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Dichiarazione falsa: licenziamento legittimo?

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di una dipendente pubblica per aver omesso di dichiarare due precedenti condanne penali al momento dell’assunzione. La Corte ha stabilito che la dichiarazione falsa viola i doveri di correttezza e buona fede, alterando il quadro conoscitivo dell’amministrazione e giustificando la risoluzione del rapporto di lavoro, a prescindere dalla natura dei reati omessi o dalla loro successiva estinzione.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Dichiarazione Falsa e Licenziamento: La Cassazione Conferma la Tolleranza Zero

Una dichiarazione falsa resa in fase di assunzione può costare il posto di lavoro, anche se i fatti omessi sono datati o apparentemente irrilevanti. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nel diritto del lavoro: la lealtà e la buona fede sono pilastri non negoziabili del rapporto, fin dal suo primo istante. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una dipendente del Ministero dell’Istruzione, assunta a tempo indeterminato, che è stata licenziata dopo che l’amministrazione ha scoperto delle omissioni nella sua domanda di assunzione. Nello specifico, la lavoratrice aveva dichiarato di non avere riportato condanne penali.

Tuttavia, controlli successivi hanno rivelato l’esistenza di due sentenze definitive a suo carico:
1. Una condanna per omicidio colposo, divenuta irrevocabile nel 2006.
2. Una sentenza di patteggiamento per resistenza a pubblico ufficiale, divenuta irrevocabile nel 2008.

Sulla base di questa scoperta, l’amministrazione ha proceduto alla risoluzione del rapporto di lavoro, decisione che è stata confermata sia dal Tribunale in primo grado sia dalla Corte d’Appello.

La Difesa della Lavoratrice e il Percorso Giudiziario

La lavoratrice ha impugnato il licenziamento, sostenendo di aver agito in buona fede. A suo dire, si era limitata a compilare un modulo basandosi sulle informazioni di un certificato del casellario giudiziale a uso amministrativo, ritenendo che le condanne, ormai estinte e datate, non dovessero essere dichiarate. Ha inoltre sostenuto che la risoluzione del contratto non dipendeva dalla natura dei reati, ma dalla semplice violazione di una clausola contrattuale, e che la sua condotta non aveva arrecato alcun pregiudizio concreto all’amministrazione. La sua tesi si basava sul concetto di “falso innocuo”, ovvero una falsità priva di reale offensività.

La Corte d’Appello, tuttavia, ha respinto questa linea difensiva, sottolineando che l’obbligo era quello di dichiarare il “dato storico” della condanna, a prescindere dagli eventi successivi come l’estinzione del reato. Secondo i giudici di merito, la dichiarazione falsa aveva alterato il quadro conoscitivo dell’amministrazione, minando alla base la lealtà e la buona fede del dipendente e mettendo in discussione la sua correttezza nei futuri adempimenti.

Le Motivazioni della Cassazione: Perché la Dichiarazione Falsa Giustifica il Licenziamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso della lavoratrice inammissibile, confermando in toto la legittimità del licenziamento. La motivazione dei giudici supremi si articola su alcuni punti cruciali.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che l’oggetto della controversia non era la gravità dei reati commessi in passato, ma l’atto stesso della dichiarazione falsa. Tale comportamento, secondo i giudici, costituisce una violazione diretta degli obblighi di correttezza e buona fede che devono caratterizzare non solo l’esecuzione del contratto di lavoro, ma anche la fase pre-assuntiva.

Il contratto individuale sottoscritto dalla lavoratrice, così come il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) di riferimento, prevedevano espressamente il licenziamento per l’impiego conseguito tramite la produzione di documenti falsi o con mezzi fraudolenti. La Corte ha stabilito che la falsa dichiarazione rientra pienamente in questa casistica.

Inoltre, la Cassazione ha respinto la tesi del “falso innocuo” e della buona fede. L’obbligo di dichiarare le condanne era testualmente chiaro e non lasciava spazio a interpretazioni. Omettere tali informazioni ha impedito all’amministrazione di effettuare tutte le necessarie valutazioni sulla candidata, alterando il processo decisionale. La lealtà del dipendente è stata messa in discussione fin dal principio, giustificando la rottura del vincolo fiduciario.

Infine, i giudici hanno sottolineato che la rilevanza del giudicato penale è confermata indirettamente anche dal CCNL, che sanziona con il licenziamento condanne per delitti che, pur non attenendo direttamente al rapporto di lavoro, non ne consentono la prosecuzione per la loro gravità. Questo dimostra l’importanza che l’ordinamento attribuisce all’integrità morale e alla trasparenza del dipendente pubblico.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione invia un messaggio inequivocabile: la trasparenza e la veridicità nelle dichiarazioni rese in sede di assunzione sono requisiti essenziali. Una dichiarazione falsa non è una mera leggerezza, ma un inadempimento grave che incrina il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, specialmente nel settore pubblico. Per i lavoratori, ciò significa che l’obbligo di dichiarare i precedenti penali deve essere inteso in senso ampio, includendo anche il dato storico di condanne estinte, salvo diversa e specifica indicazione nei moduli. Per i datori di lavoro, questa sentenza rafforza la legittimità delle clausole risolutive espresse e dei licenziamenti basati sulla violazione degli obblighi di buona fede e correttezza sin dalla fase genetica del rapporto.

È obbligatorio dichiarare condanne penali estinte in una domanda di assunzione nel pubblico impiego?
Sì. Secondo la Corte, il lavoratore ha l’obbligo di dichiarare il “dato storico” dell’avvenuta condanna penale, a prescindere dal fatto che il reato sia stato successivamente estinto.

Una dichiarazione falsa su precedenti penali giustifica sempre il licenziamento?
Nel caso esaminato, sì. Il licenziamento non è dipeso dalla natura dei reati omessi, ma dal fatto stesso di aver reso una dichiarazione non veritiera, in violazione di una specifica clausola del contratto individuale e del CCNL, che ha minato il rapporto di fiducia e lealtà con l’amministrazione.

La tesi del “falso innocuo” è stata accolta dalla Corte?
No. La Corte ha respinto la tesi difensiva del “falso innocuo” e della buona fede, affermando che la falsa dichiarazione ha concretamente alterato il “quadro conoscitivo” dell’amministrazione, impedendole di effettuare le necessarie e complete valutazioni sulla candidata prima dell’assunzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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