Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20691 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20691 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19669-2020 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in AVV_NOTAIOINDIRIZZO INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 505/2020 della CORTE DI APPELLO di ANCONA, depositata il 21/05/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.11.2008 COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Camerino, rivendicando la proprietà di un terreno e chiedendo la condanna dei convenuti al suo rilascio.
Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda ed invocando in via riconvenzionale la condanna degli attori alla restituzione della somma di € 30.000, a suo tempo versata dai convenuti per l’acquisto del fondo controverso, ed al pagamento della indennità per migliorie di cui all’art. 1150 ultimo comma c.c.
Con sentenza n. 31/2015 il Tribunale di Macerata, cui la causa perveniva a seguito della soppressione di quello di Camerino, accoglieva la domanda principale, condannando i convenuti al rilascio del fondo.
Con la sentenza impugnata, n. 505/2020, la Corte di Appello di Ancona riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda principale ed accogliendo quella riconvenzionale. La Corte distrettuale riteneva, in particolare, conseguita la prova del fatto che l’attività agricola esercitata sul fondo di cui è causa fosse stata condotta prevalentemente da COGNOME NOME, padre di COGNOME NOME, e che il fabbricato eretto su detta area rientrasse nell’ambito di un progetto comune a tutto il nucleo familiare, tanto è vero che la relativa concessione edilizia era stata rilasciata a COGNOME NOME proprio in ragione della sua qualità di coltivatrice diretta. Di conseguenza, il giudice di seconde cure individuava, come dies a quo per la decorrenza
del termine di prescrizione delle domande riconvenzionali proposte dagli odierni controricorrenti la ‘data di dissociazione dal progetto comune’ (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata) e quindi da novembre 2007, allorquando gli odierni ricorrenti avevano presentato ricorso alla sezione agraria del Tribunale di Macerata, invocando la risoluzione del contratto di affitto del fondo rustico intrattenuto con la figlia COGNOME NOME.
Propongono ricorso per la cassazione di tale pronuncia COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME NOME e COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione del giudicato esterno, perché la Corte di Appello avrebbe qualificato la relazione con la res intrattenuta dai convenuti in termini di possesso, anziché di detenzione, senza considerare che l’esistenza di un rapporto di affitto del fondo controverso intercorso tra le parti e la sua risoluzione per inadempimento degli odierni controricorrenti era stata accertata con sentenza passata in giudicato.
La censura è fondata.
Dal motivo, che ai fini della specificità riporta tanto la sentenza di secondo grado, n. 483/2010, emessa dalla Corte di Appello di Ancona (cfr. pagg. 7 e ss. del ricorso), che quella di primo grado, n. 70/09, emessa dal Tribunale di Camerino (cfr. pagg. 14 e ss. del ricorso), emerge che all’esito di quella precedente controversia era stata accertata l’esistenza tra le parti di un rapporto di affittanza agraria, dichiarato risolto per inadempimento di COGNOME NOME, e condannata quest’ultima al rilascio del bene, coincidente con quello oggetto della
presente controversia. Né vi è dubbio sulla definitività della predetta statuizione, considerato che -come si dà atto nel ricorso, sempre ai fini della specificità della doglianza (cfr. pag. 14)- gli stessi odierni controricorrenti, a pag. 20 del loro atto di appello, avevano espressamente riconosciuto l’intervenuto passaggio in giudicato della decisione della Corte di Appello di Ancona n. 483/2010, a far data dal 6.11.2010. Sul punto, va ribadito che, in presenza di espresso riconoscimento del giudicato esterno da parte di colui nei cui confronti ne venga eccepita l’esistenza, non occorre produrre la certificazione di cancelleria prevista dall’art. 124 disp. att. c.p.c. In termini, va infatti ribadito che ‘La parte che eccepisca la definitività di una sentenza resa in altro giudizio, qualora la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno, non ha l’onere di produrre la decisione munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, come invece avviene nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione’ (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n. 4803 del 01/03/2018, Rv. 647893; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 36258 del 28/12/2023, Rv. 669781).
Poiché dunque, nel caso di specie, gli odierni ricorrenti avevano espressamente riconosciuto l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Ancona n. 483/2010, confermativa di quella del Tribunale di Camerino n. 70/2009, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto considerare ormai non più discutibile l’esistenza, tra gli odierni ricorrenti e COGNOME NOME, di un rapporto di affittanza agraria avente ad oggetto il bene oggi controverso, la sua risoluzione per inadempimento dell’affittuaria e la condanna di quest’ultima al rilascio del cespite. La relazione con la res intrattenuta da COGNOME
NOME, dunque, aveva avuto origine da un titolo, e pertanto non poteva essere qualificata in termini di possesso, in assenza della prova di un atto di interversione, del quale la decisione impugnata non fa alcun cenno. La presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c., infatti, non opera quando, come nel caso di specie, la relazione con la res ha avuto inizio a titolo di mera detenzione, ed il venir meno del titolo legittimante la detenzione non è causa sufficiente a trasformare quest’ultima in possesso.
Sul primo profilo, va ribadito che ‘La interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, qualora esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa, come nel caso in cui sul fondo sia stata realizzata una costruzione’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23458 del 26/08/2021, Rv. 662075; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12968 del 31/05/2006, Rv. 589653).
Quanto invece al secondo aspetto, va ribadito che ‘Poiché l’interversione del possesso non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, da cui sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio con correlata sostituzione al precedente, animus detinendi, dell’animus sibi habendi, tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in modo da consentirgli di rendersi conto dell’avvenuto mutamento, e deve tradursi in atti dai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da
parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del possesso, ricorrendo in tal caso una ipotesi di abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12007 del 01/07/2004, Rv. 573965; negli stessi termini, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4404 del 28/02/2006, Rv. 587753; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21252 del 10/10/2007, Rv. 599249; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11374 del 11/05/2010, Rv. 613210; Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 12080 del 17/05/2018, Rv. 648535; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27411 del 25/10/2019, Rv. 655670).
La statuizione della Corte distrettuale, con la quale la relazione con la cosa è stata qualificata in termini di possesso, non è coerente con gli insegnamenti di questa Corte, poiché non viene precisato alcun atto idoneo a provare l’avvenuta interversione del titolo, da detenzione in possesso, a tanto non essendo sufficiente la mera allegazione che il rapporto di affittanza del fondo di cui si discute fosse inquadrato nell’ambito di un articolato progetto, originariamente condiviso dall’intera famiglia.
La Corte di Appello, dunque, non avrebbe potuto accogliere la domanda proposta dagli odierni controricorrenti ai sensi di quanto previsto dall’art. 1150, ultimo comma, c.c., in assenza della necessaria qualifica di possessori. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui ‘La previsione di cui all’art. 1150 c.c. -che attribuisce al possessore, all’atto della restituzione della cosa, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie ed all’indennità per i miglioramenti recati alla cosa stessa- è di natura eccezionale e non
può, quindi, essere applicata in via analogica al detentore qualificato od a qualsiasi diverso soggetto’ (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29924 del 13/10/2022, Rv. 666047; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28379 del 28/11/2017, Rv. 646084; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22154 del 24/07/2023, Rv. 668437).
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art- 230 bis c.c. e dell’art. 48 della legge n. 203 del 1982, perché la Corte di Appello avrebbe configurato l’esistenza di una relazione con la res qualificabile in termini di possesso sulla base della configurazione di un rapporto intersoggettivo difforme dallo schema tipico dell’impresa familiare e dell’impresa familiare coltivatrice.
Con il terzo motivo, si dolgono invece della violazione degli artt. 1140 e 1150 c.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato, nella fattispecie, l’esistenza di un possesso, idoneo a giustificare il riconoscimento dell’indennizzo previsto dall’art. 1150 c.c., in assenza dei relativi presupposti e sulla base non già di una relazione con la cosa, ma di rapporti interpersonali intervenuti tra il preteso possessore ed il proprietario della res .
Le due censure sono assorbite dall’accoglimento della prima. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà riqualificare la fattispecie, partendo dal dato, ormai incontrovertibile, dell’origine della relazione con la cosa da un titolo, con conseguente qualificazione della stessa in termini di detenzione, e non di possesso, ed inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 1150 c.c.
Con il quarto ed ultimo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 132 c.p.c. e la nullità della sentenza per irriducibile contrasto logico della motivazione, poiché la Corte di Appello avrebbe da un lato affermato che gli odierni ricorrenti avevano pagato oltre la metà delle
rate del mutuo contratto dalle figlie, e dall’altro negato la medesima circostanza.
La censura è fondata.
I ricorrenti richiamano i due passaggi della motivazione della sentenza impugnata di cui alle pagine 6 ed 8, che rispettivamente affermano che le rate del mutuo erano prima transitate sul conto corrente degli odierni ricorrenti, e poi su quello della figlia COGNOME NOME, e negano che i genitori abbiano provveduto al pagamento di dette rate. Tra le due affermazioni non soltanto non v’è coerenza, ma sussiste irriducibile contrasto logico, poiché se si afferma che alcune delle rate del mutuo contratto a nome delle figlie è stata addebitata sul conto corrente dei genitori, odierni ricorrenti, non si può negare che costoro abbiano contribuito al pagamento. Si tratterà, evidentemente, di acclarare per quale parte, ed in quale misura, ciascuna delle parti abbia fatto fronte al debito verso l’istituto erogante, e tale accertamento in fatto, che non traspare dalla sentenza impugnata, sarà compito del giudice del rinvio.
In definitiva, vanno accolti il primo ed il quarto motivo del ricorso e dichiarati assorbiti il secondo ed il terzo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
la Corte accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di Appello di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda