Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14164 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14164 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16293/2023 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 86/2023 depositata il 12/01/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 1998 la RAGIONE_SOCIALE agì nei confronti dell’ing. NOME COGNOME e del geom. NOME COGNOME per i danni derivati dalla erroneità della progettazione di un complesso residenziale in Comune di San Elpidio, chiedendo che fosse accertato che nulla era dovuto ai due professionisti a titolo di compenso, oltre alla già versata somma di lire 70 milioni, o, in subordine, che l’eventuale credito residuo fosse compensato con l’importo dovuto a titolo risarcitorio.
I convenuti formularono domanda riconvenzionale per il pagamento del compenso.
Il Tribunale di Fermo, con sentenza in data 28 agosto 2002: da un lato, rigettò la domanda proposta dalla Cooperativa RAGIONE_SOCIALE e quella del COGNOME (che vi aveva rinunciato); e, dall’altro, accolse la riconvenzionale del COGNOME per euro 51.654,69 oltre interessi.
La sentenza di primo grado venne impugnata.
Nel corso del giudizio di appello, e precisamente in data 17 novembre 2004, la RAGIONE_SOCIALE si estinse per cancellazione volontaria e venne cancellata dal registro delle imprese.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 107/2013, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, accertò l’inadempimento del COGNOME e liquidò il danno subito dalla Cooperativa, dispose la compensazione dei crediti reciproci e condannò il COGNOME al pagamento della differenza, pari ad euro 17.099,66 oltre interessi.
Avverso la sentenza della corte territoriale propose ricorso per cassazione il COGNOME mentre NOME COGNOME in proprio e quale ex socio e liquidatore della soc. RAGIONE_SOCIALE, propose ricorso incidentale affidato a due motivi.
Questa Corte con ordinanza n. 1347/2018 rigettò entrambi i ricorsi. In particolare, nel respingere il primo motivo di ricorso del COGNOMEa dire del quale la vicenda estintiva aveva comportato
rinuncia alla pretesa avanzata nei suoi confronti), questa Corte osservò che era <>.
Nel febbraio 2015 la COGNOME, in proprio e quale già socia e liquidatore della soc. RAGIONE_SOCIALE, notificava al COGNOME atto di precetto per la somma di € 48.282.34, oltre accessori, in virtù della sentenza n. 107/2013 della Corte d’appello di Ancona.
Il COGNOME proponeva opposizione avverso l’atto di precetto, deducendo in sintesi che la COGNOME non aveva legittimazione attiva a richiedere il pagamento della somma portata dalla sentenza n. 107/2013 della Corte d’appello, in quanto, essendosi la società estinta nel 2004, nel fenomeno successorio non avrebbero dovuto essere ricompresi i crediti ancora incerti o illiquidi (la cui inclusione in bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore), quale quello per cui è ricorso, e, poiché detta attività ulteriore non era stata espletata da parte della liquidatrice, avrebbe dovuto essere affermato che la società aveva rinunciato al credito e la COGNOME non poteva qualificarsi come successore della società nel credito.
Si costituiva la COGNOME che replicava deducendo, nel merito: a) la propria legittimazione attiva; b) la propria esclusiva titolarità del credito di cui alla sentenza n. 107/2013 della Corte d’appello di Ancona.
Il Tribunale di Fermo – istruita documentalmente la causa – con sentenza n. 16/2018 rigettava l’opposizione, condannando l’opponente alla rifusione delle spese di lite in favore della opposta.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello il COGNOME chiedendo che, in accoglimento dell’impugnazione ed in integrale riforma della sentenza di primo grado, fosse dichiarato inammissibile, invalido e inefficace l’atto di precetto opposto, essendo la COGNOME carente della legittimazione a procedere al recupero dell’importo del credito azionato.
Si costituiva la COGNOME, in proprio e quale già socia e liquidatrice della soc. RAGIONE_SOCIALE, contestando le motivazioni del gravame, delle quali chiedeva il rigetto, con conferma della impugnata sentenza.
La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 86/2023, in parziale accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità del precetto limitatamente all’importo eccedente la somma corrispondente alla quota sociale della COGNOME e, conseguentemente, regolamentava le spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso la COGNOME.
Ha resistito con controricorso il COGNOME che ha chiesto la distrazione delle spese a favore del difensore antistatario.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
Entrambi i difensori hanno depositato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Nella sentenza impugnata, la corte territoriale (p. 8 e 9):
da un lato, ha ritenuto che <>;
dall’altro – pur dando atto che <> – non ha ritenuto <>.
NOME COGNOME – dopo aver premesso che: a) mentre era pendente il giudizio di opposizione all’atto di precetto (ora definito con la sentenza impugnata) era altresì pendente il giudizio di legittimità (promosso dal COGNOME contro la predetta sentenza n. 107/2013 della Corte d’appello di Ancona); b) detto giudizio di legittimità si è nelle more concluso con sentenza n. 1347/2018, che ha rigettato il ricorso del COGNOME affermando che: <> – articola in ricorso un unico motivo con il quale denuncia:
<>nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto che: <>.
Sottopone alla corte la seguente questione di diritto: se, prima che la società si estingua, la volontà di dare una determinata destinazione alle aspettative creditorie derivanti dall’esito di un giudizio in corso di cui era parte la società e di cui non era conoscibile l’esito finale, debba essere manifestata attraverso una delibera assembleare oppure detta volontà debba essere manifestata individualmente, in forma negoziale, da tutti coloro che sarebbero poi potenzialmente interessati quali persone fisiche/ex soci, dal fenomeno successorio (conseguente alla cancellazione dal RR.II. ed alla estinzione).
Ripercorre la relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione e osserva che nel bilancio finale di liquidazione non era previsto alcun piano di riparto in favore dei soci.
Osserva che: a) la società, nel momento in cui è stata chiamata ad approvare il bilancio finale di liquidazione, esisteva ancora e costituiva un autonomo soggetto di diritto, nella pienezza delle sue ‘capacità’ dispositive; b) il fenomeno successorio – che, a certe condizioni ed entro certi limiti, può determinare per gli ex soci la posizione di aventi causa nei debiti e nelle pretese attive della società – si determina solo dopo la sua estinzione e la relativa cancellazione dal registro delle imprese; c) lei, quale socia liquidatrice, <> si era dichiarata disposta ad accollarsi gli oneri negativi derivanti dall’eventuale esito negativo del giudizio e perciò a subentrare <>.
In definitiva, secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, la società, con la delibera assembleare del 30.12.2003 (di approvazione della proposta contenuta nella Relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione), aveva legittimamente disposto delle aspettative di credito (attese dal giudizio pendente innanzi alla Corte d’appello di Ancona nei confronti della società, in persona di essa liquidatrice) prima della sua estinzione e senza che tali aspettative entrassero a far parte delle previsioni del bilancio finale di liquidazione (nel senso che non era previsto che esse fossero attribuite ai soci ed in effetti non sono state liquidate ed attribuite ai soci).
I rilievi di inammissibilità, sollevati dal COGNOME in sede di controricorso, sono in parte fondati, benché tanto non incida sull’esito finale della disamina del gravame.
Invero, il ricorso è inammissibile nella parte in cui la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2479 e 2479 bis cc, nonché degli artt. 2392, 2393, 2395 c.c.
Occorre qui ricordare che, secondo consolidato principio di diritto (ribadito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 23745 del 2020): <>.
Di tale consolidato principio di diritto non ha tenuto conto la ricorrente, che in ricorso non spiega in quali passaggi argomentativi le statuizioni adottate dal Giudice di merito si discostino dai precetti normativi, che assume essere stati violati e falsamente applicati, né li raffronta con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che restano sullo sfondo dell’esposizione, senza essere oggetto di conferenti critiche.
Al contrario, la ricorrente ha rispettato l’ulteriore consolidato principio di diritto (affermato ad es. da Cass. n. 20694/2018) per cui: <>.
Nel caso di specie, vero è che la ricorrente si è limitata ad affermare genericamente che in sede di comparsa di costituzione nel giudizio di appello aveva dedotto sui motivi di appello al fine di dimostrarne la infondatezza, ma è anche vero che nella sentenza impugnata (p. 9) viene espressamente trattata la <>.
D’altronde, nel ricorso viene indicata analiticamente la documentazione prodotta nella fase istruttoria svoltasi davanti al giudice di primo grado (e, tra questa, la relazione del liquidatore sul bilancio finale di liquidazione, che costituisce oggetto di disamina in più punti della sentenza impugnata).
Tanto consente di concludere per l’ammissibilità delle censure della ricorrente, benché limitatamente all’aspetto ora esaminato.
Nella parte in cui è ammissibile, il ricorso è anche fondato.
Questa Corte ha avuto modo di precisare, anche di recente (Cass. n. 30075 e n. 9464 del 2020), che – in caso di estinzione di una società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso – la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore. In altri termini, l’estinzione di una società non determina anche l’estinzione della pretesa, dalla stessa azionata in vita, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.
Fermo restando detto principio e la configurata successione universale dei soci (col limite estrinseco o quantitativo della loro responsabilità intra vires o, cioè, entro l’importo ricevuto dal bilancio di liquidazione), nulla vieta che l’assemblea dei soci, ben inteso in tempo anteriore all’estinzione della società, possa deliberare una diversa destinazione dei residui attivi e passivi.
Tanto è avvenuto nel caso di specie, nel quale dal giudizio di merito è risultato che già nel 2003 la COGNOME quale liquidatrice, nella Relazione sul bilancio finale di liquidazione, aveva articolato una proposta in ordine alla destinazione da dare, prima dell’estinzione della società, alle aspettative creditorie derivanti dal giudizio pendente in grado di appello oltre che alla regolamentazione delle conseguenze dell’eventuale esito negativo del giudizio.
Precisamente nella relazione, riportata in ricorso ai fini della autosufficienza, si legge:
<>.
Occorre aggiungere che il bilancio finale di liquidazione fu anche approvato con deliberazione assembleare del 30.12.2003 (che non consta essere stata oggetto di alcuna successiva impugnazione)
Ciò posto in fatto, occorre aggiungere che il fenomeno successorio, che può determinare per gli ex soci la posizione di aventi causa a titolo universale nei debiti e nelle pretese attive della società,
si determina solo all’atto e in dipendenza dell’estinzione di quest’ultima e della relativa cancellazione dal registro delle imprese.
Nel caso di specie, la società, nel momento in cui ha approvato il bilancio finale di liquidazione, costituiva ancora un autonomo soggetto di diritto, con la conseguenza che, per disporre giuridicamente dell’eventuale credito derivante dall’esito del giudizio di appello in favore della liquidatrice COGNOME non necessitava dell’approvazione anche dei soci assenti (peraltro nella specie non è in contestazione che erano stati regolarmente convocati). Tanto più che nel bilancio finale di liquidazione non era previsto un piano di riparto in loro favore e, quindi, si trattava di posizioni che non soltanto non erano state liquidate, ma che neppure erano state attribuite ai soci in base a detto bilancio finale.
Ha dunque errato la Corte d’appello di Ancona nella parte in cui – dopo aver correttamente affermato (p. 8) che, in via generale, la estinzione della società dà luogo, anche dal lato attivo, ad un fenomeno successorio ed i crediti sociali risultanti dal bilancio di liquidazione si trasferiscono ai soci pro indiviso – ha concluso che: <>
In estrema sintesi, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, per disporre delle aspettative di credito derivanti dalla causa pendente, non era affatto necessario il consenso di tutti i soci, ma era sufficiente la volontà della società, legittimamente espressa nelle forme previste per gli atti dispositivi pendente societate .
Il ricorso è così deciso sulla base del seguente principio di diritto: <>.
Per le ragioni che precedono, s’impone la cassazione dell’impugnata sentenza per quanto di ragione, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame dell’atto di appello del COGNOME alla luce delle considerazioni sopra svolte.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte:
accoglie il ricorso per quanto di ragione;
cassa, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame dell’atto di appello del COGNOME tenuto conto di quanto indicato nella motivazione che precede.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2025, nella camera di consiglio