Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27266 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27266 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24938/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 1930/2020 depositata il 27/07/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/09/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
RAGIONE_SOCIALE , con atto notificato il 24 .09.2020, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 930/2020 del
27.7.2020 . RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. NOME adiva il Tribunale di Vicenza nei confronti di RAGIONE_SOCIALE esponendo che in data 1 . 10 . 2014 aveva reso dichiarazione ex art . 546 c.p.c , affermando l’ esistenza di debiti pagabili per euro 221. 694, 35, cifra successivamente modificata, dopo la conversione del sequestro in pignoramento, all ‘ udienza di assegnazione del 17 . 06 . 2015, in euro 506. 202, 60; successivamente, il 29. 09. 2015 veniva notificato a NOME un nuovo atto di pignoramento presso terzi e, in data 9 . 10 . 20 15, era stata resa nuova dichiarazione ex art.546 c.p.c. in cui RAGIONE_SOCIALE dava atto dell ‘esistenza di ulteriori fatture per un importo di euro 465 .730, 13. Per tale motivo la creditrice procedente, con separato giudizio, chiedeva a NOME il risarcimento del danno per avere rilasciato, all’epoca dell’aggiudicazione, dichiarazioni mendaci in ordine alla consistenza del debito. Il Tribunale, pur avendo accertato la sussistenza del fatto illecito (il mendacio) aveva ritenuto il danno insussistente in quanto detta somma, per quanto provata come debito portato da fatture, nel frattempo, era stata ceduta a creditori privilegiati (i lavoratori di COGNOME
RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale di RAGIONE_SOCIALE) per un importo di € 1.500.000,00.
La Corte d’appello di Venezia, in accoglimento dell’appello principale di NOME, e in rigetto di quello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, condannava quest’ultima a versare a NOME, creditrice procedente, l’importo di € 465.749,83, oltre interessi legali e spese dei due gradi di giudizio, a titolo di risarcimento del danno per avere dichiarato in sede di assegnazione, quale terza pignorata, di dovere a RAGIONE_SOCIALE una somma inferiore al dovuto, in ciò riformando la sentenza di primo grado.
Motivi della decisione
ll ricorso di RAGIONE_SOCIALE è affidato a cinque motivi.
Con il primo motivo, ex art. 360 n. 5 c.p.c. la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: errore di calcolo circa l’ammontare delle fatture dichiarate il 9.10.2015 e omesse nella precedente dichiarazione del 17.06.2015. Deduce NOME di avere affermato e documentato, sin dal primo grado del giudizio, come la somma delle fatture non dichiarate all’udienza del 17.06.2015 (doc. 4.4.), risultanti dalla successiva dichiarazione del 9.10.2015 (doc. 4.5), ammonti a € 361.797,46 e non a € 465.750,1 3. Nella dichiarazione di NOME del 9.10.2015 verrebbero riportate 2 volte la fattura n 153 del 31.12,20 di € 97.256,30 e la fattura n. 36 del 2015 di € 6.696,07 per complessivi € 103.952,37, e pertanto si tratterebbe di un mero refuso: la somma complessiva delle fatture riportata nella predetta dichiarazione sarebbe in realtà corretta e la loro somma sarebbe facilmente verificabile, essendo pari a €
361.797,46, e non a € 465.749,83. La sentenza della Corte d’Appello di Venezia ometterebbe di esaminare quanto da sempre dedotto da NOME, ossia l’errore di calcolo compiuto da NOME, che avrebbe condotto alla diminuzione di quanto richiesto a titolo risarcitorio.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce ex art 360 primo comma. n. 5) il vizio di omesso esame per motivazione assente, apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria. perplessa ed incomprensibile, in relazione alla medesima circostanza non rilevata, in quanto, da un lato l’ammontare del danno è pari alle fatture emesse alla data del 17.06.2015 (ma non dichiarate a tale data) e risultanti dalla dichiarazione del 9.10.2015, dall’altro però afferma che l’ammontare del danno è pari a € 465.749,83, il quale importo tuttavia non corrisponde all’ammontare delle fatture omesse. La sentenza d’appello viene censurata anche laddove, nell’affermare l’esistenza dell’illecito e poi nel quantificarne il danno, statuisce che le fatture non dichiarate sarebbero state esigibili alla data del 17-06-2015, atteso che ai sensi degli attt. 11 e 16 del Contratto (doc. 4.1) il pagamento delle COGNOME è subordinato al pagamento da parte del Committente Comune di Catania e alla regolarità contributiva, come sempre evidenziato da NOME. La stessa NOME avrebbe sostenuto che divenivano esigibili dopo il 17.06.2015 ed entro il 31.07.2015, data di loro cessione ai dipendenti ( p. 3 ricorso ex alt. 702 bis c.p.c., pag. 4 atto di citazione ex art. 702 quater C.P.C.). Deduce pertanto che non si comprende il motivo per cui le fatture omesse nella dichiarazione del 17.06.2015 (a differenza peraltro delle altre 28, sempre del 2015) sarebbero state esigibili a tale data.
Con il terzo motivo, ex art. 360, primo comma, n, 3) c.p.c., la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione
dell’art, 112 c.p.” e dell’art. 2043 c.c. La Corte d’Appello non avrebbe precisato come ha determinato l’importo di € 465.749,83, e qualora avesse inteso ricomprendervi qualcuna delle fatture già dichiarate il 17.06.2015, allora avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. per aver interpretato erroneamente la domanda e aver pronunciato oltre i limiti di essa.
I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto riferiti alla medesima questione, sono inammissibili.
Da un lato, questo Collegio rileva l’inammissibilità del primo e secondo motivo che denunciano, in sostanza, un errore materiale di calcolo commesso dalla Corte d’appello: l ‘errore di calcolo può essere denunciato con ricorso per cassazione quando sia riconducibile all’impostazione delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, lamentando un “error in iudicando” nell’individuazione di parametri e criteri di conteggio, mentre, ove consista in un’erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici, individuazione e ordine delle operazioni da compiere esattamente determinati, è emendabile con la procedura di correzione ex art. art. 287 c.p.c. ( Cass.Sez. 3 – , Sentenza n. 23704 del 22/11/2016; Cass.Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2486 del 29/01/2019).
Dall’altro, per la restante parte i motivi non si confrontano adeguatamente con la sentenza che ha ritenuto irrilevante la questione attinente alla inesigibilità dei crediti portati nelle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE per mancata accettazione dell’opera da parte del Comune committente, assumendo che ciò rileva solo nei rapporti interni tra RAGIONE_SOCIALE) e il proprio committente (il Comune ), e tale impedimento sarebbe stato comunque superato
dall’emissione delle fatture da parte RAGIONE_SOCIALE, subappaltatrice di NOME.
A proposito del rilevato illecito (il mendacio), vale anche quanto segue in relazione all’accertamento con pronuncia ‘ doppiamente conforme ‘ del fatto illecito da parte dei giudici di merito.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce ex art. 360, primo comma n. 3) c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 547 e 686 C.P.C. e dell’art. 2043 c.c. laddove la sentenza impugnata afferma che “L’obbligo del terzo pignorato, nel rendere la dichiarazione ex arti 547 di fornire indicazioni complete e dettagliate dal punto di vista oggettivo, in modo da consentire l’identificazione dell’oggetto della prestazione dovuta al debitore esecutato, compresi il titolo ed il ” quantum ” del credito pignorato, quindi non sussiste solo all’udienza all’uopo fissata ma anche successivamente, fino all’udienza di aggiudicazione, ove l’ammontare del debito, come avvenuto nel caso di specie, può essere ulteriormente precisato, indicando ulteriori debiti che siano nel frattempo divenuti esigibili’.
La ricorrente assume che l’art. 547 c.p.c. non affermerebbe tale principio, né esso sarebbe evincibile dalla giurisprudenza richiamata dalla Corte d’Appello di Venezia (Cass. n. 10912/2017) e, pertanto, non sussisterebbe un obbligo del terzo pignorato di rinnovare la dichiarazione in sede di assegnazione. Nei fatti, NOME avrebbe ottemperato ai suoi obblighi, in quanto nella dichiarazione del 01.10.2014, l’unica che andava resa e che, come si legge nel relativo verbale d’udienza, era una “dichiarazione positiva, seppur in parte condizionata”, avrebbe correttamente portato NOME a conoscenza del Contratto (addirittura ne ha prodotto copia) e diligentemente precisato la situazione debitoria esistente,
indicando tutte le fatture emesse alla data di notifica del sequestro, ripartendola tra fatture esigibili (per € 221.694,35 e non per € 232.857,63), precisando altresì che v’era un’ulteriore fattura ceduta a Banca Nuova (per € 29.044,63) ante notifica dell’atto di sequestro (doc. 4.2). NOME, invece, con estremo zelo avrebbe presenziato anche all’udienza di assegnazione del 17.06.2015 e precisato, rispetto alla precedente dichiarazione del 01.10.2014, quali di quelle fatture fossero divenute ulteriormente esigibili, per cui ha reso una dichiarazione corretta anche in sede di assegnazione: anzi NOME sarebbe andata ben oltre perché avrebbe in seguito indicato anche ulteriori fatture nel frattempo divenute esigibili (e anch’esse oggetto dell’ordinanza di assegnazione) che non aveva l’onere di indicare essendo in realtà escluse dal sequestro/pignoramento. Mentre, secondo la ricorrente, il principio affermato dalla giurisprudenza -per ora solo di merito (Trib. Roma, sez. civ. IV bis, ord. 9.12.2014 e Trib. Roma, 22.02.2012), ma comunque non smentito dalla giurisprudenza di legittimità -, disatteso dalla Colte d’Appello di Venezia, sarebbe che a seguito delle novelle legislative apportate al procedimento di espropriazione presso terzi dalla legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012 ) e dal “decreto giustizia” (DL. n. 132/2014) convertito nella L. n. 162/2014, l’obbligo del terzo va accertato alla data di notifica del pignoramento, mentre i crediti eventualmente venuti ad esistenza in itinere dopo la notificazione, al terzo, dell’atto del pignoramento, rimangono estranei all’esecuzione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con il quinto motivo ex art. 360, primo comma n. 3) c.p.c., la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2043 e 1227 c.c., nonché degli artt., 16 e
11 del Contratto, perché, anche a volere ritenere la successiva data di assegnazione, le fatture alla data del 17.06.2015 non erano ancora state ricevute da NOME che ne avrebbe fornito dimostrazione producendo le predette fatture con il timbro della loro registrazione successivamente al 17.06.2015 (docc. da 4,8 a 4,23).
I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione di nullità della sentenza in relazione al fatto illecito accertato. Essi sono inammissibili.
Sotto il profilo giuridico il motivo è palesemente infondato perché, quanto alla posizione del terzo pignorato, la Corte d’appello ha correttamente indicato che il terzo pignorato, in sede di udienza di aggiudicazione, può sempre aggiornare l’ammontare del proprio debito in quanto il terzo creditore può modificare, aumentandolo o diminuendolo, il proprio debito nei confronti del debitore principale sino al momento dell’assegnazione, in ciò richiamando il principio espresso da Cass. , Sez. 3, n. 10912/2017 cui questo Collegio intende conformarsi.
Il terzo pignorato, quando ha reso una dichiarazione positiva e sia stata di conseguenza pronunciata l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., diviene ipso iure debitore del creditore procedente. Nell’ipotesi di dichiarazione positiva ex art. 547 c.p.c., resa per errore incolpevole, il terzo pignorato può revocare la dichiarazione medesima sino all’emissione dell’ordinanza di assegnazione, mentre, se l’errore emerga successivamente, ha l’onere di proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso tale provvedimento. In mancanza di opposizione, l’ordinanza di assegnazione è irretrattabile e, nell’esecuzione forzata iniziata sulla base di essa, il terzo pignorato, assunta la qualità di debitore esecutato, può proporre solo contestazioni fondate su fatti sopravvenuti.
Rimozione, tuttavia, che non è stata chiesta da quest’ultimo in sede di opposizione (Cass. , Sez. 3, n. 10912/2017).
Gli obblighi di collaborazione del terzo pignorato sottolineati, in diverse occasioni, da questa Corte attengono all’individuazione dell’oggetto del pignoramento: ciò in correlazione con l’art. 543, comma secondo, n. 2 cod. proc. civ. che – con norma rimasta immutata anche dopo le ripetute modifiche dello stesso articolo e degli altri successivi, con le leggi che si sono succedute nel periodo 2012- 2014 consente che l’atto di pignoramento contenga l’indicazione delle cose o delle somme dovute «almeno generiche», nella prospettiva appunto che la specificazione di queste si abbia a seguito della dichiarazione del terzo pignorato. Sicché la peculiare posizione del terzo pignorato, quale collaboratore, od ausiliario, del giudice dell’esecuzione, e parte di un rapporto sostanziale esistente col proprio creditore (quale debitor debitoris ), non anche col creditore procedente, comporta che la sua responsabilità per avere reso una dichiarazione ex art. 547 cod. proc. civ. che si assume falsa o reticente, si configuri come illecito aquiliano, a norma dell’art. 2043 cod. civ. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 16576 del 13/06/2024)
Quanto al mendacio accertato, le censure pongono ulteriori questioni attinenti al merito dell’accertamento avvenuto del tutto inammissibili in tale giudizio di legittimità.
Da un lato, per quanto sopra già osservato, vi è stato un doppio accertamento conforme da parte dei giudici di merito circa la sussistenza del fatto illecito oggetto di causa nella misura considerata che, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter, ultimo comma, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , esclude financo la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso
codice nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cfr. Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
Dall’altro, la censura, anche se espressa in termini di violazione delle norme di cui agli artt. 2697 e 2043 c.c., anche in relazione al quantum dell’importo accertato appare inammissibile per come formulata, in quanto tende a contestare l’esito di un accertamento in fatto, non più scrutinabile perché induce il giudice di legittimità a confrontarsi con il materiale probatorio prodotto nella fase di merito e non a valutare la corretta applicazione delle suddette norme, non messe idoneamente in discussione.
Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile. Spese a favore della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in € 7.200,00, oltre € 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento all’ufficio di merito competente, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 09/09/2024.