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Dichiarazione mendace: niente punti per il servizio

La Corte d’Appello ha confermato la decisione di non attribuire punteggio per un servizio lavorativo svolto nel settore scolastico, poiché il contratto era stato ottenuto sulla base di una dichiarazione mendace. Una lavoratrice aveva indicato un voto di diploma superiore a quello reale, ottenendo così un incarico. L’Amministrazione, scoperto l’errore, ha rettificato il punteggio e considerato il servizio prestato come ‘di fatto’, senza valore ai fini della graduatoria. La Corte ha stabilito che i controlli sono legittimi anche se non immediati e che non può esistere un legittimo affidamento in caso di dichiarazioni non veritiere, anche se l’errore non è intenzionale.

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Dichiarazione Mendace e Punteggio: Niente Punti per il Servizio Svolto

Una recente sentenza della Corte d’Appello ha ribadito un principio cruciale nel pubblico impiego: una dichiarazione mendace, anche se commessa senza dolo, può costare caro. In particolare, il servizio prestato grazie a un punteggio errato non dà diritto ai relativi punti in graduatoria. Analizziamo insieme questo caso, che offre importanti spunti sulla tempestività dei controlli della Pubblica Amministrazione e sul concetto di legittimo affidamento.

I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Errata e le Sue Conseguenze

Una lavoratrice del personale ATA era stata inserita nelle graduatorie di istituto sulla base delle sue dichiarazioni, tra cui un voto di diploma di maturità indicato come 48/60. Grazie a questo punteggio, ottiene un contratto a tempo determinato come Collaboratore Scolastico. Tuttavia, a seguito di una verifica, l’Amministrazione Scolastica scopre che il voto reale conseguito dalla lavoratrice era 38/60.

Di conseguenza, l’istituto procede alla rideterminazione del punteggio, riducendolo significativamente, e qualifica il servizio già prestato come ‘servizio di fatto’, negando l’attribuzione del relativo punteggio per la graduatoria. La lavoratrice impugna il provvedimento, sostenendo che i controlli fossero stati effettuati tardivamente e che lei avesse agito in buona fede, avendo fatto affidamento su una vecchia fotocopia del diploma, dato che l’originale era andato smarrito.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione. I giudici hanno stabilito che i controlli sulle dichiarazioni possono essere effettuati anche dopo la stipula del contratto di lavoro e che l’affidamento della lavoratrice non poteva essere tutelato, poiché la situazione favorevole derivava da una sua stessa dichiarazione oggettivamente non veritiera. Il servizio prestato, pertanto, è stato correttamente considerato ‘di fatto’ e non utile ai fini del punteggio.

Le Motivazioni della Sentenza: Analisi sul Principio di Dichiarazione Mendace

Le motivazioni della Corte si fondano su alcuni pilastri giuridici fondamentali.

In primo luogo, la questione della tempestività dei controlli. La normativa (in particolare il D.M. 640/2017 e il D.P.R. 445/2000) prevede che i controlli debbano avvenire ‘tempestivamente’ dopo l’assegnazione del primo incarico, ma non fissa un termine perentorio. Ciò significa che l’Amministrazione può e deve effettuare le verifiche anche in un momento successivo, per ripristinare la legalità. Lo spirare del periodo di validità della graduatoria non sana la situazione, poiché gli effetti del punteggio errato si ripercuotono anche sulle graduatorie future.

In secondo luogo, la nozione di dichiarazione mendace. La Corte ha chiarito che il termine ‘mendacio’ va inteso in senso puramente oggettivo: è mendace ciò che non è conforme al vero. Non è necessario dimostrare il dolo o la colpa grave del dichiarante. L’obiettivo della norma non è punire il lavoratore, ma ripristinare la legalità e la par condicio tra i candidati, evitando che chi ha dichiarato il falso (anche per errore) possa trarre un vantaggio indebito. La lavoratrice, secondo la Corte, è stata quantomeno negligente a non verificare il dato corretto presso l’istituto che ha rilasciato il diploma, basandosi solo su una fotocopia non autenticata.

Le Conclusioni: Nessun Affidamento in Caso di Dichiarazioni Non Veritiere

La conclusione principale della sentenza è netta: non è possibile invocare il principio del legittimo affidamento quando il beneficio ottenuto (in questo caso, il contratto di lavoro) è il risultato di una propria dichiarazione errata. L’instaurazione di un rapporto di lavoro in contrasto con le norme imperative ne determina la nullità. Di conseguenza, il lavoratore non può vantare alcun diritto (se non la retribuzione per il lavoro svolto) che derivi da tale rapporto nullo, inclusa l’attribuzione del punteggio per il servizio.

Questa decisione sottolinea l’importanza per i candidati di verificare con la massima diligenza tutti i dati autodichiarati nelle domande per le graduatorie pubbliche e ribadisce il potere-dovere della Pubblica Amministrazione di correggere gli errori per garantire la correttezza e l’imparzialità delle procedure.

Entro quanto tempo la Pubblica Amministrazione può controllare le dichiarazioni in una graduatoria?
Secondo la sentenza, la legge non stabilisce un termine perentorio. I controlli devono essere ‘tempestivi’ e possono avvenire anche successivamente all’assunzione e all’erogazione dei benefici, purché necessari a ripristinare la legalità.

Se si presta servizio sulla base di una dichiarazione errata, si ha diritto ai punti per il servizio svolto?
No. La sentenza chiarisce che il servizio ottenuto sulla base di un punteggio derivante da una dichiarazione non veritiera è considerato ‘svolto di fatto e non di diritto’. Pertanto, non dà diritto all’attribuzione del relativo punteggio in graduatoria.

Una dichiarazione non veritiera deve essere intenzionale (dolosa) per essere sanzionata?
No. Ai fini della rettifica del punteggio e della valutazione del servizio, rileva la non corrispondenza oggettiva tra quanto dichiarato e la realtà (‘mendacio’ in senso oggettivo). L’elemento soggettivo (dolo o colpa) non è necessario per disporre la rettifica e considerare il servizio come ‘di fatto’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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