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Dicatio ad patriam: l’opposizione del proprietario

La Corte di Cassazione ha stabilito che non si può configurare una servitù di uso pubblico per ‘dicatio ad patriam’ se il proprietario del terreno ha manifestato chiaramente la sua opposizione, anche se ha realizzato opere come una recinzione. Il caso riguardava un Comune che rivendicava l’uso pubblico di un’area privata. La Suprema Corte ha annullato la decisione precedente, sottolineando che l’opposizione scritta del proprietario è un fatto decisivo che deve essere considerato, in quanto esclude la volontà di dedicare il bene alla collettività.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Dicatio ad patriam: quando la volontà del proprietario è decisiva

L’istituto della dicatio ad patriam rappresenta una delle modalità con cui un bene privato può essere assoggettato a un uso pubblico. Tuttavia, affinché ciò avvenga, è fondamentale che emerga in modo inequivocabile la volontà del proprietario di destinare il proprio bene alla collettività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che la semplice costruzione di una recinzione non è sufficiente a provare tale volontà, specialmente se il proprietario ha manifestato esplicitamente il proprio dissenso. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di un proprietario terriero nei confronti del Comune per ottenere il rilascio di una porzione di terreno occupata, a suo dire, senza titolo. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda, condannando l’ente locale al rilascio dell’area, alla rimozione delle opere realizzate e al risarcimento del danno.

La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, il proprietario aveva di fatto costituito una servitù di uso pubblico sul terreno tramite dicatio ad patriam. La prova di tale volontà sarebbe consistita nella realizzazione di una recinzione che separava l’area in questione dal resto della sua proprietà, consentendone di fatto l’uso da parte della collettività. Gli eredi del proprietario originario, non condividendo questa interpretazione, ricorrevano in Cassazione.

L’opposizione del proprietario e la dicatio ad patriam

Il punto centrale del ricorso in Cassazione si è concentrato sull’omesso esame, da parte della Corte d’Appello, di un fatto storico decisivo: le numerose comunicazioni scritte inviate dal proprietario al Comune. In queste missive, egli si era opposto fermamente all’uso pubblico del terreno e alle opere che l’ente locale stava realizzando su di esso.

Gli eredi hanno sostenuto che tale opposizione esplicita escludesse categoricamente la sussistenza della volontà di dedicare il bene alla collettività, elemento imprescindibile per la configurazione della dicatio ad patriam. La Corte d’Appello, invece, aveva completamente ignorato questa documentazione, fondando la propria decisione unicamente sull’interpretazione della costruzione del muretto di recinzione.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo relativo all’omesso esame di un fatto decisivo. La Suprema Corte ha chiarito che, sebbene la dicatio ad patriam non richieda un atto formale, postula un comportamento del proprietario che, in modo inequivocabile, metta volontariamente il proprio bene a disposizione della collettività.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha errato nel dare risalto esclusivo alla costruzione della recinzione, omettendo di considerare il fatto storico, provato documentalmente, dell’espressa e ripetuta opposizione del proprietario. Secondo i giudici di legittimità, la sola separazione fisica di una porzione di fondo non costituisce di per sé un elemento sufficiente a dimostrare l’univoca destinazione del bene all’uso pubblico. Al contrario, le contestazioni mosse dal proprietario rappresentano un elemento di segno opposto, idoneo a escludere la volontà di costituire la servitù.

L’aver ignorato queste comunicazioni ha viziato la sentenza d’appello, in quanto ha impedito una valutazione completa e corretta della volontà del proprietario, che è il fulcro dell’istituto della dicatio ad patriam.

le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà riconsiderare i fatti tenendo conto di tutta la documentazione, incluse le lettere di opposizione inviate dal proprietario. Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per aversi dicatio ad patriam, non basta un comportamento ambiguo, ma è necessaria una chiara e volontaria manifestazione, anche per fatti concludenti, di voler destinare un bene privato all’uso pubblico. La prova di un’esplicita opposizione da parte del proprietario è un elemento decisivo che il giudice di merito non può ignorare.

Che cos’è la ‘dicatio ad patriam’?
È un modo di costituzione di una servitù di uso pubblico che si verifica quando un proprietario, con un comportamento volontario e inequivocabile, mette a disposizione della collettività un proprio bene per soddisfare un’esigenza comune, senza che sia necessario un atto formale.

La costruzione di una recinzione è sufficiente a dimostrare la volontà di costituire una ‘dicatio ad patriam’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola costruzione di un muretto o di una recinzione che separa una porzione di fondo non è, di per sé, un elemento sufficiente a integrare la ‘dicatio ad patriam’, in quanto non dimostra in modo univoco la volontà di destinare l’area all’uso pubblico.

Quale valore ha l’opposizione scritta del proprietario?
L’opposizione scritta del proprietario all’uso pubblico del suo terreno è un fatto storico decisivo. Se provata, essa esclude la sussistenza della volontà di dedicare il bene alla collettività e, di conseguenza, impedisce che si possa configurare una ‘dicatio ad patriam’.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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