Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32514 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32514 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
La Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento del l’appello principale proposto dal Ministero della Giustizia avverso la sentenza del Tribunale di Roma che lo aveva condannato al pagamento della somma di € 32.032,68 in favore di NOME COGNOME a titolo di differenze di retribuzione per lavoro carcerario, ha condannato il Ministero della giustizia al pagamento della minore somma di € 15.416,10 in favore del COGNOME, ed ha rigettato l’appello incidentale.
Respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello principale, la Corte territoriale ha ritenuto insussistente l’interesse del Ministero ad impugnare la statuizione della sentenza di primo grado relativa all’inammissibilità del la costituzione del Ministero a mezzo dei propri funzionari, in quanto il primo giudice aveva ritenuto sanata ai sensi dell’art. 182 cod. proc. civ. la nullità della suddetta costituzione e al Ministero non poteva pertanto derivare alcuna utilità giuridica dall’accoglimento del gravame.
In ordine all’appello incidentale proposto dal COGNOME, la Corte territoriale ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui il lavoro carcerario va assimilato al rapporto di lavoro di diritto privato, e non rientra dunque nel novero dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 417 bis cod. proc. civ.
Ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui la nullità della procura è sanabile attraverso la rinnovazione o il rilascio di una nuova procura, mentre non è sanabile l’inesistenza della procura stessa; ha dunque rilevato che correttamente il primo giudice, dopo aere rilevato la nullità della procura, ha assegnato un termine per la sanatoria, che era successivamente avvenuta ex tunc con la costituzione dell’Avvocatura Generale dello Stato.
Il giudice di appello ha inoltre ritenuto la competenza territoriale del Tribunale di Roma, in quanto ha ritenuto applicabile il criterio di competenza territoriale previsto dall’art. 413, secondo comma, cod. proc. civ. , e non quello indicato nel successivo quinto comma.
Ha poi escluso la decorrenza del termine di prescrizione in costanza di rapporto nel lavoro carcerario, ed ha individuato la cessazione del rapporto con la fine dell’attività lavorativa e con la corresponsione della controprestazione, salva la dimostrazione, da parte del detenuto, di un espresso patto di sospensione del rapporto.
Ha infine rilevato che il rapporto di lavoro era cessato nel dicembre 1998, nel giugno 2004, nel giugno 2010, nel febbraio 2011 e nel gennaio 2016 ed ha ritenuto coperti da prescrizione i compensi maturati fino al febbraio 2011, in quanto la prima diffida risale al settembre 2019.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrato da memoria.
Il Ministero della giustizia, oltre a resistere con controricorso, ha proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo.
DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 417 bis cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.
Richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui la sanatoria prevista dall’art. 182 cod. proc. civ. presuppone che la regolarizzazione degli atti avvenga in favore del procuratore già costituito; evidenzia che nel caso di specie si era costituito in giudizio un soggetto diverso.
Sostiene che la costituzione del Ministero della giustizia nel giudizio di primo grado tramite propri funzionari era affetta da nullità insanabile o inesistenza.
Evidenzia che l’eccezione di prescrizione non era stata validamente sollevata nel giudizio di primo grado, ed era stata comunque proposta oltre il termine previsto dall’art. 416 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità della suddetta eccezione e dell’atto di appello.
Con il secondo motivo, il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la parziale fondatezza dell’eccezione di prescrizione.
Critica la sentenza impugnata per avere ravvisato la sussistenza di distinti rapporti di lavoro, evidenziando il carattere unitario del rapporto di lavoro instaurato con il detenuto lavoratore.
Aggiunge che gli eventuali periodi di inattività dei detenuti lavoratori costituiscono mere sospensioni dell’unico rapporto di lavoro e non sono assimilabili a licenziamenti; richiama sul punto il messaggio INPS n. 909 del 5.3.2019, nonché la giurisprudenza di legittimità che ha esteso la sospensione del termine di prescrizione all’ipotesi di successione tra le stesse parti di più contratti a tempo indeterminato.
Evidenzia che il rapporto di lavoro si era svolto dal mese di agosto 1998 al mese di agosto 2017, che il Ministero della giustizia non aveva fornito la prova dell’apposizione di termini di durata, e che il termine di prescrizione era stato interrotto in data 20.9.2019 e 12.12.2019, mentre il ricorso introduttivo era stato notificato al Ministero della giustizia in data 23.3.2020.
Con l’unico motivo, il ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. e dell’art. 417 bis cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto l’insussistenza dell’interesse ad agire.
Sostiene che l’esame del primo motivo dell’appello principale, riguardante l’erroneità della statuizione relativa all’irritualità della costituzione del Ministero della giustizia a mezzo di propri funzionari, avrebbe determinato l’inammissibilità del motivo di appello incidentale della controparte.
Deduce che il principio di diritto richiamato dalla Corte territoriale è stato enunciato in relazione alla diversa questione della mercede carceraria.
Sollecita la rimeditazione dell’assunto secondo cui il lavoro carcerario va qualificato come rapporto di lavoro privato, evidenziando che la prestazione è resa nei confronti di articolazioni del Ministero della giustizia, che il detenuto non
è inserito in una struttura gestita con criteri imprenditoriali e che il rapporto non è stato espressamente qualificato come privatistico.
Richiama altre sentenze della Corte di Appello di Roma, secondo cui ai fini della ritualità della costituzione dell’Amministrazione a mezzo di propri funzionari, occorre che si tratti di una controversia di lavoro e che il datore di lavoro sia una Pubblica Amministrazione.
Argomenta inoltre che i criteri di individuazione del foro competente a fronte del ritenuto carattere privatistico del rapporto non devono necessariamente condizionare l’applicabilità dell’art. 417 bis cod. proc. civ., e che l’apparente interpretazione letterale della norma confligge con la ratio della norma medesima.
Il primo motivo del ricorso principale è fondato, valutando il Collegio di condividere i precedenti di cui a Cass. n. 2092/2024 e a Cass. n. 27372/2024.
L’art. 417 -bis cod. proc. civ. rubricato come riguardante la ‘difesa delle pubbliche amministrazioni’, prevede che ‘nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 41 3, limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti’; si tratta di norma che, in senso lato, appartiene all’ambito in cui la legge consente la difesa ‘personale’ delle parti, cioè non a mezzo di ‘difensore’ (art. 82 cod. proc. civ.) per tale intendendosi un avvocato abilitato alla difesa tecnica, secondo le norme proprie della relativa professione.
L’art. 417 -bis ha quindi palesemente portata derogatoria rispetto ad una diversa regola generale, la quale, come tale, non tollera applicazioni analogiche; d’altra parte, il tenore letterale della norma è chiaro ed è perimetrato sulle ‘controversie rel ative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413’, sicché tutto dipende dal rientrare delle cause riguardanti il lavoro carcerario in tale ambito o meno.
In proposito, tuttavia, questa S.C., seppur pronunciando in tema di competenza territoriale, ha chiarito – con orientamento reiterato nel tempo e da cui non vi è ragione di dissentire -che la regola di cui all’art. 413, comma 5, cod. proc. civ., è da intendersi specificamente riferita ai rapporti di lavoro
pubblico, mentre al lavoro carcerario sono applicabili i criteri previsti dall’art. 413, comma 2, cod. proc. civ., trattandosi di prestazioni svolte – sia pure per il perseguimento dell’obiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro e sotto la gestione degli istituti di pena, all’interno o all’esterno degli stessi penitenziari – nell’ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche e private, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro privato (Cass. 8 maggio 2019, n. 12205; Cass. 17 agosto 2009, n. 18309).
Non resta dunque integrata la fattispecie tipica di cui all’art. 417 -bis cod. proc. civ. e dunque, pur prendendosi atto delle esigenze di semplificazione addotte dal Ministero ricorrente, non è possibile, in mancanza di norma esplicita in tal senso, estendere analogicamente una previsione eccezionale e di significato testuale inequivocabile.
Né può ritenersi applicabile alla fattispecie per cui è causa l’art. 182 cod. proc. civ. nella parte in cui prevede a carico del giudice l’obbligo di verificare d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti al fine di invitarle, quando occorre, a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi (comma 1).
Come si evince, infatti, dal comma 2, dell’indicato art. 182 cod. proc. civ. (testo ratione temporis vigente, come sostituito dall’art. 46, comma 2, della l. 18 giugno 2009, n. 69, con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009 ed anteriore alle modifiche di cui all’art. 3, comma 13, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che, ai sensi della disciplina transitoria, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data mentre ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti) la regolarizzazione riguarda la procura ed il caso in cui sia stato rilevato un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione.
Con riferimento ai poteri del difensore, la norma prevede che il giudice assegni alle parti un termine perentorio per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.
Ma come da questa Corte già affermato, la sanatoria non può che presupporre un vizio emendabile, che è situazione diversa da quella della radicale inesistenza della difesa tecnica, incidente sulla validità dell’instaurazione del rapporto processuale, nella quale è impedita ab origine la produzione di qualsiasi effetto giuridico, senza alcuna possibilità di sanatoria.
L’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., nella formulazione anteriore alla c.d. riforma Cartabia, non consente infatti di ‘sanare’ l’inesistenza o la mancanza in atti della procura alla lite (Cass., Sez. U, 21 dicembre 2022, n. 37434), giacché in tale te sto espressamente si fa riferimento ad ‘un vizio che determina la nullità della procura’ (ciò, a differenza di quanto accade nel testo come novellato dal d.lgs. n. 149/2022, ove si è espressamente esteso il fenomeno giuridico della sanatoria anche alla fattispecie di inesistenza: cfr. Cass. 9 ottobre 2023, n. 28251).
D’altra parte, nel caso di specie, non può a ben vedere neanche dirsi che l’accaduto consista nella costituzione di un difensore privo di procura o con procura nulla, in quanto si è verificato il diverso fenomeno della partecipazione al giudizio -al di fuori dei casi in cui ciò è consentito -attraverso un dipendente dell’Amministrazione, sicché la costituzione invalida resta testualmente non soggetta alla disciplina di cui all’art. 182 cod. proc. civ., la quale riguarda, stante il riferimento appunto alla procura, l’integrazione dei poteri di un avvocato abilitato alla difesa tecnica.
A tanto consegue che, come evidenziato dal ricorrente principale con il primo motivo di ricorso e come evincibile dalla stessa sentenza impugnata (v. pag. 2), i rilievi contenuti nell’appello principale in ordine all’erroneo rigetto dell’eccezione di incompetenza per territorio e sull’erroneo rigetto dell’eccezione di p rescrizione dovevano essere disattesi, non potendo ritenersi rituale la costituzione a mezzo del funzionario al fine della proposizione delle suddette eccezioni, con conseguente conferma della pronuncia di prime cure.
Ne consegue l’infondatezza del ricorso incidentale.
Alla luce di quanto fin qui evidenziato, l’ esame del primo motivo di appello principale, con cui il Ministero della giustizia ha lamentato che la sentenza di primo grado aveva erroneamente ritenuto l’irritualità della sua costituzione a
mezzo dei propri funzionari ai sensi dell’art. 417 bis cod. proc. civ., non ne avrebbe infatti comportato l’accoglimento, né avrebbe determinato l’inammissibilità dell’appello incidentale (che aveva ad oggetto la medesima questione, avendo addebitato al primo giudice di avere erroneamente sanato l’inesistenza dello ius postulandi ).
Il secondo motivo del ricorso principale, che lamenta l’erroneo parziale accoglimento dell’eccezione di prescrizione, deve pertanto ritenersi assorbito.
Va, quindi, accolto il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, e va rigettato il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro 32.032,68 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo.
La regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio segue la soccombenza; tutte le spese sono da attribuire al difensore antistatario.
Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo del ricorso principale accolto e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento della somma di € 32.032,68 oltre interessi legali dalle singole scadenze al saldo, in favore di NOME COGNOME;
condanna il Ministero della giustizia al pagamento delle spese di lite dell’intero processo , che si liquidano quanto al giudizio di primo grado in € 2.900,00 , oltre accessori di legge e quanto al giudizio di appello in € 2.000,00, oltre accessori di legge, e quanto al giudizio di legittimità in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella
misura del 15% e accessori di legge, spese tutte da attribuirsi al difensore antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della