Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 530 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 530 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 24937-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente principale –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale – nonché contro
R.G.N. 24937/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 27/11//2024
PU
RAGIONE_SOCIALE
– ricorrente principale -controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 51/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 03/06/2020 R.G.N. 86/2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega avvocato NOME COGNOME
FATTO
Con sentenza 3 giugno 2020, la Corte d’appello di Bologna ha dichiarato nullo il provvedimento disciplinare di destituzione comminato, ai sensi dell’art. 45, n. 17 r.d. 148/1931, da TEP s.p.a. l’11 dicembre 2015 a NOME COGNOME suo dipendente con mansioni di autista (per avere ‘ricevuto da NOME COGNOME la giacca smarrita’ , avuta ‘in consegna, custodia o sorveglianza’ , mai consegnata alla società datrice, ‘senza giustificazione di una causa di forza maggiore’ , non essendo necessario accertare ‘se il ricorrente si sia effettivamente impossessato di tale giacca’ ), disponendone l’immediata riammissione in servizio e condannando la società datrice al pagamento, in suo favore, delle retribuzioni medio tempore maturate, con detrazione dell’ aliunde perceptum come documentato in atti, oltre accessori di legge. Essa ha così riformato la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato le domande del lavoratore di nullità e comunque di illegittimità dell’atto di destituzione
e di applicazione delle tutele previste, ai sensi degli artt. 18 legge n. 300/1970 e 8 legge n. 604/1966.
Contrariamente al Tribunale, essa ha ritenuto, in aderenza all’insegnamento giurisprudenziale di legittimità, la nullità della sanzione disciplinare per l’omissione nonostante la richiesta in data 21 dicembre 2015 del lavoratore, a seguito del rifiuto delle sue giustificazioni, della pronuncia, ai sensi dell’art. 45, ultimo comma r.d. 148/1931, del Consiglio di disciplina, ancorché non istituito -del procedimento finalizzato alla sua irrogazione (sia generale ai sensi dell’art. 7 legge n. 300/1970, sia specifico per gli autoferrotramvieri, previsto dal r.d. 148/1931), rientrante tra quelle c.d. di protezione, in quanto di natura inderogabile e a tutela del contraente più debole del rapporto. Né, d’altro canto, come il primo giudice, ha ritenuto equivoca la volontà del lavoratore, per avere nella stessa data inviato due distinte missive istanti la pronuncia, una, del Consiglio di disciplina e, l’altra, del Consiglio di amministrazione della società datrice, in quanto questa sul distinto piano di proponibilità del ricorso giudiziale: in effetti, non ingenerante confusione per RAGIONE_SOCIALE che aveva comunicato il 7 gennaio 2016 la conferma da parte del Consiglio di amministrazione, con atto n. 13 del 23 dicembre 2015, del provvedimento di destituzione.
La Corte d’appello ha quindi applicato la tutela di diritto comune (riammissione in servizio e risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1218 c.c.), nell’irrilevanza del mantenimento dal lavoratore delle conclusioni di applicazione delle tutele, ai sensi degli artt. 18 legge n. 300/1970 e 8 legge n. 604/1966, per l’invarianza di causa petendi e di petitum sostanziale; e ritenuto presuntivamente provato dal medesimo il danno risarcibile, per l’allegazione dello stato di inoccupazione, accertando l’ aliunde perceptum detraibile in base alla documentazione reddituale acquisita.
Con atto notificato il 21 settembre 2020, la società ha proposto ricorso per cassazione con sette motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso con ricorso incidentale, articolato in un unico motivo, cui la società ha replicato con controricorso.
Il P.G. ha comunicato le sue conclusioni scritte, nel senso del rigetto di entrambi i ricorsi.
Entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 e 112 c.p.c., per non avere la Corte territoriale rispettato l’obbligo di motivazione, almeno nel minimo costituzionale, non avendo tenuto conto della legislazione in materia di Consigli di disciplina della Regione Emilia Romagna (art. 44, primo comma, n. 6, lett. c L.R. 45/1979, di delega della Regione alle Province del potere di nomina dei Consigli di disciplina; art. 5 L.R. 30/1998, art. 2, secondo comma L.R. 14/2018), omettendo la pronuncia sull’eccezione della ricorrente di inammissibilità dell’appello per l’apparenza d i critica della sentenza di primo grado, in riferimento all’a ffermazione di violazione, da parte del lavoratore, dell’art. 58, nono comma All. A r.d. 148/1931, comportante alla società il pregiudizio diretto della mancata reiezione dell’appello .
Esso è infondato.
Premessa la specificità della prima parte del motivo, per la puntuale indicazione della sede di produzione (e della sintetica trascrizione) dell’atto (memoria difensiva 18 ottobre 2019: al primo capoverso di pg. 16 ricorso), con cui la società ha dedotto la rilevanza della legislazione regionale in materia
di Consigli di disciplina, il vizio di motivazione apparente della sentenza non è configurabile.
Come noto, esso è denunziabile in sede di legittimità quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. 23 maggio 2019, n. 1377; Cass. 1 marzo 2022, n. 6758); sicché, all’evidenza il vizio denunciato non sussiste.
Né l’incedere argomentativo è tale da non consentire alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost. (Cass. 30 giugno 2020, n. 13248), non avendo la Corte d’appello fatto riferimento, nel ragionamento decisorio osservato, alla legislazione regionale, superflua al suo argomentare.
3.1. Quanto all’omessa pronuncia sull’eccezione della ricorrente di inammissibilità dell’appello, la censura difetta di specificità, in assenza di indicazione dell’atto, né tanto meno di trascrizione, con cui sarebbe stata dedotta, tacendone la sentenza.
Con il secondo motivo, la società ha dedotto nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 e 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte d’appello sulla dedotta improponibilità della questione relativa all’art. 58, All. A r.d. 148/1931 per la formazione del giudicato sulla giurisdizione dell’a.g.o.
Anch’esso è infondato.
Non ricorre una questione di giurisdizione in ordine alla quale sia configurabile l’omissione di pronuncia denunciata, non essendosi formato un giudicato su di essa, per la rituale
devoluzione, con il terzo motivo di appello, di nullità del provvedimento di destituzione per la mancata pronuncia del Consiglio di Disciplina. Ed esso è stato accolto dalla Corte territoriale (ultimo capoverso di pg. 2 della sentenza), che ha deciso la questione, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte in ordine alla giurisdizione ordinaria in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione attribuite al giudice amministrativo. 7. Il rigetto dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo, di nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132, secondo comma, n. 4 e 112 c.p.c., per omessa (ovvero apparente) motivazione della sentenza (avendo essa sbrigativamente assunto la sottrazione manifesta delle sentenze di Cassazione richiamate, e in particolare n. 12770 del 2019, al dubbio di costituzionalità sollevato, neppure in realtà affrontato) sulla sollecitazione dell’incidente di costituziona lità della ricorrente, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. degli artt. da 53 a 58 r.gd. 148/1931, nella parte in cui prevederebbero un Consiglio di disciplina competente, a richiesta del lavoratore interessato, a decidere sulla inflizione delle sanzioni più gravi.
8. Con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto violazione degli artt. da 53 a 58 all. A al R.D. 148/1931, 68 d.lgs. 29/1993, 102, primo comma, lett. b ) d.lgs. 112/1998, degli artt. 5 L.R. Emilia Romagna n. 30/1998, 2, quarto comma L.R. Emilia Romagna 14/2018, degli artt. 134 Cost. e 23 legge 87/1953, per non avere la Corte territoriale ritenuto -in considerazione dell’evoluzione del quadro normativo specifico statale e regionale (anche in quella più generale della disciplina complessiva del pubblico impiego), secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata (alla luce in particolare della sentenza della Corte di cassazione n. 13525
del 2019) -non soltanto l’abrogazione delle norme procedimentali sulla nomina e sulla composizione dei Consigli di disciplina, ma la loro soppressione tout court , venuta meno la specialità del rapporto di lavoro degli autoferrotramvieri.
9. Esso è infondato.
10. Come noto, la Corte costituzionale, investita della questione sollevata da questa Corte con l’ordinanza interlocutoria del 7 aprile 2023, n. 9530, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 1 d.lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola «espressamente», in riferimento all’art. 76 Cost. per difformità rispetto al criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 7, lettera c) della legge n. 183 del 2014, che, demandando al Governo la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dispone la limitazione del «diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato», senza una ulteriore limitazione ai casi di nullità “espressamente” prevista (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22).
È parimenti noto come essa sia andata oltre l’affermazione, contenuta in detta ordinanza, di un ‘consolidato orientamento di questa Corte’ , secondo cui -nel caso in cui il dipendente autoferrotranviario, a seguito dell’opinamento di destituzione, abbia invocato la pronuncia del consiglio di disciplina, posto il persistente vigore delle disposizioni dettate dal Regio Decreto in materia disciplinare, anche quale disciplina maggiormente garantita rispetto a quella prevista dalla legge n. 300/1970 -sia irrilevante il fatto che gli enti competenti non abbiano esercitato il potere di nomina dei componenti di quell’organo; posto che, in materia di procedimento disciplinare a carico degli autoferrotranvieri, l’art. 53 dell’allegato A al R.D. 148/1931 prevede una
procedura articolata in più fasi, inderogabile e volta alla tutela del lavoratore dipendente, quale contraente debole; con la conseguenza della nullità della sanzione disciplinare (rientrante, in relazione al tipo di violazione, nella categoria delle nulli tà di protezione) nell’ipotesi di omissione di una delle suddette fasi (Cass. 7 aprile 2023, n. 9530, in motivazione sub p.to 3, con ampio richiamo di precedenti conformi).
Essa ha, infatti, affermato la sufficienza di ‘dare conto del diritto vivente’ formatosi al riguardo, sicché, ‘ in presenza di una costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, tanto più quando sia attinente ad un presupposto di rilevanza della questione e non già direttamente alla disposizione censurata, la norma espressa dal diritto vivente è assunta come tale da questa Corte senza che rilevino eventuali dubbi in ordine all’esattezza dell’interpretazione’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, Considerato in diritto sub p.to 3.2).
Né il formante giurisprudenziale consolidatosi in diritto vivente può essere superato, in assenza di un sopravvenuto mutamento normativo, dal passaggio argomentativo, sempre tratto dalla sentenza della Corte costituzionale, per il quale ‘Non emerge -e non rileva -invece la complessa ricostruzione normativa che ha condotto alla formazione di questo diritto vivente e che ha visto ripetuti interventi delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 13 gennaio 2005, n. 460 e 27 luglio 2016, n. 15540).’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, ivi).
3.1. Le sentenze delle Sezioni Unite citate, se pure contengano affermazioni che potrebbero indurre ad una loro lettura estensiva alla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro (in Cass. S.U. 460/2005, ripresa da Cass. S.U. 15540/2016, in particolare: la segnalazione di disomogeneità
o incoerenza del sistema riguardante non solo la giurisdizione in materia disciplinare, ma l’intero rapporto di lavoro disciplinato da un corpus di norme apparentemente resistente a qualunque riforma e modificazione dell’ordinamento giuridico dal lontano 1931 e di generale applicazione alla materia disciplinare dell’art. 7 della legge n. 300/1970; la condivisione del parere dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 19 aprile 2000 di non limitazione dell’effetto abrogativo art. 58 R.D. 148/1931 a sole no rme procedimentali di nomina e composizione di tali consigli, ma di ‘avvenuta abrogazione implicita delle norme del r.d. che postulano l’operatività di tali organi’ ), devono in realtà essere limitate all’ambito del regolamento di giurisdizione ad esse proprio: ossia, finalizzate ‘alla sola risoluzione della annosa questione della persistente attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, ai sensi dell’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), con l’affermazione del principio secondo cui, sin dall’operatività dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella sua originaria versione, tali controversie appartengono alla cognizione del giudice ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità con la indicata normativa, della persistente giurisdizione del giudice amministrativo contemplata nel citato art. 58’ (così: Cass. 17 giugno 2015, n. 12490, in motivazione sub p.to 4).
E soprattutto, essere lette in sintonia con ‘ … La giurisprudenza di questa Corte, che ha affrontato la problematica in esame’, che ‘non postula … un’abrogazione tout court della speciale disciplina di cui al R.D. n. 148 del 1931, bensì la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti nell’ipotesi in cui la relativa specifica regolamentazione risulti incompatibile con il sistema in
generale’ (Cass. S.U. 27 luglio 2016, n. 15540, in motivazione). Certamente una tale incompatibilità sistematica non può essere ravvisata nella perdurante vigenza dei Consigli di disciplina previsti dall’art. 53 R.D. 148/1931 ( ‘Nel caso in cui l’agente abbia presentate le Sue giustificazioni nel termine prescritto, ma queste non siano accolte, l’agente ha diritto, ove lo creda, di chiedere che per le punizioni, sulle quali, ai sensi del seguente articolo, deve giudicare il Consiglio di disciplina, si pronunci il Consiglio stesso’ : ottavo comma). La compatibilità della previsione con il sistema è stata, infatti, affermata come diritto vivente con la ferma negazione di un’abrogazione implicita dei Consigli di disciplina; su tale presupposto, essa ha per giunta costituito il fondamen to normativo dell’estensione, costituzionalmente legittima, della tutela reintegratoria dell’art. 2, comma 1 del d.lgs. 23/2015 ai casi di nullità previsti dalla legge (come è stata ritenuta la violazione del procedimento disciplinare speciale in oggetto), ancorché non «espressamente».
4. Tanto chiarito sulla natura non vincolante, per le ragioni esposte, dei precedenti delle Sezioni Unite di questa Corte esaminati, peraltro neppure avendo le sentenze della Corte costituzionale valore di monito nei confronti della giurisprudenza (come invece può accadere riguardo al legislatore), potendo esse direttamente conformarla al parametro di costituzionalità, occorre allora ribadire quale sia il valore normativo dell’ art. 102, comma 1, lett. b ) d.lgs. 112/1998, che recita: ‘Sono soppresse le funzi oni amministrative relative … all’approvazione degli organici delle gestioni governative e dei bilanci delle stesse, all’approvazione dei modelli di contratti’ e, in particolare, ‘alla nomina dei consigli di disciplina’ .
Esso non può che essere quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione e dalla
intenzione del legislatore (art. 12 disp. prel. c.c.); e pertanto, quello di aver reciso ogni legame della nomina dei Consigli di disciplina con gli organi pubblici: tanto dello Stato, quanto delle Regioni. Ma non certamente quello di trarre dalla soppressione delle funzioni amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina l’inferenza della loro eliminazione tout court , avvenuta solo per le gestioni amministrative (Cass. 14 maggio 2019, n. 12770, in motivazione); né potendo essa conseguire da una mera inerzia degli organi competenti a provvedere alla nomina dei componenti del consiglio di disciplina (Cass. 6 marzo 2023, n. 6555, in motivazione sub p.to 12), in una sorta di ‘praesumptio de praesumpto’ .
D’altro canto, questa Corte ha escluso che la speciale disciplina dell’allegato A al RD n. 148/1931 sia stata abrogata dall’art. 7 legge n. 300/1970 e tale soluzione è stata avallata dalla Corte Costituzionale (con le sentenze n. 301/2004 e n. 188/2020), che ha sottolineato la natura di fonte primaria dell’All. A al R.D. 148/1931, nonché la permanente specialità, sia pure residuale, del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, per cui la speciale regolamentazione di tale impiego può essere modificato unicamente mediante interventi legislativi (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.ti 17 e 18).
Né il venir meno della nomina pubblica dei Consigli di disciplina ne comporta la soppressione, per la loro costituzione presso ciascuna azienda o dipendenza aziendale con direzione autonoma, a norma dell’art. 54 R.D. 148/1931, in una composizione plurale, formata da:
a ) un presidente nominato dal direttore dello Ispettorato compartimentale della motorizzazione civile e trasporti in concessione e scelto preferibilmente tra i magistrati;
b ) tre rappresentanti effettivi dell’azienda designati, su richiesta del Ministero dei trasporti (Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione), dall’organo che legalmente rappresenta l’azienda e scelti tra i consiglieri di amministrazione o tra i funzionari con facoltà, in mancanza, di conferire ad altri l’incarico;
c ) tre rappresentanti effettivi del personale, designati dalle Associazioni sindacali nazionali dei lavoratori numericamente più rappresentative, su richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, e scelti con precedenza tra gli agenti appartenenti alla azienda (e nomina per ciascuno dei rappresentanti di un supplente). Alla nomina di questi rappresentanti provvede il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i trasporti, nonché con il Ministro per l’interno quando trattasi di personale di pubblici trasporti in concessione od in esercizio ad aziende municipalizzate, a Comuni, Province, Regioni e relativi Consorzi.
Inoltre, i componenti del Consiglio di disciplina, costituito presso ciascuna azienda ferroviaria, tramviaria e di navigazione interna, salvo che non siano revocati, durano in carica un quinquennio e possono essere riconfermati. E quelli che siano nominati entro il quinquennio scadono con lo scadere di questo.
È poi noto che, qualora la sanzione non sia stata adottata dal Consiglio di Disciplina a seguito, come nel caso di specie, di richiesta del lavoratore dopo il provvedimento di opinamento, si verifica sia la privazione di un momento di ulteriore garanzia per il lavoratore, sia una mancanza di legittimazione all’esercizio del potere di recesso, non più in capo al datore di lavoro, ma trasferito ad un organo collegiale esterno e terzo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.to 30).
Ed è proprio la garanzia di terzietà dell’organo collegiale aziendale il profilo di specialità caratterizzante il procedimento disciplinare degli autoferrotramvieri rispetto a quello ordinario degli altri lavoratori delineato dall’art. 7 legge n. 300/1970.
Ai fini di garanzia della terzietà del Consiglio di disciplina non è sempre essenziale la collegialità, posto che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’ufficio procedimenti disciplinari opera con il plenum dei suoi componenti nelle fasi in cui l’organo sia chiamato a compiere valutazioni tecnicodiscrezionali o ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale; non è, invece, essenziale la collegialità rispetto agli atti preparatori, istruttori o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso (cfr. Cass. 26 aprile 2016, n. 8245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9314).
La soppressione dell’intervento pubblico (statale o regionale) nella nomina dei componenti del consiglio di disciplina, non ha modificato tale assetto.
Ai fini della validità della sanzione irrogata è, poi, irrilevante l’eventuale previsione regolamentare che impone la collegialità per tutte le fasi del procedimento disciplinare (cfr. Cass. 27 giugno 2019, n. 17357, che, in applicazione del principio, ha respinto il ricorso del lavoratore in un caso in cui la contestazione disciplinare era stata sottoscritta dal solo presidente dell’U.P.D.).
13. Con il quinto motivo, la ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132 e 112 c.p.c., per una motivazione solo apparente, e comunque non rispettosa del ‘minimo costituzionale’, dell’avvenuto rispetto dell’onere di richiesta della pronuncia
del Consiglio di disciplina, previsto dall’art. 58, nono comma r.d. 148/1931, in riferimento alla contestuale presentazione dal lavoratore di due distinte istanze (una indirizzata al Consiglio di disciplina e l’altra al Consiglio di amministrazione della s ocietà), ritenute dalla Corte d’appello, contrariamente al Tribunale che ha reputato manifestarne in modo equivoco la volontà, operare su piani distinti (la seconda di proponibilità del ricorso giudiziale, senza generare confusione nella società, che aveva infatti comunicato il 7 gennaio 2016 la conferma del provvedimento di destituzione), senza spiegarne la ragione effettiva.
Esso è assorbito dal rigetto del quarto motivo.
15. Con il sesto motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 53, nono comma e 58 r.d. 148/1931, nonché degli artt. 1362 ss., 1324 e 2697 c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente qualificato, in violazione dei can oni ermeneutici denunciati, un’istanza contemporaneamente indirizzata al Consiglio di disciplina e al Consiglio di amministrazione della società, ai sensi dell’art. 58 r.d. cit., alla stregua di condizione di proponibilità ( rectius : procedibilità) del l’azione giudiziale, a norma dell’art. 10 r.d. 148/1931, una volta concluso l’ iter endoprocedimentale disciplinare, anziché di ricorso gerarchico (e quindi di riesame da parte di un organo datoriale del provvedimento).
Esso è inammissibile.
La censura involge, come esattamente osservato anche dal P.G., un riesame dell’apprezzamento di merito, e pertanto un accertamento in fatto non consentito in sede di legittimità. 18. Con il settimo, essa ha infine dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 ss. c.c., 416, 421 cpv., 437 cpv. c.p.c., 2697 e 2729 c.c., per avere la Corte territoriale assunto iniziative istruttorie sostitutive di quelle a carico del lavora tore, tenuto all’onere di specifica allegazione e prova
dello stato di disoccupazione successivo al licenziamento in funzione di prova presuntiva del danno conseguente e nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132 e 112 c.p.c., per difetto assoluto di motivazione in ord ine alla prova dell’avvenuta allegazione del lavoratore.
Anch’esso è inammissibile.
20. Nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori officiosi previsti dall’art. 421 c.p.c., sempre che il giudice non sopperisca alle carenze probatorie delle parti così da porsi in funzione sostitutiva dei loro oneri e da tradurre i detti poteri officiosi in poteri d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale, è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità (Cass. 22 luglio 2009, n. 17102; Cass. 28 maggio 2024, n. 14923).
Nel caso di specie, la Corte ha esercitato i propri poteri officiosi su specifica allegazione del lavoratore (relativa allo stato di inoccupazione), integrante prova presuntiva e dispost o l’acquisizione della sua documentazione reddituale (secondo e terzo capoverso di pg. 5 della sentenza): e pertanto, insindacabilmente nell’odierna sede di legittimità.
21. Con un unico motivo, il lavoratore controricorrente ha dedotto, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa applicazione degli artt. 474, 438 e 431 c.p.c., per avere la Corte d’appello genericamente condannato la società datrice alla corresponsione, in proprio favore, delle retribuzioni medio tempore maturate, con detrazione dell’ aliunde perceptum come documentato in atti; e pertanto, con pronuncia inidonea a costituire valido titolo esecutivo, non essendo determinabile la misura del dovuto, con impossibilità di porre in esecuzione la sentenza, neppure attraverso una lettura extratestuale del titolo, in assenza di dati retributivi
univocamente definiti dalle produzioni reddituali sollecitate dalla Corte d’appello.
22. Esso è infondato.
23. Il rinvio del dispositivo della sentenza, in merito alla detrazione dalle retribuzioni medio tempore maturate in favore del lavoratore dell’ aliunde perceptum , alla documentazione reddituale del medesimo acquisita (terzo capoverso di pg. 5 della sentenza) consente l’interpretazione extratestuale del titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474, secondo comma, n. 1 c.p.c. (che non si identifica, né si esaurisce nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire), sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato (Cass. S.U. 2 luglio 2012, n. 11066; Cass. 16 gennaio 2024, n. 1619).
24. Pertanto, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti in misura di un terzo, e la posizione dei residui due terzi a carico della società ricorrente, in ragione della sua soccombenza prevalente e il raddoppio del contributo unificato a carico di entrambi i ricorrenti, ove spettante in presenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta entrambi i ricorsi; dichiara le spese del giudizio compensate tra le parti in misura di un terzo e condanna la società ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese in misura dei due terzi, che liquida in € 140,00 per esborsi e € 4.000,00 (per l’intero: € 6.000,00) per compensi professionali, oltre rimborso spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024