Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7060 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7060 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso 15128/2018 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME in virtù di procura in atti;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME in virtù di procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 51/2018 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata in data 01/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.02.2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo con assorbimento del secondo.
Uditi l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente e l’avvocato NOME COGNOME, su delega dell’avvocato NOME COGNOME, per il controricorrente.
Svolgimento del processo
I fatti salienti di causa sono stati riportati da questa Corte con l’ordinanza interlocutoria n. 18049/2023, pubblicata il 23/6/2023, nei termini di cui appresso.
<>.
All’esito dell’adunanza camerale il Collegio ha rimesso la causa alla pubblica udienza, all’approssimarsi della quale il P.G. ha depositato le sue conclusioni scritte e il controricorrente, memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o erronea e/o falsa applicazione degli artt. 99 cod. proc. civ., 24 Cost, 2697 e 1141 cod. civ.
Assume il ricorrente che la Corte di Trento aveva qualificato il titolo in base al quale l’esponente godeva del bene (‘comodato gratuito o altro’), in assenza di allegazione in tal senso dell’attore.
La sentenza, inoltre, aveva giudicato inconcludente <> (pag. 16 della decisione). La pronuncia, secondo il ricorrente, <>.
In definitiva, conclude il motivo, il Giudice <>.
Risultava leso il diritto di difesa dell’esponente avendo la sentenza postulato in assenza di domanda l’esistenza originaria del comodato, così <>.
1.1. Il motivo è infondato e in parte inammissibile.
1.1.1. Il Giudice del rinvio, rivalutando le risultanze processuali, alla luce delle indicazioni formulate con la sentenza di cassazione, ha rigettato la domanda d’usucapione dell’odierno ricorrente sulla base di una pluralità convergente di emergenze probatorie.
Il ricorrente (attore) aveva ammesso in sede d’interrogatorio formale che, divenuto insufficiente lo spazio dal medesimo utilizzato per il laboratorio di falegnameria, in precedenza allocato nell’abitazione della sorella NOME, <>.
In quell’occasione aveva, altresì soggiunto di non avere occupato l’intero edificio, ma solo i locali al primo piano e una stanza al pianoterra e, inoltre, <>.
Da qui la Corte di Bolzano trae il convincimento che l’odierno ricorrente aveva <>.
Mancando, quindi, un atto d’apprensione autonomo non trovava applicazione la presunzione di cui all’art. 1141 cod. civ., essendo, quindi <>.
Generica e non provata dalle risultanze probatorie (viene dato analitico atto dell’escussione testimoniale) l’affermazione secondo la quale il bene gli sarebbe stato donato <> . I contenuti dell’ipotizzato accordo transattivo erano <>, anche dopo il <> richiesto dalla sentenza di cassazione.
Per contro il rapporto di parentela rendeva plausibile la concessione gratuita dell’uso dei locali.
1.1.2. Alla luce di tale assetto motivazionale l’indubbia natura prosecutoria del rinvio per vizio motivazionale (secondo il testo al tempo vigente del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.) non giustifica il chiesto sindacato, che, nella sostanza, mira a un improprio riesame di merito.
Per vero, a un riesame approfondito si è limitata la Corte d’appello, senza porre a fondamento della decisione fatti nuovi e, tantomeno, a emettere statuizioni in assenza di domanda.
L’aver supposto che alla base dell’uso dell’immobile da parte del ricorrente potesse individuarsi un contratto di comodato (o altro), non costituisce decisione ‘ultrapetita’ (piuttosto che l’art. 99, il ricorrente ha inteso richiamare l’art. 112 cod. proc. civ.).
Non si tratta d’una affermazione avente forza decisoria ex se, bensì di una ricostruzione resa ‘incidenter tantum’, a conclusione del complessivo vaglio istruttorio.
La Corte d’appello ben avrebbe potuto astenersi dal qualificare la natura del rapporto, che non poteva che avere natura obbligatoria, avendo la prova escluso natura ad effetti reali (tanto è vero che il comodato viene evocato in via d’ipotesi, affiancato da altro possibile, non specificato titolo).
Quel che rileva è che il ricorrente attore non ha dimostrato di aver instaurato col bene situazione di fatto riconducibile al possesso.
1.1.3. Correttamente, quindi, è stata esclusa l’operatività della presunzione di cui all’art. 1141 cod. civ.
In un contratto ad effetti obbligatori, la “traditio” del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l’insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una “interversio possessionis”, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso “uti dominus”, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile “ad usucapionem”, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, ravvisando l’esistenza di un contratto di comodato, aveva escluso che l’utilizzo esclusivo del bene ed il compimento di atti di amministrazione, per la conservazione ed il miglioramento delle sue condizioni, integrasse un atto di interversione del possesso nei confronti del proprietario, e successivamente dei suoi eredi, idoneo al mutamento del titolo) -Sez. 2, n. 29594, 22/10/2021, Rv. 662568; conf., ex multis, Cass. n. 27411/2019 -.
In altri termini, assume rilievo un solo decisivo accertamento (questo sì capace di formare punto di decisione): il ricorrente non s’impossessò del bene, così creando un rapporto di fatto costituente effigie del diritto di proprietà. Ricevette lo stesso per averlo richiesto ai proprietari, di cui, quindi, riconosceva, per forza di cose, la piena signoria, senza riuscire a dimostrare la natura traslativa della concessione. Non compì atti idonei a mutare la detenzione in possesso.
Solo questo è quello che rileva. Per il resto, le giustificazioni o spiegazioni del ricorrente restano vaghe e prive di conforto probatorio.
1.1.4. L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
1.1.5. Di poi, è del tutto evidente che attraverso la denunzia di violazione di legge (nella specie l’art. 1141 cod. civ.) il ricorrente sollecita – non determinando essa, nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio
probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente – un improprio riesame di merito (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf. Cass. n. 15879/2018; n. 3708/2014).
1.1.6. Infine, la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 16439, 10/06/2021, Rv. 661483; conf. Cass. n. 1879/2018).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1803 e segg., 1158 e 1164 cod. civ.
L’impugnante espone un complesso di argomenti volti, secondo l’aspettativa di costui, a <>.
L’ ‘incipit’ della doglianza si apre con l’addebito alla sentenza di avere omesso indagine circa l’intervenuta <> .
Viene soggiunto che in capo al resistente, grazie alla donazione della zia materna del 1979 e la donazione delle quote residue da parte dei suoi genitori nel 1982 si era concentrata la proprietà.
L’atto di compravendita e quello di donazione, depositati dalla controparte, non facevano menzione del comodato e in quello di compravendita era stato specificato che veniva assicurata <>. Una tale precisazione appariva incompatibile
<>.
L’assegnazione del bene a ristoro di torti ereditari patiti, precisa ancora il ricorrente, non fa escludere il possesso ‘ad usucapionem’ (viene citata Cass. n. 10230/2002).
Inoltre, sotto altro e distinto profilo, la statuizione si poneva in contrasto con le risultanze probatorie di cui aveva tenuto conto la sentenza d’appello cassata.
Infine, mutando ancora piano d’esame, si sostiene che <> era insostenibile in quanto esso, stipulato dall’alienante, non è opponibile all’acquirente.
2.1. La doglianza, nel suo complesso, non supera il vaglio d’ammissibilità per il concorrere di una pluralità di autonome ragioni.
2.1.1. In primo luogo devesi riaffermare che in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende
le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (S.U., n. 23745, 28/10/2020, Rv. 659448; conf. ex multis, Cass. n. 18998/2021).
Un tale onere qui non viene affatto assolto dal ricorrente, il quale ha esposto un eterogeneo insieme argomentativo, peraltro confusamente incentrato sul fatto, diretto, all’evidenza, a un riesame di merito, del tutto estraneo al giudizio di legittimità.
2.1.2. Non attinge (la) o, comunque, non tiene conto della ratio decidendi: avuta la disponibilità dell’immobile, chiesta ai proprietari (lo stesso ricorrente, come si è visto, ha dichiarato davanti al Giudice di aver ‘pregato’ costoro per potere utilizzare i locali), non ha dimostrato di avere mutato, con atti esterni percepibili dai proprietari, la detenzione in possesso.
Il ricorrente richiama la massima Rv. 255727 tratta dalla sentenza n. 10230, 15/7/2002: L'<>, necessario all’acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, non consiste nella convinzione di essere proprietario (o titolare di altro diritto reale sulla cosa), bensì nell’intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell’usucapione. Di conseguenza, la consapevolezza di possedere senza titolo, ed il compimento di attività negoziali o di altra natura, finalizzate a ottenere il trasferimento della proprietà del bene posseduto o la stabilità sul piano formale della situazione giuridica rispetto ad esso non esclude che il possesso sia utile ai fini dell’usucapione).
Il riportato principio, peraltro pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, non assolve di certo l’esponente, una volta ricostruiti i fatti nei termini riportati, dall’onere di provare di avere compiuto atti concludenti utili a mutare la detenzione in possesso.
2.1.3. Ogni altra nota critica non fa altro che riportare alla pretesa di un nuovo apprezzamento delle emergenze fattuali, nonché a suggestioni argomentative alternative, qui inesigibili.
All’epilogo del complessivo rigetto consegue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente, che si liquidano, tenuto conto dell’entità della causa, della sua qualità e delle svolte attività, siccome in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del controricorrente, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 27 febbraio 2024