Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10741 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10741 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7300/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
FALLIMENTO RE COGNOME in persona del curatore NOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 212/2022 depositata il 02/02/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/3/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con la sentenza indicata in epigrafe l a Corte d’appello di Catania ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall. di NOME COGNOME contro la dichiarazione del proprio fallimento, quale titolare dell ‘impresa individuale ‘RAGIONE_SOCIALE, ad opera del Tribunale di Ragusa, su ricorso di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME
1.1. -Avverso detta decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione (che risulta depositato una seconda volta in pari data, come ‘ricorso successivo’ ), affidato a quattro motivi, illustrato da memoria, cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, corredato da breve memoria, mentre il fallimento intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per «c.d. doppia conforme» sollevata dal controricorrente.
2.1. -Difatti, al procedimento di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, compiutamente regolato dall’art. 18 l.fall., non si applica la disciplina prevista, per il solo giudizio d’appello, dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., la quale esclude che possa essere impugnata ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza «che conferma la decisione di primo grado». E ciò in ragione del peculiare effetto devolutivo che caratterizza il giudizio di reclamo, nel quale -a differenza del giudizio d’appello -è sempre ammessa l’allegazione di fatti nuovi idonei a sovvertire l’esito del procedimento davanti al tribunale fallimentare, il che esclude, altresì, un’applicazione analogica della disciplina dell’appello in assenza della necessaria identità di ‘ratio’ (Cass. 5520/2017).
-Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1 e 15 l.fall., per avere i giudici del reclamo affermato che, al fine di « accertare il superamento della condizione ostativa alla dichiarazione di fallimento, non deve aversi riguardo al solo credito vantato dalla parte istante ma alla prova dell’esistenza di una
esposizione debitoria complessiva superiore ad €. 30.000,00 », essendo invece onere del creditore istante documentare il superamento della soglia prevista dall’ultimo comma dell’art. 15 l.fall., oltre che l’impossibilità del debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
3.1. -Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c., al di là della continua commistione tra i due piani dello stato di insolvenza (oggetto del secondo motivo) e del presupposto di cui all’art. 15, ultimo comma, l.fall.
L a corte d’appello ha aderito al rilievo del tribunale circa « la sussistenza della rilevante esposizione debitoria nei confronti dell’erario e dell’Inps, contestata genericamente dal reclamante ».
Ed è fermo l’indirizzo di questa Corte per cui, una volta assolto dalle parti l’onere di allegazione , rispettivamente, della sussistenza dei fatti integrativi della domanda e del l’insussistenza di fatti impeditivi, la sentenza dichiarativa di fallimento può essere pronunciata ove risulti alla data della decisione, e sulla base di tutti gli elementi dell’istruttoria prefallimentare, un indebitamento scaduto almeno pari alla soglia minim a fissata dall’art. 15, comma 9, l.fall. (Cass. 5377/2016, 26926/2017, 2223/2025); si tratta dunque di una condizione che attiene alla pronunciabilità della sentenza di fallimento, sottratta stricto sensu all’onere della prova e da accertarsi anche d’ufficio, per come essa risulti «dagli atti dell’istruttoria» (Cass. 2223/2025, 16683/2018, 10952/2015); di qui la previsione delle informazioni urgenti acquisibili ai sensi dell’art. 15, comma 4, l. fall. e l’espletamento di mezzi di prova officiosi ex art. 15, comma 6, l. fall., finalizzati a fare emergere la reale dimensione dell’insolvenza del debitore.
-Con il secondo motivo, che denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l.fall., il ricorrente afferma che «per come giustificata la sentenza non dà conto della sussistenza della insolvenza e non dà conto delle ragioni per cui detto stato sussista», e si duole che la corte d’appello non abbia « valutato correttamente il corredo documentale acquisito all’esito della costituzione del Sig. COGNOME. Dalle fatture e dagli estratti conto relativi all’ultimo periodo di attività, da quest’ultimo allegati, infatti,
traspare una realtà aziendale dinamica. Il COGNOME, infatti, poco prima del fallimento ha ottenuto la concessione di un prestito chirografario, per come risulta dagli estratti conto sottoposti al Giudice di Appello ed ha rimpinguato le scorte di magazzino, per come emerge dalle fatture allegate in detta sede. La descritta realtà aziendale, quindi, non consente di ritenere sussistente quello ‘stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa ‘».
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, da un lato, non tiene conto delle plurime ragioni spese dai giudici del reclamo per confermare la sussistenza di uno stato di insolvenza ; dall’altro aggredisce, come non è ammesso in questa sede, la valutazione del materiale istruttorio da parte dei giudici di merito, limitandosi sostanzialmente a contrapporvi la mancata valutazione di altri elementi che sarebbero evincibili da documenti prodotti in sede di reclamo e sol o genericamente indicati (‘ fatture ed estratti conto dell’ultimo periodo ‘).
In ogni caso, la Corte d’appello ha reso , sul punto, una motivazione congrua, esaustiva e sicuramente superiore alla soglia minima di costituzionalità (Cass. Sez. U, 8053/2014).
5. -Il terzo mezzo censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché l’o messa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Secondo il ricorrente, la corte territoriale avrebbe commesso « un evidente errore di valutazione » sia nel ritenere non contestati i crediti erariali -fondati su un estratto di ruolo semplificato in realtà contestato, che non aveva alcuna efficacia dimostrativa, in quanto mero atto interno, senza « acquisire le cartelle, con le rispettive relate, ed i ruoli in base ai quali le stesse erano state emesse » -, sia nel non considerare adeguatamente tutte le produzioni del reclamante (estratti conto bancari, fatture di acquisto).
5.1. -Il motivo è inammissibile, non solo perché formulato in modo promiscuo, in modo da sollevare confusamente vizi eterogenei ( errores in iudicando e in procedendo , in uno a censure
motivazionali, peraltro formulate senza il rispetto dei canoni del vigente art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.), ma anche e soprattutto perché aggredisce la valutazione del materiale probatorio, notoriamente non sindacabile nel giudizio di legittimità.
È indiscutibile, infatti, che la valutazione del materiale probatorio sia attività riservata in via esclusiva al giudice di merito, il quale la esercita secondo il suo prudente apprezzamento, anche selezionando, tra tutte le risultanze istruttorie, quelle ritenute più attendibili e idonee a sorreggere la motivazione, senza che debba esprimersi analiticamente su ciascuna di esse, n é confutare singolarmente le diverse argomentazioni delle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017); del resto, se si ammettesse un sindacato sulle quaestiones facti si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 10927/2024, 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
Merita aggiungere che: i) la violazione dell’art. 115 c.p.c. ricorre solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti ma disposte di sua iniziativa, fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il principio di non contestazione e il notorio), mentre non è ammesso dolersi che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, trattandosi di attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U, 16303/2018, 20867/2020, 23650/2022; Cass. 2001/2023, 4599/2023); ii) – la violazione dell’art. 116 c.p.c. ricorre solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (ad es. valore di prova legale), oppure, ove la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutarla secondo il suo prudente apprezzamento.
Quando invece si deduca, come nel caso di specie, che il giudice ha male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura, un tempo ammissibile ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., lo è ora solo in presenza dei gravissimi vizi di motivazione individuati da Cass. Sez. U, 8053/2014 (Cass. Sez. U, 20867/2020, 34474/2019; Cass. 14703/2024, 2001/2023, 34459/2022, 20553/2021), che nel caso in esame non sono stati dedotti.
-Il quarto mezzo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. nella parte in cui è stato applicato il principio della soccombenza, mentre le spese quantomeno si sarebbero potute compensare, a fronte di « elementi gravi ed eccezionali », quali « la particolare natura di ricorrente e resistente, nonché le ragioni fatte valere in giudizio ».
6.1. -Il motivo è palesemente inammissibile.
L’estrema genericità delle osservazioni si infrange contro il solido principio per cui, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, e rientra invece nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 8421/2017, 24502/2017; Cass. Sez. U., 32061/2022, 13827/2024).
-Resta evidentemente assorbita la «richiesta di condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c.» riproposta in questa sede.
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo.
– Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25/03/2025.