Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21010 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21010 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
Oggetto: Pubblico impiego -Attività lavorativa svolta in regime carcerario -prescrizione dei crediti -ius postulandi funzionario
Dott.
NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott.
NOME
COGNOME Consigliere –
SARRACINO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20822/2024 R.G. proposto da: COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME e domiciliato presso il suo studio in ROMA INDIRIZZO con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
-intimato –
avverso la sentenza n. 1417/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/04/2024 R.G.N. 527/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME avendo svolto in qualità di detenuto presso istituti penitenziari, attività lavorativa all’interno di diverse Case circondariali, nei periodi specificamente indicati (dal settembre 2004 sino al giugno 2020 con mansioni varie) aveva chiesto l’adeguamento retributivo rispetto alla ‘mercede’ corrispostagli per tali attività lavorativa.
Il Tribunale di Roma, disattesa l’eccezione di prescrizione formulata dall’Amministrazione (stante l’irritualità della costituzione del Ministero a mezzo dei funzionari) e comunque ritenuto che non fosse maturata alcuna prescrizione, aveva accolto la domanda e condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di euro 9.060,93.
La pronuncia era riformata dalla Corte d’appello di Roma.
La Corte territoriale, cui era stata, tra le altre, devoluta la questione della ritualità della costituzione in giudizio del Ministero a mezzo dei funzionari e quella della decorrenza della prescrizione dalla cessazione di ciascuno dei rapporti a termine, riteneva, quanto alla costituzione in giudizio del Ministero rimarcava che il Tribunale aveva disposto la regolarizzazione di tale costituzione in giudizio e che, quanto alla eccezione di prescrizione, che il termine decorresse dalla cessazione dei singoli rapporti di lavoro e che conseguentemente vi fosse la maturazione del quinquennio per i periodi lavorati fino al maggio 2016.
In conseguenza rideterminava le somme dovute nella minor misura di euro 2.929,18.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il Ministero, nonostante la rituale notifica del ricorso all’Avvocatura Generale dello Stato, è rimasto intimato.
6. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 416 e 437, comma 2, cod. proc. civ., 2697, comma 2, cod. civ., degli artt. 115, 112, 132 n. 4, cod. proc. civ., degli artt. 15 e 20 legge n. 354/1975, dell’art. 19 n. 4 d.lgs. n. 81/2015, degli artt. 2246 cod. civ., 2729 cod. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., art. 111 Cost. e 6 CEDU, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ.
Assume che la ritenuta esistenza di autonomi e distinti rapporti di lavoro a termine tra le parti era, in realtà, rimasta priva di prova.
Afferma il ricorrente che il rapporto di lavoro non sarebbe cessato nel dicembre 2013, ma sarebbe continuato fino al 2020, senza che potesse ipotizzarsi l’esistenza di una pluralità di contratti a termine autonomi.
Rileva che, in presenza di una pluralità di rapporti di lavoro subordinato, nessuno dei quali assistito da stabilità reale, il termine relativo alla prescrizione quinquennale del primo non sarebbe dovuto decorrere, ove caduto durante la vigenza del successivo.
Inoltre, evidenzia che i rapporti di lavoro a termine sarebbero un’eccezione alla regola.
Lamenta, poi, che non sarebbe stata considerata ammissibile documentazione ritualmente prodotta.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 417 bis, 413, 115, 182, 132 n. 4, cod. proc. civ., errore in procedendo.
Deduce, in sintesi, che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sanata, in seguito alla costituzione dell’Avvocatura generale dello Stato, l’attività processuale posta in essere in precedenza da un funzionario delegato dalla P.A.
Ragioni di ordine logico impongono l’esame prioritario del secondo motivo di ricorso che è fondato.
Nella presente controversia il Ministero della Giustizia si era costituito in primo grado tramite un suo funzionario delegato ex art. 417 bis cod. proc. civ.
Il Tribunale di Roma, ritenuto che, nella specie, venendo in rilievo l’attività lavorativa svolta da un carcerato durante la detenzione, detta disposizione non fosse applicabile, ha concesso un termine ex art. 182 cod. proc. civ., al fine di sanare la rilevata irregolarità, alla P.A., la quale si è costituita, quindi, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato.
Ciò rileva in quanto, nella memoria difensiva presentata dal funzionario che per primo aveva rappresentato il Ministero della Giustizia, era stata sollevata eccezione di prescrizione, fatta propria, in seguito, dall’Avvocatura dello Stato.
In sede di decisione finale, tuttavia, il medesimo Tribunale ha valutato che non potesse trovare applicazione l’art. 417 bis cod. proc. civ. ed in ogni caso ha respinto l’eccezione di prescrizione nel merito.
La Corte territoriale ha ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione del Ministero appellante.
Nel presente giudizio di legittimità il ricorrente ripropone, con il motivo qui all’esame, la questione della legittimazione del funzionario, eccepita in primo grado e reiterata in appello.
Il ricorrente sostiene la tesi per la quale le deduzioni e le produzioni del menzionato funzionario sarebbe state nulle -inesistenti e, pertanto, ‘inesistenti ed inutilizzabili giuridicamente’.
La tesi è stata già condivisa da questa Corte nelle decisioni n. 2092 del 19 gennaio 2024 e n. 27372 del 22 ottobre 2024 e più di recente n. 5502 del 2025.
Preliminarmente, si osserva che l’art. 417 bis cod. proc. civ., rubricato la ‘difesa delle pubbliche amministrazioni’, prevede che ‘nelle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’art. 413 cod. proc. civ., limitatamente al giudizio di primo grado le amministrazioni stesse
possono stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti’; si tratta di norma che, in senso lato, appartiene all’ambito in cui la legge consente la difesa ‘personale’ delle parti, cioè non a mezzo di ‘difensore’ (art. 82 cod. proc. civ.), per tale intendendosi un avvocato abilitato alla difesa tecnica, secondo le norme proprie della relativa professione.
L’art. 417 bis cod. proc. civ. ha, quindi, portata derogatoria rispetto a una diversa regola generale e, pertanto, non è suscettibile di applicazioni analogiche.
Si tratta di una disposizione che riguarda le ‘controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al quinto comma dell’articolo 413’, con la conseguenza che la sua operatività, nella specie, dipende dal fatto che il lavoro carcerario sia ritenuto o meno come ricompreso fra detti ‘rapporti’.
Al riguardo, questa S.C., pur pronunciandosi in tema di competenza territoriale, ha chiarito -con orientamento reiterato nel tempo e dal quale non vi è ragione di dissentire -che la regola di cui all’art. 413, comma 5, cod. proc. civ. è da intendere specificamente riferita ai rapporti di lavoro pubblico, mentre al lavoro carcerario sono applicabili i criteri previsti dall’art. 413, comma 2, cod. proc. civ., trattandosi di prestazioni svolte -sia pure per il perseguimento dell’obiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro e sotto la gestione degli istituti di pena, all’interno o all’esterno degli stessi penitenziari -nell’ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche e private, con conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro privato (Cass., Sez. 6 -L, n. 12205 dell’8 maggio 2019; Cass., Sez. L, n. 18309 del 17 agosto 2009). Ne deriva che, nella presente controversia, non trova applicazione l’art. 417 bis cod. proc. civ.
Sorge, allora, il problema se l’irregolarità in esame sia sanabile, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., come sostenuto dalla Corte del merito.
L’art. 182 cod. proc. civ., nel testo applicabile (il giudizio di primo grado è stato introdotto nel 2020), anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 3 del d.lgs. n. 149 del 2022 e posteriore a quelle previste dall’art. 46, comma 2, della legge n. 69 del 2009, stabilisce che: « Il giudice istruttore verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza, o l’assistenza, o per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione ».
Le Sezioni Unite di questa S.C., con sentenza n. 37434 del 21 dicembre 2022, hanno affermato che l’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dall’art. 46, comma 2, della legge n. 69 del 2009, non permette di sanare l’inesistenza o la mancanza in atti della procura alla lite (diversamente da quanto consentito nel testo dell’art. 182 cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022, ove si è espressamente estesa la possibilità di sanatoria anche alle fattispecie di inesistenza: Cass., Sez. 3, n. 28251 del 9 ottobre 2023).
Ne deriva che la sanatoria de qua riguarda le procure conferite, ma nulle, e non quelle inesistenti.
Pertanto, se si ritenesse che l’irregolarità, sicuramente riferibile all’attività processuale compiuta dal funzionario del Ministero della
Giustizia, vada ricondotta alla figura dell’inesistenza della procura, non potrebbe trovare spazio l’art. 182, comma 2, cod. proc. civ.
Se, invece, si considerasse siffatta attività viziata da una nullità processuale, nella sostanza qualificando come una procura il provvedimento di designazione del funzionario delegato, il ricorso a tale disposizione sarebbe possibile.
Ritiene questo Collegio che, nella specie, non vi fosse una procura, neppure invalida.
In primo luogo, si evidenzia che, nella fase iniziale del giudizio di primo grado, il Ministero della Giustizia, essendo rappresentato da un suo dipendente, era in una situazione del tutto equiparabile a quella di una parte che si difenda da sé.
Se le cose stanno così, però, non trovando applicazione, come detto, l’art. 417 bis cod. proc. civ. (o altre disposizioni che consentono la difesa della parte di persona), il menzionato Ministero doveva essere considerato contumace, almeno fino al momento della sua costituzione tramite Avvocatura dello Stato, come già affermato dalla giurisprudenza di questa S.C. (Cass., Sez. 3, n. 9844 del 19 luglio 2001).
D’altronde, è principio generale che non possa prospettarsi una sanabilità dell’atto promosso direttamente dalla parte priva di ius postulandi (Cass., Sez. 6, n. 24257 del 4 ottobre 2018).
Inoltre, si rileva che la sanatoria ex art. 182, comma 2, cod. proc. civ. presuppone che vi sia un vizio emendabile. Diversa è, invece, la situazione che si verifica nell’ipotesi di assenza della difesa tecnica, incidente sulla validità dell’instaurazione del rapporto processuale, nella quale è impedita ab origine la produzione di qualsiasi effetto giuridico.
Infatti, l’art. 182, comma 2, cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 69 del 2009, presuppone la regolarizzazione in favore del soggetto o del suo procuratore già costituiti e non consente, pertanto, la costituzione in giudizio di un soggetto diverso da quello al quale la procura, da sanare, sia riferibile, mirando la disposizione in esame, più
semplicemente, all’integrazione dei poteri di un avvocato già abilitato alla difesa tecnica, come si evince dal fatto che il suo testo fa espressamente riferimento ad ‘un vizio che determina la nullità della procura’ (Cass., SU, n. 37434 del 21 dicembre 2022; Cass., SU, n. 10414 del 27 aprile 2017).
Ne consegue che il motivo di ricorso merita accoglimento e questo comporta che non può ritenersi rituale la costituzione della Amministrazione a mezzo del funzionario al fine della eccezione di prescrizione.
È assorbito il primo motivo di ricorso relativo alla decorrenza della prescrizione, in quanto la stessa eccezione di prescrizione, su cui si incentrava l’appello del Ministero, doveva essere disattesa per essere irrituale la costituzione a mezzo del funzionario in primo grado, con conseguente conferma della pronuncia di condanna resa dal Tribunale.
La sentenza impugnata va, quindi, cassata in relazione al motivo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con la condanna del Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro 9.060,93 oltre al maggior importo tra interessi legali e rivalutazione dalla maturazione al saldo.
La regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio segue la soccombenza, con distrazione in favore del difensore che ha reso la prescritta dichiarazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di euro 9.060,93 oltre al maggior importo tra interessi legali e rivalutazione dalla maturazione al saldo; condanna, altresì, il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di primo grado, che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori di
legge; delle spese del giudizio di secondo grado che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge; delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge; spese tutte da attribuire all’Avv. NOME COGNOME antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione