Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11015 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11015 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16225/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4259/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 08/10/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE citò in giudizio il Comune di Chioggia chiedendo che, accertata la proprietà esclusiva dell ‘attrice di talune
aree, il convenuto fosse condannato ad astenersi dal compiere attività che ne ostacolassero il libero godimento, nonché a corrispondere € 204.858,00 per l’indebito utilizzo, nonché ulteriori € 40 .000,00 a titolo di responsabilità precontrattuale, oltre al risarcimento del danno procurato all’immagine della società.
In particolare, l’attrice espose che su mappali di proprietà esclusiva essa aveva realizzato dei complessi edilizi, utilizzando per l’accesso, fin dai primi anni ’70 del secolo scorso, una strada privata, denominata INDIRIZZO la quale giungeva sino alla INDIRIZZO Lusenzo, senza consentire sbocco sulla viabilità pubblica. Nel 1988 il Comune aveva classificato la strada come via pubblica e negli anni 2003/2004 aveva iniziato a compere interventi di manutenzione, destinando delle zone a pubblico posteggio, a dispetto del dissenso della società proprietaria, anzi ingenerando in quest’ultima il ragionevole convincimento che si sarebbe proceduto alla conclusione di un contratto di cessione a titolo oneroso.
Il convenuto Comune di Chioggia, contestata l’avversa domanda, chiese che, in via riconvenzionale, fosse accertata l’esistenza di una servitù di uso pubblico costituita per ‘ dicatio ad patriam ‘ o per usucapione.
Il Tribunale, sul presupposto sussistesse una servitù d’uso pubblico per ‘ dicatio ad patriam ‘, rigettò la domanda della società.
La Corte d’appello di Venezia rigettò l’impugnazione principale di RAGIONE_SOCIALE e quella incidentale del Comune di Chioggia.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione avverso la sentenza d’appello sulla base di sei motivi, ulteriormente illustrati da memoria. Il Comune di Chioggia resiste con controricorso.
Con il primo e il secondo motivo, denuncianti violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., nonché degli artt. 832 e 834 c.c., si deduce che la sentenza impugnata non abbia pronunciato su tutte le domande: secondo la ricorrente, era stata riconosciuta la servitù esclusivamente per il mappale 648 e non per il mappale 579, in ordine al quale era stato rigettato il motivo d’appello incidentale. Quindi il Comune avrebbe dovuto essere condannato a risarcire il danno per avere occupato abusivamente con gli stalli di posteggio anche quest’ultimo mappale.
Questi due motivi sono inammissibili per difetto di specificità, non essendo riportati, neppure per le parti salienti, gli atti processuali su cui esso si fonda (cfr. art. 366 n. 6 cpc).
Ed infatti, non sono stati riportati (neppure per le parti salienti) i motivi d’appello che si assumono non essere stati esaminati o malamente decisi, non essendo certamente sufficienti i generici rinvii contenuti a pag. 10 e ss del ricorso) e ciò si traduce in difetto di autosufficienza, al quale la Corte di legittimità non può porre rimedio (cfr., ex multis, Cass. 22880/2017, 24808/2021).
In disparte, si rileva che il rigetto dell’appello incidentale, perciò solo, non dà ragione alla ricorrente, riguardando esso la pretesa del Comune di avere acquistato per usucapione la proprietà e non solo il diritto di servitù su entrambi i mappali.
Con il terzo e quarto motivo viene denunciata la violazione degli artt. 112 e 277 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2946 cod. civ.
La ricorrente lamenta il mancato rilievo della prescrizione del diritto del Comune a ottenere il trasferimento gratuito, che sarebbe stato già ‘enunciato’ nel terzo motivo d’appello e sviluppat o nel quarto.
Inoltre, si evidenzia che:
-con il contratto preliminare dell’11/8/1969 NOME COGNOME si era impegnato a ‘ cedere gratuitamente al comune di Chioggia un appezzamento di terreno di sua proprietà a condizione che venisse destinato alla costruzione di una strada ‘;
-il Comune non si era mai attivato per predisporre la documentazione necessaria e per formalizzare l’impegno assunto;
tutto ciò sarebbe stato evidenziato nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., primo atto successivo alla costituzione del Comune, il quale in comparsa aveva eccepito l’acquisto della servitù di uso pubblico;
-la difesa del Comune non aveva mai contestato la circostanza;
di conseguenza il vantato diritto avrebbe dovuto giudicarsi prescritto.
Entrambi i motivi, fra loro strettamente collegati, sono inammissibili.
La ‘ ratio decidendi ‘ posta a base della decisione si fonda , infatti, sull’accertato diritto di servitù d’uso pubblico per ‘dicatio ad patriam’. Di conseguenza, non aggredisce una tale ratio l’argomento secondo il quale il Comune avrebbe visto prescritto il diritto a <> (sulla sorte del motivo che non coglie la ratio decidendi, cfr. per tutte Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017).
Peraltro, anche in questo caso i motivi appaiono aspecifici per difetto di autosufficienza per le stesse ragioni esposte a riguardo dei primi due motivi.
Con il quinto motivo viene denunciata <>, sostenendosi che la sentenza impugnata avrebbe reputato che la ‘dicatio ad patriam’ <>.
Secondo la tesi della ricorrente, i giudici del merito avevano errato nel reputare sussistere i medesimi requisiti sia per l’usucapione che per la ‘ dicatio ad patriam’ , perché -si osserva per quest’ultimo istituto sarebbe occorso verificare il sussistere di un comportamento <> del proprietario del fondo, che, invece, non si era verificato.
10. Il motivo è inammissibile.
10.1. In primo luogo deve ribadirsi che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (S.U. n. 23745, 28/10/2020 (Rv. 659448 -01; conf., ex multis, Cass. n. 18998/2021).
10.2. Inoltrre, a dispetto di quel che asserisce la parte ricorrente, la sentenza impugnata svolge un ragionamento ben più
articolato, niente affatto riducibile all’asserto impugnatorio (pagg. 7 e 8), che non ne aggredisce la portata decisoria.
Un tal ragionamento appare, inoltre, conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte in materia, in base ai quali il comportamento del proprietario di un fondo, il quale, nel lottizzarlo, metta volontariamente e con carattere di continuità una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola al relativo uso pedonale e carrabile, rende applicabile l’istituto della cd. “dicatio ad patriam”, quale modo di costituzione di una servitù. Ne deriva che la successiva esecuzione, da parte del Comune, di lavori di miglioria su detta striscia e, segnatamente, la realizzazione di un marciapiedi, non dà luogo ad una cd. occupazione usurpativa, difettandone i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica e della sua radicale manipolazione in guisa da farlo divenire strutturalmente un “aliud” rispetto a quello precedente e, mancando, altresì, a monte, un provvedimento amministrativo che riveli l’intendimento della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, includendola nel relativo elenco (Sez. 1, n. 16979 del 27/06/2018, Rv. 649672 -01, conf., ex multis, Cass. nn. 15618/2018, 4851/2016, 12167/2020, 3175/1971; appare minoritario e non coltivato l’orientamento espresso da Cass. n. 4207/2012).
11. Con il sesto motivo viene denunciata, infine, <>, per non avere la Corte di merito ricostruito il diritto giudicato acquisito per ‘dicatio ad patriam,’ <>.
Anche quest’ultimo motivo non supera la soglia d’ammissibilità per le medesime ragioni di cui al § 10.2.
Rigettato il ricorso, il regolamento delle spese segue la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 31 gennaio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME