Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21115 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21115 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9033-2022 proposto da:
COMUNE RAGIONE_SOCIALE ORTONA, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, incorporante della RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO , nello studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente a ll’ AVV_NOTAIO
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e dife sa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 103/2022 della CORTE DI APPELLO di L’AQUILA , depositata il 20/01/2022;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato la società RAGIONE_SOCIALE (oggi fusa per incorporazione nella società RAGIONE_SOCIALE) evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE) innanzi il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, sezione distaccata di RAGIONE_SOCIALE, invocando la condanna della convenuta all’arretramento del suo immobile sino al rispetto delle distanze di 16 metri dal fabbricato dell’attrice e di 8 metri dal confine dei lotti di proprietà delle parti.
Si costituiva la società convenuta, resistendo alla domanda, allegando che entrambi i fabbricati ricadevano in zona del P.R.G. alla quale non si applicava la disposizione in tema di distanze invocata
dall’attrice, e chiamando in causa la RAGIONE_SOCIALE ed il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per essere manlevata dagli stessi nel denegato caso di accoglimento della domanda principale.
Si costituivano a loro volta i due soggetti chiamati, resistendo alla domanda spiegata nei loro confronti e comunque aderendo alla prospettazione difensiva di parte convenuta ed invocando dunque il rigetto della domanda attrice.
Con sentenza n. 94/2016 il Tribunale rigettava la domanda, accertando che entrambi gli edifici ricadevano in area oggetto di recupero urbano, con conseguente inapplicabilità della normativa in tema di distanze, giusta la deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968.
Con la sentenza impugnata, n. 103/2022, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva il gravame interposto dall’originaria attrice, condannando, in riforma della sentenza di primo grado, RAGIONE_SOCIALE all’arretramento del suo fabbricato sino al rispetto della distanza di 16 metri da quello dell’appellante. A fondamento della propria decisione, la Corte distrettuale riteneva che soltanto uno dei due fabbricati oggetto di causa, e precisamente quello di proprietà di RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE S.r.l.) ricadesse in zona sottoposta a piano di recupero urbano, mentre l’altro, di proprietà di RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE) non era oggetto di detta pianificazione. Di conseguenza, la Corte di merito ha escluso l’applicabilità, al caso di specie, della deroga di cui all’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, sul presupposto che essa operi solo nell’ipotesi in cui entrambi i fabbricati ricadano nell’ambito di un piano di recupero.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi.
Propone successivo ricorso, da qualificarsi come incidentale, la società RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE, avente causa di RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale, il RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Premessa la riunione dei ricorsi contro la medesima sentenza (art. 335 cpc), occorre esaminare con precedenza l’eccezione di carenza di interesse al ricorso proposta dalla controricorrente RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 21 del controricorso), derivante – a suoi dire – dal fatto che all’esito del giudizio amministrativo RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata condannata all’abbattimento del proprio fabbricato. L’eccezione è infondata in quanto le vicende del giudizio amministrativo, avente ad oggetto la legittimità degli atti, autorizzativi o autoritativi, adottati dalla P.A., e dunque in ultima analisi il rapporto corrente tra privato e pubblica amministrazione, non hanno alcun riflesso vincolante sul giudizio civile, nel quale si discuta della violazione dei rapporti di vicinato tra privati. L’interesse di RAGIONE_SOCIALE a coltivare l’impugnazione incidentale proposta, quindi, permane a prescindere dall’esito dell’autonomo giudizio amministrativo concernente la legittimità del permesso di costruire in sanatoria n.4 del 2012, che a suo tempo era stato assentito dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE (oggi, RAGIONE_SOCIALE).
Passando all’esame dei motivi di ricorso, principale e incidentale, con il primo motivo del ricorso principale, corrispondente al primo motivo del ricorso incidentale, viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la predetta disposizione agli edifici compresi in zona B.
Con il secondo motivo del ricorso principale, corrispondente al secondo motivo del ricorso incidentale, viene invece denunziata la violazione o falsa applicazione dell’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe ritenuto operante la deroga contenuta dall’ultimo comma della predetta disposizione, pur in presenza di prova certa del fatto che ambedue gli edifici ricadevano nell’ambito di un programma di recupero urbano debitamente approvato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Le quattro censure, suscettibili di esame congiunto perché aventi contenuto identico, sono infondate.
La Corte di Appello, con accertamento in fatto incensurabile in questa sede, ha ritenuto che il piano di recupero approvato dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con deliberazioni consiliari n. 11 del 2004 e n. 32 del 2006 interessasse il solo fabbricato di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, e non anche quello di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE (cfr . pag. 7 della sentenza impugnata). Di conseguenza, ha ritenuto non operante la deroga contenuta dall’ultimo comma dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, in quanto essa presuppone che tutti gli edifici coinvolti siano compresi nell’ambito di un piano di recupero. La statuizione, che -come detto- si fonda su un accertamento di merito, è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui in tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non è recata dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensì dal comma 1 dello
stesso art. 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23136 del 14/11/2016, Rv. 641684; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12424 del 20/05/2010, Rv. 613227 e Cass. Sez. U, Sentenza n. 1486 del 18/02/1997, Rv. 502514).
Peraltro, e solo per completezza, anche nel giudizio amministrativo avente ad oggetto la legittimità del permesso di costruire a suo tempo assentito dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, è stato accertato che ‘… la facciata relativa al vano scala del fabbricato di proprietà della RAGIONE_SOCIALE (caratterizzato da una parete finestrata della lunghezza di circa mt. 2,50 e sporgente per 1,20 mt.) non rispetta la distanza minima di 10 mt prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1969 (la distanza tra i fabbricati delle due parti in causa è infatti pari a mt. 8.80). Come si è rilevato, la possibilità di derogare alle distanze minime, da parte dello strumento urbanistico, mira a conformare in modo omogeneo l’assetto di una specifica zona del territorio, e non con riferimento a tipi di interventi edilizi singolarmente considerati. Ebbene, l’immobile della RAGIONE_SOCIALE non rientra nel piano di recupero invocato dall’appellante, non essendo ricompreso nella progettazione di dettaglio’ (cfr. pagg. 15 e 16 della sentenza del Consiglio di Stato n. 5849/2018, depositata il 11/10/2018).
Anche in sede amministrativa, dunque, è stata accertata la violazione delle distanze minime tra fabbricati e l’inapplicabilità alla fattispecie della deroga prevista dall’art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, a cagione del fatto che uno soltanto dei due fabbricati delle parti, e non entrambi, rientrava nell’ambito di un piano di recupero urbano.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, RAGIONE_SOCIALE lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della natura parzialmente abusiva del fabbricato eretto da RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE
La censura è inammissibile sotto due concorrenti profili.
In primo luogo, la questione della natura abusiva del fabbricato della odierna controricorrente RAGIONE_SOCIALE non è affrontata dalla sentenza impugnata, che dà solo atto del fatto che, nel corso del giudizio, il permesso di costruire rilasciato in favore della società convenuta (odierna ricorrente incidentale) era stato annullato dal T.A.R Abruzzo (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). Nel proporre l’argomento di cui si discute, la parte ricorrente incidentale non precisa in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, esso sarebbe stato introdotto, con conseguente inammissibilità della censura per difetto di specificità.
Inoltre, la normativa in tema di distanze si applica pacificamente a tutti gli edifici, a prescindere dalla loro natura, legittima o abusiva, in quanto essa sovraintende ad interessi di carattere generale. Sul punto, va ribadito che, da un lato, la regolarità urbanistica del fabbricato non rileva ai fini della proposizione dell’azione ripristinatoria atteso che, in ipotesi di mancato rispetto delle distanze, il provvedimento autorizzatorio può essere disapplicato dal giudice ordinario, previo accertamento incidentale della sua illegittimità; e, dall’altro lato, che se le distanze sono state osservate, il vicino non ha diritto di chiedere la riduzione in pristino anche se l’immobile sia abusivo (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5605 del 26/02/2019, Rv. 652764).
Con il quarto ed ultimo motivo del ricorso incidentale, RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria che
era stata proposta dall’odierna ricorrente incidentale nei confronti RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La censura è fondata.
La Corte distrettuale, dopo aver ravvisato la fondatezza del gravame proposto dall’originaria attrice avverso la decisione di primo grado, accogliendo la domanda di arretramento del fabbricato della odierna parte ricorrente incidentale, ha espressamente ritenuto assorbita ogni altra questione, senza affrontare in alcun modo il tema concernente i rapporti tra l’odierna ricorrente incidentale ed i terzi dalla stessa chiamati in causa in manleva.
Mentre la sentenza impugnata dà atto che l’odierna ricorrente incidentale si era costituita, in seconda istanza, invocando soltanto il rigetto del gravame (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), la società ricorrente incidentale precisa, ai fini della specificità della censura in esame, di aver riproposto anche in appello la domanda di manleva oggetto della presente censura, richiamando quanto contenuto alla pag. 30 della sua comparsa di costituzione in appello (cfr. pag. 22 del ricorso incidentale).
In definitiva, il ricorso principale va rigettato, mentre va accolto il quarto motivo del ricorso incidentale, con rigetto delle prime tre censure proposte da RAGIONE_SOCIALE La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso principale e i primi tre motivi del ricorso incidentale; accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda