Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8303 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8303 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8393/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, (C.F. P_IVA), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F. CODICE_FISCALE);
-intimati –
avverso la sentenza n. 1295/2022 della CORTE DI APPELLO DI ANCONA, depositata il 13.10.2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
NOME COGNOME convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE chiedendo di essere dichiarato proprietario per usucapione di un fondo, sul quale insistevano due manufatti; la convenuta contestò la domanda eccependo essere proprietaria dell’immobile a seguito di atti di acquisto, nonché l’assenza del decorso del ventennio; su istanza dell’attore vennero chiamati in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei confronti dei quali il COGNOME chiese, in via di subordine, dichiararsi validità ed efficacia di una scrittura privata del 24.10.1990, che costui qualificò contratto di compravendita.
Il Tribunale, dichiarata inammissibile la domanda esperita nei confronti dei chiamati, rigettò quella principale dfi acquisto per usucapione proposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
la Corte d’appello di Ancona rigettò l’impugnazione del COGNOME.
2.1. la Corte territoriale rilevò:
che la domanda svolta nei confronti dei chiamati avrebbe potuto essere esaminata, a dispetto di quanto aveva affermato il Tribunale, avendo l’attore inteso solo mutare il titolo, restando invariata la pretesa proprietaria; tuttavia, nel merito, la stessa era infondata, versandosi in presenza di un contratto preliminare e non di un contratto traslativo;
che non era stato dimostrato il possesso utile all’acquisto per usucapione, che l’attore aveva fatto risalire al DATA_NASCITA, in quanto l’istruttoria non aveva consentito di accertare il potere di fatto
conforme al diritto di proprietà protrattosi per il tempo stabilito dalla legge; ciò a maggior ragione tenendo conto del fatto che il COGNOME era stato dichiarato fallito con sentenza del 27.3.1993 e che dalla relazione del Curatore costui risultava risiedere altrove; la scrittura privata richiamata non avrebbe potuto giammai giustificarne il possesso ‘ad usucapionem’, trattandosi di una mera detenzione qualificata, senza che fossero stati dimostrati atti di mutamento del predetto titolo nel possesso; la scrittura, inoltre, recava la data del 16.7/24.10.1990, nel mentre l’atto di citazione era stato notificato il 24.11.2008, quindi prima del compimento del ventennio.
Il COGNOME propone ricorso fondato su due motivi; le altre parti non hanno svolto difese.
Il Presidente della Sezione, con provvedimento del 14.9.2023, ha formulato proposta di definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Il ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto la decisione e pertanto è stata fissata l’adunanza camerale del 6 febbraio 2024.
Il ricorrente ha depositato memoria il 31/1/2024 e quindi oltre il termine di dieci giorni prescritto dall’art. 380 bis 1 cpc .
Preliminarmente deve stigmatizzarsi il contenuto largamente improprio dell’istanza con la quale il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso. Con essa, infatti, il COGNOME non si è limitato, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., a chiedere la decisione, ma si è speso in apprezzamenti giuridici, come si trattasse d’una integrazione del ricorso o, comunque, d’una memoria atipica, che precede la fissazione della trattazione della causa, invece che seguirla, con deposito nel
termine perentorio di cui all’art. 380 bis 1 cpc.. Di un tale contenuto, pertanto, non deve tenersi conto.
6.1. È utile, sul punto, enunciare il seguente principio di diritto: ‘ Con l’istanza di cui all’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., il ricorrente deve limitarsi a chiedere, la definizione della causa. Di ogni altro contenuto -estraneo allo scopo dell’atto non dovrà tenersi conto ‘.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1141, 1167 e 1351 cod. civ.
Si assume che non si era registrata alcuna interruzione del possesso, neppure con gli atti del giudizio. Si soggiunge, quanto alla scrittura, che non sarebbe occorsa una ‘interversio possessionis’ ex art. 1141 cod. civ. (rectius: mutamento della detenzione in possesso), poiché la Corte d’appello, oltre a non avere <>. Né avrebbe potuto assumere rilievo la consapevolezza in capo al possessore dell’altruità della cosa.
Univoci, infine, erano risultati gli esiti dell’istruttoria per testi.
8. Con il secondo motivo viene denunciata violazione degli artt. 115 e 132 n. 4) cod. proc. civ., e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, addebitandosi alla sentenza impugnata di non aver posto a fondamento della decisione le acquisizioni testimoniali e di non aver tenuto conto della circostanza che le controparti non avevano contestato le opere, sia pure abusive, eseguite dal ricorrente, né la coltivazione, né la recinzione, a dispetto, ancora una volta, delle dichiarazioni testimoniali.
Emergeva, inoltre, <>, comprovata dalla mancata disponibilità del fascicolo di primo grado (questo, sia pure richiesto, non era stato trasmesso per difficoltà logistiche dell’ufficio di primo grado).
Entrambi i motivi, tra loro collegati, unitariamente esaminati, non superano il vaglio d’ammissibilità.
9.1. Innanzitutto, trattandosi di doppia conforme, non è ammessa la deduzione del vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, di cui all’art. 360 n. 5 cpc (v. art. 348 ter cpc). Parimenti è inammissibile la deduzione di ‘ insufficienza motivazionale ‘ (v. pag. 9 ricorso) perché il vizio di motivazione non è più denunziabile in sede di legittimità per espressa previsione legislativa (cfr. art. 360 n. 5 cpc).
Ciò premesso, la ricostruzione probatoria, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso il richiamo dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., tra le varie, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato più di recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di
attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
9.2. La disponibilità della cosa conseguita dal promissario acquirente, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte è frutto di mera detenzione. Sul punto basterà richiamare la sentenza n. 7930, 27.3.2008 delle Sezioni unite, la quale ha spiegato che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la
relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile “ad usucapionem”, salvo la dimostrazione di un’intervenuta “interversio possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ. (Rv. n. 602815, conf., ex multis, Cass. nn. 1296/2010, 9896/2010, 52111/2016).
9.3. Conforme a diritto deve reputarsi l’affermazione del ricorrente secondo la quale l’interna consapevolezza di non essere il proprietario, se non accompagnata da atti esterni del riconoscimento dell’altrui dominio, non è idonea a interrompere il possesso. Tuttavia, qui, la questione è diversa: fermo restando che la Corte d’appello ha giudicato non provato il possesso ‘ad usucapionem’, ha voluto, altresì escludere che un tal possesso (comunque esercitato per un tempo inferiore a quello legale) sarebbe potuto sorgere dal prodotto contratto preliminare. Da qui la inconcludenza dell’asserto in ordine all’asserita prescrizione dei diritti nascenti dal contratto preliminare.
9.4. Sotto altro profilo, la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come affermato ripetutamente da questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, essendo del tutto evidente la ratio portante della decisione e l’assenza di radicali e insanabili contrasti logici.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
10. Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1,
cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Le spese debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi, a carico della ricorrente e in favore del controricorrente, siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle attività espletate.
112 . Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende, della somma, stimate congrua, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023). Nulla va disposto per la controparte rimasta intimata.
11. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento della somma di € 3.000,00 ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso il giorno 6 febbraio 2024.