Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14192 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14192 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 28115/2021 R.G. proposto da:
NOME e NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME NOME,
-ricorrenti- contro
COMUNE DI COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
SCUPOLA ADDOLORATA e SCUPOLA NOMECOGNOME
-intimate- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n.633/2021 depositata il 21.5.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che l’impugnata sentenza ha confermato il rigetto della domanda di usucapione avanzata dal Comune di Patù, quale ente esponenziale degli interessi dei cittadini di Patù, nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME relativamente al monumento denominato Centopietre (una costruzione megalitica in blocchi di pietra squadrati risalente all’età preistorica, riconosciuta di rilevante interesse storico con decreto del Ministero dell’Educazione Nazionale del 30.11.1910, identificata a foglio 4 particella 27 del catasto del Comune di Patù) ed all’area circostante di mq 284, adibita anche a sagrato della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, sottoposta a vincolo di interesse culturale in base alla II parte del D.Lgs. n. 42/2004 (particella 284 del foglio 4 del catasto del Comune di Patù), considerando la nota inviata il 30.12.2003 dal Sindaco di Patù a COGNOME NOME come riconoscimento della proprietà degli COGNOME sui suddetti beni, interruttiva della prescrizione acquisitiva iniziata nel 1952, ha invece accolto la domanda subordinata del Comune di Patù;
rilevato invece che la sentenza impugnata ha accertato l’avvenuta costituzione sui suddetti beni di proprietà degli COGNOME, per dicatio ad patriam, della servitù di uso pubblico a favore della collettività del Comune di Patù, sulla base della volontà manifestata nel 1952 dall’allora proprietaria, COGNOME NOME, desunta da quanto riportato nella nota del Sindaco di Patù dell’epoca alla Sovrintendenza in data 26.3.1968, di cedere bonariamente un pezzetto di suolo di sua proprietà, sul quale sorgeva il monumento
Centopietre per rendere libero l’accesso ad esso della collettività e per dare spazio al sagrato della vicina chiesa di San INDIRIZZO;
rilevato che col primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 cod. civ. e dei principi generali espressi dalla giurisprudenza della Suprema Corte in materia di dicatio ad patriam, sostenendo che la Corte d’Appello di Lecce avrebbe erroneamente considerato la dicatio ad patriam come un autonomo modo di acquisto di una servitù di uso pubblico, o più propriamente, data la mancanza di un fondo dominante, di un diritto di uso pubblico, il diritto della collettività di Patù di visitare il monumento megalitico Centopietre e di accedere, attraverso il sagrato, alla chiesa di San Giovanni INDIRIZZO di Patù, ritenendo quindi non necessario per l’acquisto del diritto di uso pubblico, tramite dicatio ad patriam, l’esercizio dell’uso pubblico per oltre venti anni, richiesto dall’art. 1158 cod. civ. per l’usucapione;
considerato che, secondo la sentenza delle sezioni unite di questa Corte del 3.2.1988 n. 1072, perché una strada privata sia assoggettata a servitù di uso pubblico (ad essa è assimilabile un fondo privato gravato da altro uso pubblico) – in difetto di una convenzione o di un provvedimento amministrativo di natura ablativa o di un atto di ultima volontà o di protrazione dell’uso da tempo immemorabile o di usucapione – occorre che vi sia stata almeno una ” dicatio ad patriam “;
rilevato che siffatto titolo costitutivo della servitù, secondo le sezioni unite ed in base ad un uniforme indirizzo giurisprudenziale, consiste, non già in una manifestazione di volontà del privato titolare del cosiddetto fondo servente, bensì nel mero fatto giuridico di mettere volontariamente, con carattere di continuità e non di precarietà o di tolleranza, una cosa propria – oggettivamente idonea al soddisfacimento, in astratto, di un’esigenza comune a
una collettività indeterminata di cittadini – a disposizione del pubblico, assoggettandola quindi all’uso pubblico;
rilevato che, sempre secondo la citata pronuncia delle sezioni unite, a dar vita alla servitù di uso pubblico basta, oltre che l’effettivo inizio di tale uso, un comportamento concludente del proprietario del bene, che non possa cioè essere interpretato se non come intenzione di porre il bene stesso a disposizione della collettività e tale comportamento può essere sia attivo sia omissivo, ma nella prima ipotesi, la messa a disposizione del bene precede il concreto esercizio dell’uso consentito, che rende irrevocabile la ” dicatio “, mentre nella seconda ipotesi, si realizza dapprima il concreto esercizio dell’uso e, successivamente, interviene il comportamento omissivo del soggetto che, pur potendo agire per farlo cessare, attraverso ” facta concludentia ” dimostra invece di consentire all’uso che, inizialmente illegittimo, diviene, per ciò solo, legittimo;
considerato che nel panorama delle sentenze di questa Corte e del Consiglio di Stato, che dopo l’arresto delle sezioni unite, si sono pronunciate su domande specificamente intese ad ottenere il riconoscimento della costituzione di servitù di uso pubblico, o di altri diritti di uso pubblico, iscrivibili nella previsione dell’art. 825 cod. civ., per dicatio ad patriam, si è potuta riscontrare una dicotomia di orientamenti;
rilevato infatti che, mentre alcune sentenze hanno ritenuto, che sia necessario per l’insorgenza del diritto di uso pubblico sul bene privato, il protrarsi dell’uso pubblico per oltre venti anni, come previsto per l’usucapione dei diritti reali immobiliari dall’art. 1158 cod. civ., al fine di escludere che quell’uso pubblico sia semplicemente tollerato dal privato proprietario del fondo sul quale viene esercitato (vedi in tal senso in particolare Cass. 29.11.2017 n. 28632; Cass. 22.3.2012 n. 4597; Cass. 24.3.2005 n. 6401; Cons. Stato 21.6.2007 n. 3316), altre sentenze hanno invece ritenuto sufficiente la messa a disposizione del fondo di proprietà
privata per l’esercizio dell’uso pubblico con continuità, senza richiedere la decorrenza del termine ventennale proprio del diverso modo di acquisto dell’usucapione (vedi in tal senso in particolare Cass. 16.3.2012 n. 4207; Cass. 13.2.2006 n. 3075; Cass. 21.5.2001 n. 6924; Cass. 19.9.1995 n. 9903; Cons. Stato 21.8.2020 n. 5161);
considerato che per verificare se il suddetto contrasto sia effettivo, o meramente apparente, in rapporto alla diversa struttura, attiva od omissiva, che può assumere il fatto giuridico della condotta volontaria di messa a disposizione del fondo per l’uso pubblico del proprietario del fondo medesimo, nella fattispecie delineata dalle sezioni unite della dicatio ad patriam, si ritiene necessario approfondimento, previa fissazione di pubblica udienza; visto l’art. 375 cpc;
P.Q.M.
La Corte rinvia alla udienza pubblica. Così deciso in Roma il 20.5.2025