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Deroga distanze legali: nullo l’accordo tra privati

Una società costruttrice ha edificato un immobile violando la distanza minima dal confine, sulla base di un presunto accordo con i vicini. La Corte di Cassazione ha confermato che qualsiasi patto privato che preveda una deroga alle distanze legali è nullo, poiché le norme edilizie tutelano un interesse pubblico inderogabile. La Corte ha tuttavia accolto il ricorso riguardo l’inammissibilità di una nuova domanda di risarcimento danni, introdotta tardivamente nel processo.

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Deroga Distanze Legali: Nullo l’Accordo tra Privati secondo la Cassazione

L’accordo con il vicino per costruire a una distanza inferiore a quella prevista dai regolamenti comunali è valido? A questa domanda risponde una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ribadisce un principio fondamentale in materia edilizia: la deroga distanze legali tramite un patto privato è radicalmente nulla. La pronuncia analizza un caso complesso, offrendo spunti cruciali sia sul diritto immobiliare che sulla procedura civile.

I Fatti: Una Costruzione Troppo Vicina al Confine

La vicenda ha origine da una causa intentata dai proprietari di un terreno contro una società costruttrice. Quest’ultima aveva realizzato un edificio a una distanza dal confine inferiore ai 5 metri prescritti dal regolamento edilizio comunale. La società si difendeva sostenendo di aver agito con il consenso dei vicini, i quali le avevano venduto il terreno e la relativa cubatura edificabile, essendo a conoscenza del progetto che prevedeva una distanza inferiore.

Dopo un lungo iter giudiziario, con decisioni contrastanti tra primo grado, appello e un primo vaglio della Cassazione, la Corte d’Appello, in sede di rinvio, aveva dato ragione ai proprietari del fondo. Aveva ordinato alla società di arretrare la costruzione e di risarcire i danni, affermando che l’eventuale accordo per derogare alle distanze era nullo, in quanto le parti non possono disporre di norme poste a tutela di interessi pubblici.

La Questione sulla Deroga Distanze Legali e la Decisione della Corte

La società costruttrice ha nuovamente presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione della Corte d’Appello su più fronti. Tuttavia, il cuore della questione riguardava la validità dell’accordo sulla deroga distanze legali. La Corte di Cassazione ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso, confermando la decisione di merito.

Il punto centrale è che la sentenza d’appello si basava su due distinte e autonome motivazioni (le cosiddette rationes decidendi):

1. L’accordo di deroga era inefficace perché contenuto solo nel contratto preliminare e non in quello definitivo.
2. In ogni caso, anche se fosse stato pattuito, tale accordo sarebbe stato nullo perché le norme sulle distanze tra edifici sono inderogabili.

La società ricorrente, nei suoi motivi, ha criticato solo la prima argomentazione, tralasciando di contestare la seconda. Questo errore si è rivelato fatale. La Cassazione ha infatti ribadito che, quando una sentenza si fonda su più ragioni indipendenti, è necessario impugnarle tutte. La mancata contestazione anche di una sola di esse la rende definitiva e sufficiente a sorreggere la decisione, rendendo l’intero ricorso inammissibile.

La Domanda Nuova nel Giudizio di Rinvio

Un unico motivo di ricorso è stato però accolto: quello relativo alla domanda di risarcimento del danno. La Corte ha rilevato che i proprietari avevano chiesto il risarcimento per la prima volta solo nell’atto di riassunzione del processo dopo la prima sentenza di Cassazione (il cosiddetto giudizio di rinvio). La Suprema Corte ha chiarito che il giudizio di rinvio è un “giudizio chiuso”, nel quale non è possibile introdurre domande nuove. Pertanto, la richiesta di risarcimento è stata dichiarata inammissibile.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione principale della sentenza risiede nella natura delle norme che regolano le distanze nelle costruzioni. Queste non sono semplici regole a tutela dei rapporti tra vicini, ma sono disposizioni di carattere pubblicistico, inserite negli strumenti urbanistici per garantire un ordinato sviluppo del territorio, la salubrità e la sicurezza. Per questo motivo, non rientrano nella disponibilità dei privati.

Qualsiasi contratto o accordo con cui due proprietari confinanti decidano di non rispettare le distanze minime previste dai regolamenti locali è affetto da nullità. Tale nullità è assoluta e può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La Corte ha affermato che la pronuncia di nullità della clausola è una ragione autonoma e sufficiente a giustificare la condanna all’arretramento dell’edificio, a prescindere da ogni altra considerazione sull’efficacia o meno dell’accordo tra le parti.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti lezioni pratiche. La prima, di carattere sostanziale, è un monito per chi costruisce: non ci si può fidare di accordi privati per violare le norme edilizie. Le distanze legali sono inderogabili e l’eventuale consenso del vicino non ha alcun valore legale e non mette al riparo da una futura azione giudiziaria che imponga la demolizione o l’arretramento dell’opera. La seconda, di carattere processuale, sottolinea l’importanza di una difesa tecnica attenta: quando si impugna una sentenza, è fondamentale attaccare tutte le autonome ragioni che la sostengono, pena l’inammissibilità del ricorso.

È possibile accordarsi con il vicino per costruire a una distanza inferiore a quella prevista dalla legge?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che le norme sulle distanze tra costruzioni sono inderogabili perché tutelano un interesse pubblico generale. Qualsiasi accordo privato che preveda una deroga a tali distanze è nullo e non produce alcun effetto giuridico.

Cosa succede se si impugna una sentenza che si basa su due motivazioni distinte, ma se ne contesta solo una?
L’impugnazione viene dichiarata inammissibile. Se una sentenza è sorretta da più ragioni autonome, ciascuna sufficiente a giustificare la decisione, è necessario contestarle tutte. Se anche una sola motivazione non viene impugnata, essa diventa definitiva e la sentenza resta valida, rendendo inutile l’esame delle altre censure.

Si può chiedere il risarcimento dei danni per la prima volta nel giudizio di rinvio dopo una sentenza della Cassazione?
No. Il giudizio di rinvio è un “giudizio chiuso” in cui non è consentito proporre domande nuove rispetto a quelle già avanzate nei precedenti gradi di merito. Pertanto, una domanda di risarcimento del danno presentata per la prima volta in questa fase è inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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