte distrettuale, come già accennato in narrativa, alla fine della sua disamina, ha giudicato 'equitativa' tale soluzione del caso raggiunta dal giudice di primo grado.
Più nello specifico, i giudici di secondo grado, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente nel primo motivo, non hanno rilevato la tardività di eccezioni, qualificate come eccezioni in senso stretto, della convenuta COGNOME né che le difese o le deduzioni di quest'ultima si fossero comunque imbattute in preclusioni, rispetto a quanto previsto dall'art. 416, commi secondo e terzo, c.p.c. La Corte, infatti, non ha reputato inammissibili o precluse eccezioni o difese di sorta della
convenuta in relazione a tale disciplina, cui del resto non ha fatto il benché minimo cenno.
Piuttosto, la Corte ha constatato che la resistente avesse in qualche modo adattato la propria linea difensiva alle emergenze delle prove testimoniali dopo la loro assunzione.
Ha, infatti, osservato 'che, incontestata la natura subordinata del rapporto, l'esclusione della riconducibilità del rapporto alla Di Rocco non è stata dedotta in sede di comparsa costitutiva ma solo dopo l'assunzione delle prove testimoniali'.
14.1. Ha, poi, aggiunto che: 'Mai', e quindi anche dopo l'espletamento dell'istruttoria orale in primo grado, 'la Di COGNOME ha dedotto che parte dell'attività era svolta in favore di un terzo (RAGIONE_SOCIALE ovvero nell'interesse proprio dei gestori'.
Ma anche in questa mera constatazione, di cui peraltro la ricorrente non mette in dubbio l'esattezza, non è presente il benché minimo rilievo d'inammissibilità di deduzioni o tesi difensive svolte dalla convenuta in primo grado.
Già da questi rilievi, allora, a prescindere dai profili d'inammissibilità formale dei motivi di ricorso per cassazione sopra evidenziati, discende che le censure che la ricorrente delinea nel primo motivo sono comunque inconferenti.
Del resto, la Corte ha poi subito specificato quale fosse stata la linea difensiva assunta dalla resistente in primo grado.
In particolare, ha considerato che: 'Invero la COGNOME, concessionaria di rivendita di tabacchi lavorati e titolare di azienda di rivendita di generi extramonopolio, non ha mai contestato chiaramente, nel costituirsi, che il COGNOME lavorasse alle sue dipendenze; ha solo dedotto che lo
svolgimento di tale attività da parte di COGNOME padre e figlio era propedeutica ad una cessione a terzi dell'attività, cessione poi realizzatasi il 10.11.2011', e che: .
Nota, allora, il Collegio che tali ultimi rilievi della Corte distrettuale sono perfettamente aderenti al contenuto della comparsa di costituzione (alle pagg. 4-6) che la stessa ricorrente trascrive in ricorso.
In particolare, l’allora convenuta aveva dedotto che: ‘La signora COGNOME NOME, concessionaria di rivendita di tabacchi lavorati n. 2411 rilasciata il 14.06.2007, in INDIRIZZO, locale di proprietà dei signori COGNOME NOME e COGNOME NOME, e titolare dell’azienda di rivendita di generi extramonopolio, articoli per fumatori, cartoleria, profumeria, cancellerie, già dal 2006 aveva iniziato a soffrire di problemi di salute (doc. 4), sicché era intenzionata a ritirarsi negli anni a se guire, cedendo l’attività; i signori COGNOME e Napoli, interessati ad acquistarla, dapprincipio anche con il signor NOME COGNOME si erano offerti nel frattempo di collaborare nella gestione (doc. 3).
Dopo il ritiro del signor COGNOME NOME, il signor COGNOME NOME, padre del ricorrente NOME manifestava anch’egli interesse a concorrere nell’acquisto, e per quanto di conoscenza della convenuta, si relazionava ed accordava, all’uopo, direttam ente con i signori COGNOME e COGNOME, anche per
i rapporti da regolarsi medio tempore, stanti le non buone condizioni di salute della signora COGNOME NOME
Il signor COGNOME NOME dunque, è stato assunto nel maggio 2009 e come ausiliario alla vendita in vista di quanto sopra (doc. 5), e infatti nel mese di settembre 2011 ha cessato ogni attività e frequentazione del negozio, non essendosi concretizzati i progetti in capo ai predetti soggetti dei quali era venuto meno l’interesse all’acquisto, ed essendo ormai programmata la vendita a terzi, poi realizzatasi con atto di cessione del 10.11.2011 registrato a Roma il 14.11.2011 al n. 39279 Serie 1/T, in favore del signor COGNOME NOME (doc. 6).
Dunque con la cessione a terzi dell’attività della Di Rocco e la chiusura della ditta individuale, i rapporti tra le parti venivano definiti senza riserva né pretesa alcune del signor COGNOME NOME e del signor COGNOME NOME ai quali veniva peraltro versato l’importo di € 30.000,00 a definizione di ogni rapporto’.
17.1. Rileva, anzitutto, il Collegio che in tali originarie deduzioni della convenuta neppure si fa cenno alla società RAGIONE_SOCIALE
Inoltre, condivisibilmente la Corte territoriale aveva riscontrato una scarsa chiarezza delle stesse.
Invero, da un lato, e a più riprese, la convenuta riconosceva di aver assunto lei, per quanto qui interessa, COGNOME NOME, nel maggio 2009 e con le mansioni di ‘ausiliario alla vendita’, deducendo che lo stesso ‘per l’attività prestata in favore della ditta convenuta, ha sempre percepito compensi e somme corrispondenti all’attività effettivamente prestata’ e di aver ‘tacitato’ lui come il padre NOME COGNOME, all’atto della chiusura della sua ditta individuale (con cessione dell’esercizio
a terzi), con la corresponsione dell’importo di € 30.000,00 ‘a definizione di ogni rapporto’, senza peraltro assolutamente contestare la subordinazione dello stesso rapporto, come esattamente più volte evidenziato dalla Corte.
D’altro lato, la stessa convenuta ivi accennava anche ad accordi, da lei non completamente conosciuti, ‘dei COGNOME con i signori COGNOME e COGNOME‘ (cfr. pag. 6 della cit. comparsa), senza, tuttavia, sostenere che, in forza di tali accordi, una parte d istinguibile dell’attività lavorativa di COGNOME NOME fosse prestata in favore di queste due persone. Anzi, in via principale assumeva essere ‘quanto meno poco credibile che il signor NOME COGNOME fosse costretto a trattenersi nel locale per cui è causa tutti i giorni per sei giorni la settimana, prestando attività lavorativa per un orario superiore (oltre il doppio secondo quanto affermato) a quello per il quale veniva retribuito, se non di volta in volta e all’occorrenza dietro congruo ulteriore c ompenso, …’ (v. di nuovo pag. 6 della cit. comparsa).
18. Quanto, poi, alle proprie note difensive autorizzate di primo grado, che pure la ricorrente trascrive nel corpo del primo motivo (alle pagg. 19-21 del ricorso per cassazione), tale scritto era essenzialmente di commento alle risultanze dell’istruttoria orale, e solo in questa chiave in esso iniziava a farsi riferimento all’assetto societario de ‘RAGIONE_SOCIALE, senza tuttavia assumere che l’attività lavorativa di NOME fosse stata ‘svolta in favore di un terzo (RAGIONE_SOCIALE) ovvero nell’interesse proprio dei gestori’. Pertanto, risulta corretta l’affermazione della Corte di merito secondo la quale mai nel corso del primo grado la convenuta aveva formulato una tale deduzione.
19. La Corte d’appello, peraltro, ha tenuto conto che la COGNOME, in secondo grado e in veste anche di appellante incidentale, aveva questa volta più chiaramente, e per la prima volta, sostenuto, tra l’altro, che ‘non erano maturate differenze a credito del lavoratore, poiché la restante attività del Quartarone, ove prestata, era svolta esclusivamente in favore della società RAGIONE_SOCIALE e dunque da porsi a carico di questa’.
19.1. E la Corte ha esaminato nel merito tale tesi dell’allora appellata/appellante incidentale, perché, dopo i rilievi di cui s’è già detto, ha considerato che: ‘Il fatto che il padre del ricorrente fosse in un primo tempo interessato alla vendita ed abbia preso accordi con gli altri due soci sulle modalità di gestione del rapporto nel periodo medio tempore intercorrente, è prima di tutto circostanza che non incide sul rapporto di lavoro personale del figlio, e comunque trattasi di circostanza troppo generica per sostenere che il rapporto lavorativo del figlio era da imputarsi solo agli altri due soci, sostanziali titolari de La Cruna. La circostanza, dedotta dalla Di Rocco, che NOME venisse assunto ‘in vista di quanto sopra’ (cessione dell’attività, ndr) è espressione generica, non idonea a spostare il rapporto solo sugli altri due soci. Anzi, la convenuta contestava le mansioni (riconducibili alla qualifica contrattuale del 5^ livello e non del 4^ livello rivendicato), l’orario, i conteggi’.
Inoltre, ha considerato: ‘Le testimonianze hanno comprovato che COGNOME lavorava come coadiutore della COGNOME (testi Napoli e COGNOME); la presenza fisica del datore di lavoro, stante la natura delle mansioni del coadiutore del monopolio, non è necessaria, una volta impartite le direttive su come gestire gli ordini e la clientela.
Nessun riferimento è emerso ad una gestione in proprio dei COGNOME, se non per il fatto che erano soli in negozio, il che non esclude per ciò solo la subordinazione che, si ripete non è del resto contestata.
Il fatto che vi era un’unica cassa (ancora i testi RAGIONE_SOCIALE e Napoli) è riferito ad una confluenza di introiti pur sempre facente capo alla società RAGIONE_SOCIALE), cui sono estranei i RAGIONE_SOCIALE‘.
Osserva, allora, il Collegio che si è chiaramente in presenza di un apprezzamento delle risultanze processuali, operato dalla Corte di merito in rapporto alla tesi da ultimo sostenuta dalla COGNOME, non sovrapponibile alle linee difensive seguite dalla stessa in primo grado.
E in tali valutazioni non si coglie la benché minima offesa al principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., né a quello dell’onere della prova ex art 2697 c.c., come invece assume la ricorrente nel suo secondo motivo.
20.1. Inoltre, il secondo motivo, nella sua articolazione subordinata sub b), oltre che per le ragioni sopra premesse in termini generali, si appalesa inammissibile anche nella parte in cui vi si deduce ‘che, come correttamente rilevato dal Giudice di primo grado, emergeva inequivocabilmente dalla prova testimoniale che tali prestazioni erano svolte in favore della cartoleria e in assenza della signora COGNOME che mai è stata vista da nessuno dei testi presso la tabaccheria esercitare una qualsivoglia form a di controllo sull’attività del ricorrente né tantomeno dargli direttive’.
Per tal modo, infatti, la ricorrente contrappone, in termini peraltro assertivi, all’apprezzamento della prova testimoniale
compiuto dalla Corte d’appello quello che della stessa prova avrebbe operato il primo giudice.
Di là dagli evidenti profili d’inammissibilità, circa il terzo motivo si osserva ancora quanto segue.
Come si è già visto, la Corte di merito ha senz’altro tenuto conto che nel periodo oggetto di causa la titolarità formale dell’attività di cartoleria svolta all’interno del negozio faceva capo a RAGIONE_SOCIALE, ma ha constatato che la stessa COGNOME, nel costituirsi in primo grado, si fosse definita .
Assume attualmente la ricorrente che tale sua affermazione circa l’essere ‘titolare dell’azienda di rivendita di generi extra monopolio’ fosse ‘riferita al periodo antecedente la costituzione della RAGIONE_SOCIALE il 04.10.2007′ (così a pag. 6 del ricorso).
In disparte la considerazione che questa precisazione su detta sua allegazione non era presente nella sua comparsa di costituzione in primo grado (nella quale, secondo quanto già notato, neppure si parlava di detta società), la Corte di merito, come si è ora visto, non ha mancato di considerare che la titolarità in capo a sé, dichiarata inizialmente dalla stessa convenuta, dell’azienda di rivendita di generi extra monopolio apparisse non in linea con il dato che dette attività facessero capo formalmente a RAGIONE_SOCIALEs.
Sempre al netto dei preliminari rilievi d’inammissibilità, in ordine al quarto motivo si rileva quanto segue.
24.1. In esso la ricorrente censura il passaggio motivazionale in cui la Corte ha osservato: ‘Nessun riferimento è emerso ad una gestione in proprio dei COGNOME, se non per il fatto che erano da soli in negozio, il che non esclude per ciò solo la subord inazione che, si ripete non è del resto contestata’.
Ebbene, come si è visto nell’esaminare in particolare, il secondo motivo, si è in presenza di un passo che si colloca in un più ampio apprezzamento delle emergenze processuali da parte dei giudici di secondo grado.
E’ inammissibile anche il quinto motivo.
Tale censura, impostata esclusivamente in chiave di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in realtà veicola una critica nel merito di un apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte di merito, la quale, peraltro, come si è visto nell’esaminare i motivi precedenti, ha ben tenuto conto che l’attività di cartoleria faceva capo, almeno formalmente, a RAGIONE_SOCIALE
Parimenti inammissibile è il sesto motivo.
E’, difatti, evidente che la Corte distrettuale nel passo censurato dalla ricorrente non ha ritenuto l’allora convenuta onerata di chiedere la chiamata in causa, in una qualsiasi veste, de RAGIONE_SOCIALE, per poi concludere che tale onere non fosse stato assolto.
Piuttosto, la Corte si è limitata ancora una volta a constatare che la convenuta non aveva ‘mai chiamato in causa la società rilevandone la esclusiva legittimazione rispetto alla domanda del Quartarone ovvero per eventuale
garanzia/manleva’. E trattasi all’evidenza di notazione ad abundantiam volta semplicemente a mettere così in luce ulteriore dato processuale, negativo, ma obiettivo (ossia, la mancata chiamata in causa della società), che concorreva nel far concludere che la resistente in primo grado non avesse dedotto che parte dell’attività lavorativa dell’attore fosse ‘svolta in favore di un terzo (RAGIONE_SOCIALE ovvero nell’interesse proprio dei gestori’.
Infine, è inammissibile anche il settimo motivo.
Rilevato preliminarmente che la Corte di merito non ha fatto alcun esplicito riferimento alle norme di diritto che la ricorrente giudica violate, tale censura contiene in realtà una critica ad un apprezzamento probatorio operato dai giudici di secondo grado, ad essi riservato.
Invero, questi ultimi hanno esposto che le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME avevano ‘comprovato che COGNOME lavorava come coadiutore della COGNOME‘, laddove la ricorrente assume che: ‘Il sig. COGNOME non era affatto ‘coadiutore’, ma neppure avrebbe potuto esserlo non avendone i requisiti previsti dalla legge …’ (così alle pagg. 8 -9 del ricorso); tesi, a sua volta, sostenuta in base ad un diverso accertamento fattuale, per il quale si dovrebbe ritenere invece (cfr. in particolare pag. 41 del ricorso).
La ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 25.3.2025.